di Fabrizio Amato
1. Per l'intensità del dibattito, che ha toccato i temi cruciali della vita politica e istituzionale del nostro paese e della giurisdizione; per la tensione anche autocritica; soprattutto perché animato in tanti interventi dalla ricerca di trovare nuovi modi di "praticare" Magistratura democratica, nuove modalità di espressione interna ed esterna della vitalità intellettuale e pragmatica di questo intellettuale collettivo. Sono orgoglioso di farne parte, di appartenere ad un gruppo di giudici che rifugge dalla consolatoria routine e s'interroga costantemente sul destino suo e dell'istituzione giudiziaria con energie emotive e razionali difficilmente rintracciabili altrove nei soggetti istituzionali e non del nostro paese.
Sono convinto che non sia illusorio imputare parte di questa capacità di mettersi in discussione e guardare lontano - da sempre caratteristica di Md - al sommovimento di idee nato dalla discussione, anche tormentata, sulla cd. questione di genere nella magistratura e legare a filo doppio questo nuovo slancio e la ricerca di modi rinnovati di "far politica" in e con Md (tracimati dal dibattito sulla partecipazione delle donne e sulla "qualità" conseguente della giurisdizione e "cristallizzata" dal sorprendente per molti versi risultato elettorale del Congresso) all'altra questione emersa con vigore dal dibattito congressuale e dalle prime riflessioni post-congressuali: l'accesso alla discussione politica ed all'impegno concreto nella corrente dei giovani o dei meno anziani, iscritti e non, militanti di base più o meno presenti.
Da un lato, aprire un "fronte" di genere anche in Md è stato il frutto della consapevolezza della necessità "democratica" di dare soluzione alla condizione di sottorappresentazione femminile esistente anche nel nostro gruppo e valorizzare modalità differenti e plurali di partecipazione. Sarebbe disastroso (l'ho già scritto sulla m.l.) che il prepotente segnale venuto dal Congresso (il risultato di Rita in primo luogo, ma anche di altre; la massiccia presenza d'interventi "forti" emotivamente e politicamente di donne di Md; il numero inusuale di candidature femminili al C.N.) fosse interpretato solo come l'emergere di una nuova competizione o la formazione di una lobby speciale in Md, banalizzando il messaggio politico di Palermo. Quella che abbiamo chiamato la "svolta" della corrente non può essere ridotta ad una questione di numeri di voti o di facce nuove; deve invece essere la comprensione convinta di dare corso ad un modo più completo di intendere e di praticare la nostra vita collettiva.
Dall'altro, sul medesimo piano si situa il nostro interrogarsi sulla necessità di operare seriamente perché la corrente agevoli l'incontro coi giovani magistrati e le loro passioni ed energie politiche e culturali (v. gli interventi in m.l. di Piccone, Opilio, Zaccaro), allarghi la partecipazione attiva anche a coloro che non sono custodi ed interpreti dell'"ortodossia" di Md, e forse nemmeno la conoscono tutta intera.
Questi due momenti, l'abbiamo scritto anche nella mozione conclusiva, esprimono l'esigenza di "rifondare dal basso l'idea stessa di democrazia" ed hanno entrambi imposto alla riflessione del gruppo i nodi più profondi dell'attuale fase attraversata dalla magistratura e dalla giurisdizione nel suo complesso: la capacità di trovare formule condivise ed efficaci per dare la maggiore effettività possibile alla giustizia, per garantire ai cittadini un servizio all'altezza delle domande della società, mettendoci in discussioni noi giudici per primi.
2. Ed allora, non possiamo lasciare ai bei discorsi congressuali la ricerca del cambiamento del fare politica (Laura Curcio), né tanto meno abbiamo bisogno di "icone del cambiamento", ma di "cambiare le pratiche politiche del gruppo per avvicinare più donne, più giovani, comunque più colleghi" (Rita Sanlorenzo).
La partecipazione "allargata" alle scelte del gruppo allora non può fondarsi soltanto sulla nostra tradizione e sul nostro "storico" bagaglio politico-culturale: è chiaro che questi sono il presupposto, il "lievito" che fa maturare tutto il resto; tuttavia, occorre lavorare davvero in modo diverso, "umile" è stato detto, senza presunzioni e puntando sul dialogo/confronto con tutti, giovani o no, donne e uomini. A cominciare dagli uffici in cui svolgiamo i nostri "mestieri", attraverso interventi politico-culturali e di gestione concreta e pragmatica, per la costruzione di un modello di giurisdizione e di autogoverno che - come ha scritto Linda D'Ancona - con serietà lavori per obiettivi di efficienza ed efficacia del servizio-giustizia (per inciso, proprio ciò che è più temuto da Mi ed Unicost e che questi gruppi si affrettano a liquidare come il tentativo di "omologare" la magistratura, ma che è l'unico capace di rispondere alla "sfida" dei tempi).
