di Giovanni Palombarini
Verso il congresso: il garantismo nella seconda repubblica
Il congresso di Md impone una riflessione complessa che riguarda una serie di tematiche, generali e settoriali. Una di queste è il garantismo, che richiede contemporaneamente un bilancio in relazione a idee, progetti ed esiti della quarantennale vicenda di Md e una valutazione realistica delle prospettive che in proposito permangono per un'organizzazione che vuole mantenere ferma la sua iniziale scelta di campo.
Prima parte: la vicenda e lo stato del garantismo
1. Un ragionamento sul tema del garantismo non può ovviamente riguardare soltanto le tradizionali libertà dei moderni e il processo penale, ma il complesso dei diritti, cioè anche la situazione dei rapporti di lavoro e dei diritti sociali, fino ai caratteri fondamentali di uno stato democratico.
In altra sede (Questione Giustizia, n.2/2005) tento di analizzare le ragioni di fondo della forza - e quindi dei successi - dei progetti dei partiti di destra oggi al governo in tema di controriforma della Costituzione, degli equilibri istituzionali, dell'ordinamento giudiziario; e, di conseguenza, del progressivo restringimento degli spazio d'iniziativa di Md.
Qui intendo soffermarmi sul primo versante della questione garantismo - le libertà, le garanzie, la repressione penale - dando per scontato che nel congresso altri affronteranno la questione dei diritti sociali, dei rapporti di lavoro, della condizione del processo civile.
A che punto siamo per quel che concerne la tutela delle libertà e dei diritti individuali rispetto all'affermazione dell'autorità dello stato? o per quanto riguarda in particolare, nel processo, il rigoroso rispetto dei diritti dell'imputato e della presunzione di non colpevolezza? o a proposito della concezione politico-giuridica che accanto a questi valori prospetta la scelta di un diritto penale minimo, strumento riservato alla difesa di beni essenziali limitatamente ai casi in cui altre forme di tutela non siano possibili e supportato da un sistema di pene legato alla prospettiva costituzionale del recupero sociale dei condannati? o ci si deve invece misurare con rischi di utilizzazione dello strumento penale per reprimere le lotte sociali o per emarginare ulteriormente la devianza marginale?
Siamo a un punto davvero basso, verrebbe da dire, in questo primo scorcio del nuovo secolo. Nel corso degli ultimi anni la parola "garantismo", che in qualche modo si prospetta come risposta democratica a quegli interrogativi, è stata utilizzata in altre direzioni con vari significati, in qualche caso del tutto strumentalmente per difendere personaggi forti della politica e dell'economia, per attaccare alcuni uffici giudiziari e in qualche caso l'intera magistratura ad opera di soggetti che hanno pi volte dimostrato di muoversi per finalità che nulla hanno a che vedere con i diritti e il rispetto delle regole. Non solo. Sentimenti assai diffusi nell'opinione pubblica, pesantemente condizionata da infiniti discorsi su sicurezza, terrorismo, invasione di extracomunitari, eccetera, determinano reazioni assai pesanti a fronte di decisioni giurisdizionali che a parametri garantisti in qualche misura si collegano (si pensi, per citare episodi recenti, al provvedimento del Gip del tribunale di Milano con il quale - a fronte dell'indeterminatezza della previsione dell'attuale articolo 270-bis - si è giustamente tentato di distinguere fra terrorismo e guerriglia; o alla vicenda delle due zingare di Lecco delle quali si chiedeva una dura condanna per un inesistente tentativo di sequestro di persona; o alle decisioni con le quali i giudici minorili irrogano pene in misura contenuta).
E' però una parola che è nata nell'ambito della vicenda di Md, già alla fine degli anni Sessanta, sulla quale vale la pena di tornare non solo per una breve ricostruzione storica (che peraltro può servire anche per chiarire il suo vero significato, o perlomeno: il significato o i significati che per Md ha avuto), ma anche per comprendere da un lato quale sia oggi la condizione delle libertà e dei diritti, e delle relative garanzie, dall'altro quale sorte abbiano avuto alcune delle idee e le conseguenti proposte che in proposito Md ha elaborato.
