Costituzione e legislazione: una strada per le riforme


Zoom | Stampa

intervento di Maura Nardin

Uguaglianza, diritti, giustizia.
E' bello il titolo di questo congresso, ma cosa resterà di tutto questo? Del modo di rendere giustizia, di restituire uguaglianza attraverso la giustizia proprio di una società democratica. Del dovere affermare l'eguale forza del singolo diritto di ciascuno, la pari dignità del diritto degli "ultimi con quello dei primi", della garanzia di ottenere la medesima giustizia.
Dovremo dire come Roy il protagonista di Blade Runner "tutti questi momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia"?
Chi fa il giudice civile, sventurata professione, ha ricevuto in questi giorni notizie che hanno avuto l'effetto di una raffica scomposta, uno di quei colpi che fa venire la voglia di alzare le braccia in segno di resa: un maxiemendamento che in una legge di conversione di un decreto legge contiene una delega al Governo sull'estensione, seppure alternativa, del rito societario alle controversie civili, sul giudizio di cassazione, sull'arbitrato, sulla modifica della revocatoria fallimentare e sul concordato preventivo. Nella pi totale noncuranza delle esigenze strutturali e materiali che non solo l'Associazione Nazionale magistrati fa presente da lunghissimo tempo, viene proposta come panacea universale per la giustizia civile l'introduzione di un rito che allontana il giudice e le parti e che trasforma il processo in una gara di abilità dei difensori, senza chiedersi quali saranno i riflessi organizzativi del possibile abbandono della monocraticità, senza chiedersi cosa ne pensavano le categorie interessate.
Ma se ai giudici viene da alzare le braccia, cosa può pensare un cittadino attento quando vede il Parlamento spogliarsi della propria potestà legislativa in occasione della conversione di un decreto legge ? Quale atto del parlamento deve essere oggetto di riflessione pi accurata e ben ponderata se non il conferimento eccezionale del potere legislativo al Governo ? E' vero che il sistema consente una simile alchimia, e permette di sostenere che è necessario ed urgente investire il Governo di un potere che non gli appartiene, che è prerogativa assoluta del Parlamento stesso?
C'è in tutto quanto è accaduto qualcosa che si sente stridere profondamente con Carta Costituzionale, sempre pi stiracchiata, divenuta ormai coperta troppo corta.
Stiamo davvero correndo sul filo del rasoio".
Il nostro paese, lo ha ricordato anche Claudio Castelli nella sua relazione introduttiva, è sull'orlo, forse già oltre, di una crisi che può diventare irreversibile. Le modalità di approvazione delle leggi, come ha ben sottolineato il capo dello Stato nel suo messaggio alle Camere, ed i contenuti di buona parte delle disposizioni approvate bastano per dire che larga parte della produzione legislativa in quest'ultimo periodo ha dimenticato lo spirito autentico della nostra Costituzione. Non è un caso che si voglia frettolosamente cambiarne una parte, introducendo i presupposti di una rottura definitiva della solidarietà nazionale, creando dei cittadini con diritti ed opportunità diverse a seconda del luogo di residenza.
La nostra democrazia sta vivendo un momento di autentico distacco dai principi sui quali è nata.
Che fare ? La domanda è rimasta la stessa.
Come rimettere in moto le energie di un paese così affaticato e che vede davanti a s un lungo percorso di sacrificio ?
Se c'è una strada che possono indicare le forze progressiste di fronte ad una simile crisi, che sia davvero un sentiero di rinascita e di crescita, quella strada sta nella forza delle idee, nei progetti e, lasciatemi usare una parola desueta, persino nelle utopie, nella profonda passione delle idee.
Dove la capacità di concepire idee con una visione generale e non solo contingente si impoverisce la democrazia soffre.
Cosa c'entrano i giudici in tutto questo ? Come possono contribuire?