Abbiamo, quindi, bisogno di valorizzare le pratiche virtuose che in questi anni - noi di Md principalmente, ma non solo - abbiamo realizzato, come quelle degli Osservatori, oramai realtà formidabile per contenuti e presenza per il settore civile, ma che non dobbiamo tralasciare anche in altri settori, a cominciare dal penale dove i problemi sono in parte diversi e richiedono quindi maggiori energie propositive e d'impegno concreto.
Se tutto questo è vero, immagino un nuovo gruppo dirigente della corrente che appunto abbia "antenne e orecchie" (ancora Rita) capaci di "captare energie" e coinvolgere la partecipazione di tanti: in fondo è la storia della nascita e dell'affermazione di Md. Immagino, quindi, una rinnovata dirigenza aliena dalla tentazione - certamente non di tutti e spesso anche inconsapevole, ma non per questo meno pericolosa e autoreferenziale (non nascondiamocelo, guardandoci negli occhi e senza diffidenze, come invita a fare Fiorella Pilato) - di costruire personali "tappe di carriera politica", assommando incarichi diversi e chiudendo il circuito partecipativo all'interno di un numero ristretto di compagni e compagne, rischiando di "sacrificare, in nome del realismo politico e delle strategie e forse della paura del nuovo" (l'ha scritto Fiorella) "il patrimonio sommerso" di intelligenze e competenze che Md dimostra di possedere.
Il prossimo vertice di Md (presidente, segretario, esecutivo) - lo abbiamo ripetuto anche a Palermo - ha davanti a sé un periodo di grande lavoro politico e di riflessione culturale e giuridica, avrà compiti molto impegnativi, una sfida a 360 da affrontare con idee, capacità ed energie rinnovate, vivificate da una richiesta di partecipazione che non potrà essere disattesa, per cui è importante riflettere e realizzare, in sintonia con il Congresso, la composizione degli organismi direttivi del gruppo. Certo, esiste una leadership politica culturale etica che prescinde dal ruolo ricoperto (ancora Fiorella Pilato), ma scommettiamo anche su energie e potenzialità "liberatesi" in queste settimane e palesatesi a Palermo per far fronte al meglio all'attività da svolgere con adeguata capacità sia verso l'"interno" della magistratura, a cominciare appunto dall'elaborazione della pratica politica di Md, sia verso l'"esterno", per cogliere e valorizzare quel "punto di vista" che segna il filo rosso di 40 anni di esistenza di Md.
Per questi motivi l'impegno in esecutivo andrà tendenzialmente assunto in modo esclusivo rispetto ad altri "incarichi", di gruppo o istituzionali.
In concreto: non ho dubbi sulla scelta di Franco Ippolito e di Juanito Patrone come presidente e segretario del gruppo. L'esito elettorale di Palermo - l'ho già scritto - è stato il frutto di un disagio di molti partecipanti non nei confronti di questo o quel candidato (e tanto meno verso Franco e Juanito dalle invidiabili capacità politiche e culturali), ma nei riguardi di un "gioco" già fatto, meno democratico di quanto ci si debba attendere da un gruppo che mette addirittura in ditta questa ispirazione, frutto del metodo della "cooptazione" (non sempre tutto da disprezzare, qualora non sia troppo smaccato o pervasivo). Cosa non nuova per Md e neanche illogica per una organizzazione politica che riflette e propone non solo nella scadenza statutaria biennale, ma forse accelerata e vissuta in particolare distonia con il clima "speciale" di questo Congresso.
Nessun dubbio che anche Rita Sanlorenzo debba continuare a far parte dell'esecutivo: si è parlato di lei come il "cuore" della dirigenza di Md (Laura Curcio), capace di "catalizzare" a Palermo, con il suo vibrante intervento, le passioni e le energie di tutti noi, la tensione positiva che ha anche animato buona parte del pre-congresso ed il lavoro che ha portato alle condivise modifiche statutarie.