2. Volendolo collocare nell'ambito dei valori costituzionali, attribuendogli così una scaturigine di legalità alta, si potrebbe dire che il concetto di garantismo comincia a vivere e a valorizzarsi - siamo verso la metà degli anni Sessanta - con il procedere della fase chiamata del disgelo costituzionale e con la contemporanea nascita di Md. Nascita di Md, e successive vicende di questa organizzazione, che trovano il primo riferimento nell'articolo 3 della costituzione: un articolo che, come è noto, è fatto di due norme diverse, la cui sintesi ha significato, e ha plasticamente descritto, il tentativo - che passa poi per l'intero complesso delle norme costituzionali, oggi duramente messo in discussione - di riprendere i valori della rivoluzione liberale d'occidente, facendo fare anche un passo in avanti, in termini di democrazia effettiva, alla repubblica che era nata dalla resistenza.
Il primo e il secondo comma, appunto. Innanzi tutto il fermo proclama, essenziale dopo il ventennio fascista, del carattere fondamentale dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, senza la possibilità di distinzione di sorta, cosa non da poco, a breve distanza dalle leggi razziali; e già in questa prima parte della norma non è senza significato il richiamo, prima ancora dell'uguaglianza, alla pari dignità sociale. E poi, nel secondo comma, la promessa di emancipazione, con l'indicazione implicita del valore del conflitto sociale, con il superamento della storica distinzione fra affermazioni di principio e realtà dei fatti. Sembra di sentire, rileggendo questa norma, la tensione ideale, l'impegno civile, le grandi speranze di coloro, pochi per la verità, che essendosi opposti per lunghi anni alla dittatura, pagando con il carcere e con l'esilio quando non con la vita le loro scelte, intendevano costruire, dopo la liberazione dalla vergogna del nazifascismo, una democrazia nuova.
Qui, nella tensione costante fra i due poli, nella dialettica costante, ad andamento variabile a seconda delle fasi storiche, fra impegno per la difesa delle garanzie formali della democrazia liberale, per la difesa dei valori costituzionali di volta in volta messi in discussione, e l'impegno per l'attuazione della costituzione intesa come insieme di norme continuamente riempite di contenuti in virt delle lotte popolari (una volta si parlava di democrazia progressiva), si colloca a partire dal 1964 la nascita del garantismo e il suo intrecciarsi con la storia di Md.
Un aspetto di tale opera è dato dalla difesa delle garanzie di libertà, dalla realizzazione delle regole di un processo non autoritario. Nella seconda metà degli anni Sessanta ad opera della magistratura pi giovane, anche al di là di Md ma sempre su forte sollecitazione delle teorizzazioni che Md andava proponendo, la Corte costituzionale venne investita da innumerevoli questioni di legittimità costituzionale, che riguardavano l'intero sistema penale, alcuni reati ma soprattutto il codice di procedura penale e il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza: venne così proposto il tema del rispetto delle garanzie del cittadino nel diritto penale e non solo. Fino ad allora, fino cioè a tutta la fase della non attuazione della Costituzione, la situazione delle libertà appariva davvero critica con riferimento a tutto ciò che esprimeva opposizione alle forze di governo. Tante manifestazioni popolari, organizzate in nome dell'antifascismo o della difesa dei diritti del lavoro o della pace erano state duramente represse dalle forze di polizia (in numerose occasioni con morti e feriti fra i manifestanti), e i processi penali che da quelle vicende nascevano vedevano come imputati proprio i manifestanti; e la norma costituzionale secondo cui "la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento" troppo spesso appariva come un'affermazione di principio accompagnata, nella realtà, da violazioni, e violenze, di ogni genere.
Proprio qui cominciò a definirsi il concetto di garantismo, con iniziative anche ulteriori rispetto al momento interpretativo. Proprio qui nacquero le cosiddette "interferenze", vale a dire la critica pubblica alle sentenze e alle prassi giudiziarie scorrette. Il famoso ordine del giorno Tolin, che suscitò aspre, generalizzate polemiche nella magistratura e fuori, fu l'espressione pi clamorosa di questo orientamento.