Noi, dobbiamo ammetterlo, partiamo da una posizione di profonda debolezza, ci siamo rivelati complessivamente incapaci di un'autoriforma, di un autentico mutamento di prospettiva che restituisca una vera credibilità alla amministrazione della giustizia.
Eppure il panorama della giustizia, soprattutto di quella civile, comincia a essere meno fosco, grazie ad una intuizione che si è rivelata vincente, che ha saputo creare, nel giro di poco tempo, un circolo virtuoso sempre pi largo: l'idea di creare un'alleanza, una responsabilità collettiva intorno alla gestione dei processi ed alla organizzazione degli uffici che coinvolga giudici e avvocati, e personale di cancelleria, nella consapevolezza che la buona volontà del giudice non basta per costruire una buona giustizia.
L'idea centrale su cui hanno lavorato gli Osservatori per la giustizia civile, di una autoriforma plurale che coinvolge tutti i soggetti del processo, che comporta l'abbandono dei corporativismi e dell'intangibilità della organizzazione, la creazione di luoghi di incontro e di scambio essere trasformati in un'occasione straordinaria non solo a livello territoriale.
Può diventare un metodo di raccolta di istanze e suggestioni sugli interventi che toccano il processo e l'organizzazione degli uffici, anche al fine di tracciare il solco sui cui scrivere i futuri interventi riformatori, nella speranza che gli attuali provvedimenti non abbiano il tempo di vedere la luce, senza rinunciare alla battaglia politica perch siano accantonati.
Solo pochi anni fa un'esperienza come quella degli Osservatori sembrava illusoria, utopistica. Invece comincia a dare frutti, qualche volta ancora acerbi, ma reali.
Contribuisce a rendere solido lo Stato, a rendere le istituzioni a solidali con i cittadini e le persone che ad esse si rivolgono, consente di riallacciare i rapporti con la base dell'avvocatura, partendo dalla concretezza dei problemi da risolvere e quindi permette di trovare un fecondo terreno comune da coltivare.

Un tempo prima di "toccare" un codice, di riformarlo, lo ha ricordato di recente Sergio Chiarloni, i progetti circolavano a lungo, erano richiesti i pareri delle Università, ma anche quelli delle Corti d'appello.
Noi dobbiamo avere la franchezza e la forza di chiedere che quei costumi legislativi tornino.
Dobbiamo lavorare rivolgendoci anche alle forze politiche perch vi sia un reale cambiamento del modo di consultare, di confrontarsi con chi opera nei singoli settori, perch le opinioni che nascono e si affermano in un dialogo aperto e concreto fra le categorie interessate trovino un canale di ascolto.
Il nostro lavoro deve prendere anche la direzione di generalizzare questa esperienza di farne un metodo moderno di rapporti con coloro che assumono le decisioni politiche, senza rinunciare ma aggiungendo questa occasione alla nostra capacità di elaborazione di proposte, di progetti.
Ciò non significa affatto rinunciare alla caratteristica peculiare di magistratura democratica: l'estremismo assennato, la capacità di immaginare il futuro della giustizia, facendo proposte, come quelle che sono state fatte negli ultimi due anni (mi riferisco all'eccellente progetto sull'ufficio per il giusto processo, alle nostre elaborazioni sulla magistratura onoraria, a tutti i suggerimenti che abbiamo formulato in materia processuale civile e penale, alle sollecitazioni in materia di rotazione di incarichi direttivi) che sappiamo dare una direzione moderna alla giustizia, che sappiano rimettere al centro la condizione dell'essere umano indipendentemente dalla sua nazionalità, dalla sua forza economica, ricordando sempre le parole di Pino Borr, ricordando che la nostra è una scelta di campo di essere giuristi "dalla parte dei soggetti sottoprotetti" e che occorre sentirsi da questa parte "come giuristi con le risorse e gli strumenti proprii dei giuristi".
Dimenticare questo significa fare della giustizia un Golem con una forza tremenda, che rimasta priva di vita, precipita nella protervia e nel caos della distruzione.

09 05 2005
© 2024 MAGISTRATURA DEMOCRATICA ALL RIGHTS RESERVED WEB PROJECT AND DESIGN AGRELLIEBASTA SRL