L'esito della riflessione congressuale e - tenuto conto che esso, sebbene non sia tutto, comunque ha un valore politico non discutibile - il risultato delle elezioni per il C.N., inoltre, fanno indicare a me ed alla sezione toscana (così espressasi in assemblea) come candidati "naturali" per l'esecutivo Luca Minniti e Linda D'Ancona, espressione in modi diversi dell'incrocio positivo tra valori di riferimento e pragmatismo della concreta presenza che appare l'arma in più di Md per "catturare" l'interesse e l'impegno dei magistrati. A titolo personale candido inoltre due ottimi colleghi, non più giovanissimi, ma ancora pieni di "passione" civile e politica: Giovanni Cannella e Valeria Fazio.
3. Alcune brevi riflessioni su due questioni che, come accennato nell'ultimo C.N., reputo prioritari e centrali per il lavoro politico immediato di Md.
a) Il circuito dell'autogoverno ed il suo rapporto con l'associazionismo (ANM e Md).
Se si condividono le prospettive delineate per Md e se, come diciamo da sempre, l'ANM deve essere per tutti i magistrati la "palestra" di elaborazione culturale sul terreno della giurisdizione e di confronto politico-culturale tra le correnti dell'associazionismo; se in linea di principio tutti i gruppi associativi sono pervenuti a considerare come momenti qualificanti ed insostituibili per il corretto esercizio della funzione giurisdizionale un accettabile livello di professionalità diffusa, la trasparenza nelle scelte interpretative e di organizzazione degli uffici, l'attenzione per l'efficienza del servizio e per i diritti dei cittadini che vi accedono; se tutti affermano con convinzione che i magistrati per primi devono intraprendere la riflessione e la pratica di riforme grandi e piccole dell'assetto della giurisdizione prima che i grandi "mali" di essa siano pretesto per "controriforme" dell'istituzione; allora, anche il rapporto tra Anm e Csm va fondato esclusivamente su tali basi di principio.
Allora, Md non deve limitarsi ad essere il "censore" delle malefatte di Mi ed Unicost in Consiglio, delle pratiche lottizzatici e/o corporative perseguite da questi gruppi spesso nell'ottica di "pelose" tutele del singolo "contro" il CSM, ma porsi l'obiettivo di chiedere conto della coerenza dei comportamenti in Consiglio rispetto alla declamazione dei principi, iniziando e valorizzando un dibattito sull'autogoverno - in tutti le sedi - che pervenga a conclusioni per cui (come ha scritto Luca Minniti) siano indifendibili ed inaccettabili per tutti certe scelte consiliari discutibili. E' innegabile che anche il Csm è luogo di realizzazione delle scelte politiche e culturali di Md e che, quindi, sarà sempre necessario un preciso raccordo tra la dirigenza della corrente ed il gruppo consiliare. Peraltro, sono d'accordo con quanto espresso da Giuliana Civinini in Congresso (e con quanto di recente in m.l. ripreso sul tema da Luigi Marini), quando afferma che in concreto, per una serie di fatti oggettivi e soggettivi, "l'abbraccio delle correnti sull'autogoverno rischia di essere soffocante" (in ordine a ciò anche Md deve fare qualche riflessione) e sul punto utilizza la letteraria ma calzante metafora del sodalizio tra Sartre e de Beauvoir: ognuno a casa sua, interagendo proficuamente sul meglio ed evitando le "piccinerie e stanchezze" della convivenza.
Se, inoltre, non dobbiamo certo cedere alla tentazione di critiche demagogiche e immotivate recriminazioni (Claudio Castelli), ma anzi riaffermare che il modello italiano di autogoverno è certamente "virtuoso", è altrettanto vero che "tendenze qualunquistiche" (denunciate anche nella mozione di Palermo) sono anche quelle che talvolta riducono l'autogoverno a ripartizione di posti (specialmente quando c'è da nominare dirigenti o da salvare qualche incapace) in una logica di appropriazione dell'istituzione che mai è stata nostra anche se in qualche occasione è sembrato il contrario.
Al di là di battute ad effetto o di critiche fondate e rispedite ai mittenti (Patrono e Matera) l'accusa tipo "siamo tutti uguali" o la responsabilità del "bipolarismo giudiziario", il punto cruciale per Md è trovare modalità nell'associazionismo per imporre politicamente al Csm prassi virtuose (di "rilancio etico" parla Claudio Castelli).