Non a caso poco pi tardi, nel 1970, proprio Md si fece promotrice di un referendum abrogativo dei reati di opinione.
Contemporaneamente Md andava proponendo e praticando da anni, in particolare dal 1968, un'interpretazione delle leggi essenzialmente basata su una logica nuova rispetto al passato, su un uso alternativo del diritto tutto interno alla promessa, al compito che anche alla magistratura era stato assegnato dalla costituzione nella norma architrave: vale a dire, nel momento interpretativo, veniva proposta la massima estensione possibile delle norme costituzionali di segno progressivo e la disapplicazione delle norme fasciste. Si trattava di garantire, anche con la giurisprudenza, la realizzazione della promessa di emancipazione.
Ovviamente l'accentuazione su l'uno o sull'altro versante da parte di Md varia a seconda delle fasi: con una prevalenza, in quelle di avanzamento del movimento popolare e democratico, della valorizzazione del momento promozionale, dell'uso alternativo del diritto, con un maggiore impegno, in quelle difensive e di arretramento, per la difesa delle libertà e per la valorizzazione delle garanzie processualpenalistiche e della normativa lavoristica. Di questo travaglio, di questo impegno è stata testimone la rivista Qualegiustizia.
Tutto ciò nell'ambito di un'idea della magistratura, del ruolo del giudice, che Md andava progressivamente affinando, anche attraverso alcuni seminari ideologici, proprio così venivano chiamati, nei quali, accanto ad altri temi rilevanti, cresceva la proposta di praticare e proporre, conformemente ai principi costituzionali, un'interpretazione capace di valorizzare al massimo libertà universali e prospettive egualitarie. E' interessante ricordare che nel 1972 un numero monografico della rivista Politica del diritto, dedicato a Magistratura e sistema politico, con esplicito riferimento a decisioni dei giudici nord-americani in tema di libertà e diritti politici, trattò e descrisse una concezione della magistratura come organismo di frontiera del sistema politico, teso a integrare minoranze etniche, religiose e razziali. Forse da questa analisi, proprio nella prospettiva di una migliore, pi forte tutela di libertà, garanzie e diritti, fu proposta da qualcuno all'interno di Md, sia pure per breve tempo, l'idea della magistratura come organismo esterno allo Stato apparato, collocato a metà strada, così disse qualcuno, appunto fra lo Stato e la società civile.
Mentre permanevano, nella sinistra storica come negli altri settori politici, concezioni sostanzialmente improntate a logiche di compatibilità - se non addirittura di collateralismo - della giurisdizione rispetto alla politica, con il crescere di un'opposizione sociale che avrebbe poi avuto il suo culmine nel "movimento del â€èœ77", per Md il tema del garantismo assunse connotati parzialmente nuovi. La dialettica fra i concetti di giurisprudenza alternativa e di garantismo doveva essere rapportata a uno stato delle cose che vedeva in atto, contemporaneamente, spinte al cambiamento determinate da protagonisti nuovi senza rappresentanza generale e aree crescenti di emarginazione sociale. Qui si approfondì l'idea di un ruolo della giurisdizione che doveva farsi carico del "libero dispiegarsi delle dinamiche sociali" e della tutela di chi altre forme di protezione dei propri diritti non aveva (fu la teorizzazione del garantismo dinamico).
La crescente attenzione al versante del garantismo nel processo penale peraltro - mentre passavano in qualche misura e per qualche tempo in secondo piano sia il concetto di garantismo dinamico che quello di giurisprudenza alternativa - a partire da un certo momento si prospettò come necessitata per Md sull'onda dei caratteri della "legislazione dell'emergenza", del moltiplicarsi dei processi per fatti di terrorismo e poi, due anni pi tardi, con il processo del 7 aprile (Padova e Roma, 1979).
