La fine di una stagione, non di una prospettiva
?, per la giustizia, la fine di una stagione. Il fatto, da tempo sotto gli occhi dei critici più attenti, ?, ora, svelato da una immagine nitida e univoca: mentre Corrado Carnevale viene reintegrato nella Suprema Corte, lasciano la magistratura Giuliano Turone e Gherardo Colombo. Non amiamo le personalizzazioni, ma la valenza simbolica di tale contemporaneit? non pu? sfuggire.
Nella storia del nostro Paese si sono contrapposti, come noto, due modi di intendere la giurisdizione. L'approccio tradizionale ? stato quello di una magistratura attenta soprattutto alle logiche e agli equilibri di potere, estranea ai valori costituzionali di uguaglianza ed emancipazione, ancorata a una "scelta di campo" in favore dello status quo, garante del più cieco formalismo interpretativo: un approccio mirabilmente descritto da Italo Calvino con la descrizione di giudici ?appartenenti alla razza delle persone ammodo, una razza che sa fare le leggi e applicarle e farle rispettare nella misura che gli fa comodo?. A questo modello si ? contrapposta una concezione della magistratura soggetta ?soltanto alla legge? e dunque - per usare le parole di Giuseppe Borr? - ?disobbediente a ci? che legge non ?, a cominciare dal pasoliniano "palazzo" e dai potentati economici?, tesa alla attuazione della Costituzione (e, in particolare, dell'articolo 3), gelosa custode dei diritti dei cittadini e, per garantirli in modo adeguato, della propria autonomia e indipendenza. Nell'ultimo decennio del secolo scorso ? parsa prevalere la seconda opzione.
Oggi molti sono i segnali di inversione di tendenza e i diversi destini da un lato di Carnevale e, dall'altro, di Colombo e Turone (interpreti, pur con gli inevitabili schematismi dei simboli, delle due posizioni in esame) sembrano dimostrarlo. N? tali opposti destini sono casuali. Carnevale viene reintegrato non per necessit?, ma per scelta (della maggioranza parlamentare della scorsa legislatura, che ha confezionato per lui l'ennesima legge ad personam, e, poi, della giustizia amministrativa e della maggioranza del Consiglio superiore, che di quella legge hanno dato una interpretazione assai discutibile) e Turone e Colombo non lasciano la magistratura per raggiunti limiti di et? ma, nella pienezza della loro vita professionale, per continuare altrove, in modo ritenuto più utile, il loro impegno in favore della legalit?.
Tutto ci? ? inutile nasconderlo o tacerlo ? ? la spia di una crisi ampia e profonda: della giurisdizione, efficiente e talvolta feroce nelle direttissime e nei processi per i reati di strada e ridotta all'impotenza nei confronti delle bancarotte, delle corruzioni, delle concussioni, della intera criminalit? dei potenti; dell'immagine della giustizia, vista dai più, dopo anni di polemiche strumentali e mirate, come "campo di battaglia" di interessi contrapposti anzich? come luogo di tutela dei diritti in base a regole prestabilite; dei giudici, che sempre più si percepiscono come funzionari preposti a una funzione burocratica e a un servizio inevitabilmente inefficiente e cercano conseguentemente rifugio in un controproducente isolamento corporativo.
Una stagione ?, dunque, finita, ma non sono venute meno una prospettiva e una consapevolezza. La stagione alta della giurisdizione degli ultimi decenni ? in qualche modo rappresentata da Tangentopoli e dal sogno dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (che ne ha costituito il nucleo forte) ? non ? priva di padri. Ad essa ha concorso in maniera decisiva l'incrinarsi della omogeneit? di molta parte della magistratura con il sistema politico corrotto, quella omogeneit? di cui ? stata per lustri simbolo la Procura della Repubblica di Roma.
? storia nota; ma quel che spesso viene dimenticato o taciuto ? che quella omogeneit? si ? incrinata gradualmente e non per caso.
La rottura ? lo ricordiamo ancora una volta - ? avvenuta a seguito di un conflitto duro tra chi ha (quantomeno) burocraticamente accettato lo status quo e chi ha tenuto aperta la prospettiva della indipendenza reale della giurisdizione e della eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. ? questa la vicenda storica che sta dietro alla crescita del controllo di legalit? da parte della magistratura: e in questa vicenda il ruolo di Magistratura democratica (delle sue interferenze, del suo impegno quotidiano, delle sue polemiche) e di questa Rivista ? stato decisivo.
Se ? finita una stagione, non deve tramontare la prospettiva che l'ha guidata. Un'altra stagione di segno analogo pu? (deve) aprirsi, tanto più in un contesto segnato da un pensiero debole spesso diventato pensiero unico in cui non sembra esserci posto per l'uguaglianza. Alla costruzione di questa stagione ? che richiede rigore, determinazione, capacit? di rinnovamento, fantasia, intelligenza ? daremo un contributo a tutto campo (dall'analisi critica della giurisprudenza e delle prassi al confronto con le proposte di riforma dello status dei giudici e del sistema giustizia che vedono la luce in questi giorni). Non ci mancher? ? ne siamo certi - l'aiuto e lo stimolo di chi, come Gherardo Colombo e Giuliano Turone, ? stato partecipe appassionato anche dell'esperienza di questa Rivista.