Le istituzioni e la giustizia dopo il 13 maggio
All'indomani delle elezioni del 13 maggio e della vittoria della destra:
una vittoria culturale, prima che politica, si aprono anche per il settore
giustizia scenari nuovi e inquietanti. Non lo scopriamo oggi. Da tempo
avevamo segnalato le questioni implicate dalla contesa elettorale, individuando
nel programma della destra un progetto autoritario, che mira a ridurre il
ruolo di mediazione della politica rispetto ai rapporti di forza del mercato ed
il controllo di legalità sui poteri forti e ad accentrare i luoghi di decisione
ed evidenziando la concreta possibilità che si arrivi ad una concentrazione
inedita e potenzialmente illiberale di potere economico, mediatico, politico-sociale,
istituzionale (...) capace di operare in profondità su tutti gli equilibri
istituzionali su cui è fondata la Repubblica (cosi, rispettivamente,
C. Verardi e N. Rossi nel forum Quale giustizia? pubblicato
nel fasc. 5/2000). Non scopriamo, dunque, nulla di nuovo. Ma ciò che ieri
segnalavamo come un rischio è, oggi, una realtà.
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Ad essere in discussione dopo la vittoria della destra è
lo stesso patto fondativo della Repubblica, la Costituzione del 1948.
Indebolita da una campagna delegittimatrice ultradecennale (che ha avuto il sua
acme nella stagione della Commissione bicamerale) e impudicamente calpestata
all'atto della guerra alla ex Jugoslavia, la Carta fondamentale ha subito
in questa campagna elettorale una ulteriore lacerazione, con l'affermarsi
nei fatti di un sistema presidenziale (accompagnato dal culto del capo)
estraneo al disegno costituzionale, di cui anzi costituisce la negazione. E le
proposte di modifica, anche formali, si moltiplicano, estendendosi alla prima
parte della Carta, per affermarvi il primato dell'impresa e della proprietà
privata e per riscrivere in modo restrittivo il catalogo dei diritti sociali
e, financo, i principi di uguaglianza dei cittadini e di laicità
dello Stato.
In questo contesto, novità rilevanti attendono il settore giustizia, ben
oltre le indicazioni contenute nel programma elettorale della Casa delle libertà.
Non per caso, né (solo) per circostanze contingenti, legate a vicende giudiziarie
di leader di primo piano dello schieramento politico vincente, come sembra suggerire,
con indiretta ma univoca minaccia, il neo onorevole di Forza Italia Lino Jannuzzi,
secondo cui la rivoluzione della giustizia non ci sarà, a meno che
Berlusconi non venga condannato in uno dei processi in corso a Milano per falso
in bilancio e corruzione in atti giudiziari (La Repubblica, 27 maggio
2001). La ragione profonda del riordino del settore giustizia perseguito
da questa destra è che la giurisdizione costituisce oggi, nei fatti,
il solo ostacolo istituzionale alla realizzazione di una concentrazione di potere
senza precedenti, estesa dalla politica e dalla economia sino a gran parte dei
mezzi di comunicazione (strumento di controllo principe nelle società moderne).
Di qui il progetto di allentamento delle regole: nel settore civile attraverso
la privatizzazione del processo, con delega della attività
istruttoria alla libera dinamica delle parti fuori dall'intervento
e dal controllo del giudice, e nel settore penale attraverso forme di attenuazione
del principio di obbligatorietà dell'azione penale. Di qui, ancora,
il progetto di riassetto della magistratura e dello status dei magistrati. La
finalità è stata descritta in modo univoco, dal neopresidente del
Senato Pera, in una sorta di monito ai magistrati, contenuto nella relazione
illustrativa al disegno di legge n. 4621/Senato della scorsa legislatura: Se
vuoi prendere posizione su casi generali e soprattutto specifici, se vuoi associarti
per certi fini, se vuoi manifestare per certi scopi, allora devi responsabilmente
assumerti l'onere di non apparire parziale e dunque il dovere di astenerti
dal giudicare in tutti quei casi in cui la tua esternazione o il tuo comportamento
appaia al cittadino di ostacolo alla tua serenità di giudizio. Come
non ricordare il precedente del guardasigilli Alfredo Rocco, secondo cui la
magistratura non deve far politica di nessun genere. Non vogliamo che faccia politica
governativa o fascista, ma esigiamo fermamente che non faccia politica antigovernativa
o antifascista (discorso al Parlamento del 19 giugno 1925)?
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» questa la partita che si è aperta con il voto del 13 maggio. Ai
giuristi democratici (qualunque ne sia l'appartenenza corporativa)
non è consentito stare alla finestra. Per essi Questione giustizia
sarà strumento e punto di riferimento.
maggio 2001
(l.p.)