La cosa non riguardò affatto - come strumentalmente affermavano gli avversari di Md che andavano accusando alcuni degli aderenti impegnati in processi pi o meno importanti, in particolare per reati di terrorismo, di contiguità all'area della lotta armata - la difesa indiscriminata di ogni radicalismo estremista. Oggi, a distanza di anni, il giudizio di molti si è modificato, anche nell'ambito della cosiddetta sinistra storica, a proposito della gestione di quei processi da parte dei magistrati che a Md facevano riferimento e, in particolare, dell'atteggiamento di favore tenuto in particolare dal Pci rispetto alle leggi dell'emergenza.
3. Dunque, le libertà, i diritti, il garantismo. In ordine al quale ancora oggi nella sinistra italiana tanti dubbi, tanti equivoci andrebbero chiariti. In un dibattito che si è sviluppato nel 2003 ai tempi della discussione sul lodo Maccanico-Schifani, quando Ernesto Galli della Loggia affermava che il garantismo era nato a destra, se fu facile per Massimo Cacciari rispondere che già negli anni '70 la richiesta di maggiori garanzie per i cittadini venne da sinistra, fu altrettanto facile per altri sottolineare le distinzioni, ad esempio ricordando l'intransigente sostanzialismo del Pci.
Il giornalista Carlo Panella, che all'epoca scriveva su "lotta continua" e oggi collabora a "Il foglio", ricordando una vicenda giudiziaria che lo vide coinvolto in prima persona, e l'aiuto che nell'occasione gli venne dato da Md, nel concordare con Cacciari circa le origini a sinistra del garantismo, ha affermato che venne impersonato per molti anni - grosso modo dal 1977 in poi - dal Psi di Bettino Craxi. L'affermazione è corretta solo in parte. La verità, infatti, è che rispetto alla lotta al terrorismo quale di determinò a partire dalla legge Reale e soprattutto dagli arresti del 7 aprile 1979 la critica realmente garantista fu affidata a pochi soggetti: il Manifesto e in particolare Rossana Rossanda, Luigi Ferrajoli e Stefano Rodotà, Umberto Curi e alcuni scrittori, come Paolo Volponi, sostanzialmente isolati (nella stessa Md per qualche tempo non mancarono i sostenitori dell'opportunità di un atteggiamento prudenziale). A livello politico solo in alcuni ambienti del Psi, come in alcuni ambienti del sindacalismo cattolico, vennero espresse perplessità rispetto al sostanzialismo dilagante, peraltro senza mai eccedere nella critica.
Del resto, allorch alcuni magistrati affrontarono con coraggio la questione delle torture alle quali erano stati sottoposti alcuni aderenti alle Br arrestati al tempo del sequestro del generale americano Dozier, incriminando e rinviando a processo alcuni appartenenti alla polizia (Padova, 1982), solo il partito radicale del tempo, con numerose interpellanze parlamentari e vari interventi pubblici, e la ristretta area di intellettuali appena citata, espressero adesione all'iniziativa contrapponendosi alle proteste e alle critiche, in qualche caso violente, che avevano investito da ogni parte la giurisdizione.
Ovviamente non ha nulla a che fare con il garantismo qual è stato inteso in questi quarant'anni da Md il garantismo selettivo sbandierato oggi dalle destre, che invoca il rispetto delle regole solo se lo richiede la particolare condizione sociale dell'imputato mentre abbraccia un sostanzialismo esasperato, come in numerosi casi si è potuto constatare di recente (alcuni esempi sono stati già fatti), se si tratta di imputati con caratteristiche diverse. E' dunque condivisibile quanto affermava in occasione di quel dibattito Gad Lerner, e cioè che la destra è garantista con i forti e forcaiola con i deboli (Lerner richiamava le proposte governative in tema di immigrazione, stupefacenti e reati di strada). Ma è anche vero ciò che Lerner aggiungeva, e cioè che la sinistra ha perso sensibilità su queste tematiche? Un quesito non semplice, questo. La risposta presuppone infatti in primo luogo l'individuazione del significato che si dà oggi alla parola "sinistra", e quindi dei soggetti politici che di sinistra possono considerarsi: tema con il quale Md è chiamata inevitabilmente a misurarsi (per parte mia ho provato ad affrontarlo nel citato articolo su Questione Giustizia). E poi richiede un'analisi non superficiale da un lato dei meccanismi che mettono a rischio libertà e diritti, dall'altro delle forme in qualche misura nuove delle lotte sociali e del rapporto far queste lotte e la giurisdizione.