Ripensare, dunque, i metodi di lavoro di Csm e C.G., anche individuando ed immaginando come rimuovere le cause strutturali del "malgoverno dell'autogoverno" (Alberto Haupt e Giuseppe Cascini in m.l.) ed evitando di riprodurre il "vecchio campionario delle logiche della burocrazia" (Luigi Marini), che non ha interesse per reali selezioni al suo interno, ha perso di vista gli obiettivi del servizio sostituendoli con i propri tornaconti autoreferenziali, si muove secondo logiche di tutela dei singoli e rifiuta cambiamenti per autoconservarsi.
Valorizzare (e non mortificare, come di recente avvenuto) il fondamentale lavoro dei Consigli giudiziari, da aprire - una vecchia idea di Md, da riprendere ed affinare - in tutte le occasioni possibili al contributo degli utenti della giustizia, a cominciare dagli avvocati, riguardo alla "resa" del servizio e quindi - absit iniuria verbis - anche alla concreta professionalità ed operosità dei magistrati, ma anche di funzionari amministrativi ed articolazioni della società civile e/o delle stesse amministrazioni locali, almeno per quanto riguarda la "macchina" organizzativa.
Impegnarsi a ridefinire, come invita da tempo Francesco Menditto, i criteri di scelta dei dirigenti (accesso, temporaneità, responsabilità, su cui inizia a riflettere anche l'ANM: ancora Haupt e Cascini). Su questo punto è urgente porsi il problema dell'applicabilità (di cui sono persuaso) anche alla magistratura del principio scandito dall'art. 1 lett. c) d.p.r. 165/2001, sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle p.a., che individua tra le sue finalità quella di realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane, "curando la formazione e lo sviluppo professionale" dei dipendenti (e questo contribuirebbe a garantire l'idonea selezione "mirata", che suggerisce Marini in luogo dell'attuale sistema in cui tutti pensano di poter far tutto, con sensibile diminuzione del peso della sola anzianità, come invoca Cascini) e "garantendo pari opportunità alle lavoratrici e ai lavoratori". E' indifferibile ipotizzare la riduzione della discrezionalità nelle scelte gestionali di minore rilevanza (ma su cui spesso abbiamo assistito ad un vero "mercato" dei posti di responsabilità) e superare il criterio, sostanzialmente generalizzato, del non-demerito per lo sviluppo verticale della carriera. Occorre cioè sconfiggere la logica secondo cui si maturano "diritti" (al posto di formatore decentrato, come ad incarichi direttivi) senza alcun interesse per il "risultato" concreto ottenuto. Se c'è un "diritto" vantabile dai magistrati su questo piano, esso è solo alla formazione professionale permanente (certo, utilizzabile anche per la "carriera" o per raggiungere altri incarichi): una "pari opportunità" cui dovrà seguire la necessaria e rigorosa selezione dell'"uomo/donna" giusto/a per il posto specifico, unica effettiva garanzia per i cittadini.
Studiare modifiche della normativa secondaria in tema di tabelle degli uffici (attrezzarsi, ad es., di modelli standard per tipologie d'ufficio e di problemi) accorciando soprattutto i tempi dell'esame delle proposte di tabelle da demandare al controllo di merito dei C.G. e riservando al CSM per così dire un controllo di legittimità; in tema altresì di permanenza massima in determinati settori, di valorizzazione delle professionalità specialistiche, di generalizzazione dell'assegnazione automatica degli affari in tutti i settori.
b) La centralità dell'impegno di Md sul versante politico e giuridico della costruzione europea.
Fin qui siamo stati tra i pochi "giuristi" italiani ad "innamorarci" del tema e dobbiamo continuare. Ma l'impegno concreto deve riguardare soprattutto (d'accordo con Paolo Martinelli) la capacità nostra di "parlare" a tutti i colleghi dei temi dell'Europa - non solo quindi attraverso convegni o analisi raffinate in saggi su QG ovvero nei nostri documenti (cosa necessaria e da continuare) -; occorre lavorare "sulla" e "nella" giurisprudenza di tutti i giorni, per diffondere e condividere il nostro sentire di giudici europei (il "pallino" di Papi Bronzini), sulle questioni (praticamente tutte, ormai) nelle quali l'ordinamento positivo italiano interagisce e s'interseca con le discipline sovranazionali. Abbiamo già fatto tanto sull'argomento in Medel e con approfondimenti teorici; tocca ora - a tutti i livelli giudiziari - "socializzare" il nostro "sapere", ossia permeare la giurisprudenza di quanto di buono, di utile, di indispensabile ci viene dalle fonti comunitarie e dalle Carte dei diritti e dei principi che sempre più le influenzano.
Fabrizio Amato