Seconda parte: l'attualità
1. Così siamo giunti all'attualità, ai problemi che sono di fronte a Md (e non solo), al che fare non solo in termini di iniziative esterne e di contatti con soggetti che si muovono per la difesa di diritti e garanzie, ma anche con riferimento alla giurisprudenza. In generale si propone intanto un primo quesito: se e in che misura qualcuna delle quattro grandi libertà dei moderni non sia intaccata o comunque concretamente a rischio. Già qui il discorso è tanto ampio quanto preoccupante.
Non vi è necessità di soffermarsi in ordine allo stato delle libertà di stampa, di informare ed essere informati, e quindi di opinione. La situazione, e le conseguenze che per quelle libertà derivano, è talmente nota e da tanti sotto diversi aspetti analizzata che davvero non è necessario descriverla qui. In sintesi. Già prima del 2001 l'assenza di editori puri, e la presenza diffusa di editori industriali impegnati in una serie di altre attività economico-finanziarie, aveva determinato una scarsa autonomia di quotidiani e periodici, e quindi un contenimento forte del diritto a un'informazione libera. La situazione è poi peggiorata con il governo Berlusconi: dal riferimento diretto o indiretto di canali televisivi, pubblici e privati, di quotidiani, periodici e case editrici a un unico soggetto, attivo protagonista della vita politica e leader della maggioranza di governo, è già derivata una lesione concreta e profonda di quelle libertà. Lo stesso valore del pluralismo dell'informazione è ormai in crisi, nella misura in cui lo si voglia intendere come possibilità di presenza di un ventaglio ampio di posizioni culturali e anche politiche.
Ha scritto Nicola Tranfaglia, giustamente, che parlare in Italia di "quarto potere" è del tutto improprio. Il dissenso sociale e politico, poi, è spesso aggredito da questa grande armata di mezzi di comunicazione, che spesso lo indicano come un insieme di attività contrarie agli interessi del paese, quando non come l'anticamera del terrorismo. Così, se la pubblica denuncia dell'aggravarsi delle condizioni di detenzione in tanti istituti effettuata da una pluralità di associazioni è stata definita dal ministro della giustizia Roberto Castelli a metà settembre 2002, con una forte pubblicizzazione mediatica, "un piano di rivolta nelle carceri fomentato dalla sinistra" (e a metà settembre del 2004 lo stesso ministro se l'è presa duramente per ragioni e in termini analoghi con esponenti del partito radicale), un violento attacco a pi voci, di esponenti politici e degli organi di stampa a loro vicini, in qualche caso con allusioni al fiancheggiamento dei terroristi, ha investito la Cgil e il suo segretario generale del tempo, Sergio Cofferati, dopo l'omicidio di Marco Biagi. Allusioni che periodicamente ancora riaffiorano.
La libertà personale, ovvero il diritto di non essere arrestati arbitrariamente e di essere giudicati secondo leggi penali e processuali ben definite, sembra essere messa in discussione dalla necessità di combattere il terrorismo, dal terrore dell'invasione extracomunitaria e dalle logiche securitarie conseguenti o connesse: in concreto, intanto dalla normativa sull'immigrazione, ma anche da alcune norme o da prassi collegate, come alcuni avvenimenti hanno evidenziato. Chi al garantismo ancora crede deve fare i conti con tutto ciò.
La possibilità di detenzione senza reato è esplicitamente prevista dalle leggi - la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini - sull'immigrazione. Il discorso sul punto può essere breve. Secondo i dati del 2002 sono entrate nei centri di detenzione amministrativa 17.000 persone (il loro numero coincide con quello degli stranieri che sono in carcere), 3.000 delle quali sono donne. A questi centri si può dare il nome che si vuole, ma la realtà è quella che è: si tratta di centri di detenzione, e chi prova in qualche modo di uscirne viene duramente fermato.
Ma anche altri episodi evidenziano un clima non favorevole alle garanzie. Se a Roma, nel febbraio 2002, quattro cittadini afgani vennero arrestati perch trovati in possesso di una cartina della città in cui erano evidenziati luogo di culto cattolici (si trattava di profughi intenzionati a chiedere asilo e la cartina era stata data loro dalla Caritas alla quale si erano rivolti per trovare un alloggio), nel settembre di quell'anno quindici pakistani a borgo di un mercantile, trovati in possesso di documenti irregolari, vennero arrestati e tenuti a lungo in stato di detenzione, con un grande clamore di organi di stampa che parlarono della scoperta di una cellula di Al Qaeda: poche righe di commento, infine, quando quelle persone vennero scarcerati per assenza di indizi. Per il pakistani, d'altro lato, la vita spesso è dura: a Napoli, nel gennaio 2003, 28 di loro vennero arrestati per terrorismo, anche qui con i commenti entusiastici della stampa, e infine scarcerati con la caduta di tutte le accuse. Del resto, il trattamento riservato ai migranti, oggi espulsi con immediatezza sulla base di accordi con stati esteri che non contemplano n controlli giurisdizionali n verifiche di un eventuale diritto d'asilo è indicativo della crescente indifferenza per regole e procedure di garanzia.
Anche la vicenda della norma antitortura (art. 613 bis c.p.), davvero amara, suscita allarme. Da molti segnali si prospettava come pacifica l'approvazione da parte del parlamento del disegno di legge n.1483, di attuazione della convenzione dell'Onu sul divieto di tortura, con l'introduzione nel codice penale di un'apposita previsione. Invece la camera dei deputati ha approvato nel giugno 2004 un emendamento della Lega che limita il reato al caso in cui violenze e minacce gravi siano anche reiterate. Un voto accolto con il silenzio dal presidente del consiglio che pure, quando era all'opposizione, firmava interpellanze in nome del garantismo per sollecitare il governo di centro-sinistra ad approvare la nuova norma "per la tutela dei diritti inviolabili della persona", ponendo fine a un "inqualificabile inadempimento". L'inadempimento si è protratto per anni, e anzi si è arrivati al voto della camera, senza che il leader di Forza Italia abbia trovato nulla da dire. Sempre meglio il silenzio di un garantista finto, verrebbe da dire, rispetto all'esplicita approvazione dell'emendamento espressa dal vicepresidente del consiglio, leader di Alleanza nazionale.
Certo, tutto ciò è ancora lontano dai provvedimenti che sono stati adottati negli Usa, dove fra i giuristi si è di recente teorizzato che la tortura è legittima se è autorizzata dal giudice. Del resto a Guantanamo, come ha scritto Danilo Zolo, la civiltà giuridica che ha posto al suo centro un modello di processo penale fondato sul diritto è stata letteralmente distrutta. E però la lotta al terrorismo, il contrasto all'immigrazione clandestina e poi la tutela della sicurezza si possono facilmente trasformare in un particolare tipo di controllo sociale a tutto campo: è per questo che i segnali che si sono prima ricordati con riferimento alla situazione del nostro paese inducono a qualche preoccupazione a proposito della libertà personale e dello stato delle relative garanzie. Anche perch, prescindendo dal terrorismo, due dati inquietanti gravano sulla situazione italiana, quello del numero delle persone in carcerazione preventiva e quello della composizione sociale della popolazione carceraria.
Lotta al terrorismo, immigrazione, sicurezza. In realtà, dietro tutto ciò, dietro le quinte dello scontro fra gli imperi del bene e del male, prospettato dalle politiche delle destre del nord del mondo, vi è il tentativo di modificare nel profondo le forme del governo. Il controllo sociale, nei paesi che hanno fatto propria la logica della globalizzazione neoliberista e del primato del mercato su ogni altro bene, richiede modifiche, palesi o striscianti, delle costituzioni liberaldemocratiche e una limitazione drastica dei diritti vecchi e nuovi. Qui le violazioni delle garanzie giuridiche sono all'ordine del giorno.
La libertà di riunione e quella di associazione non sono state direttamente investite da provvedimenti legislativi. Non vanno taciute peraltro le perplessità che suscita la nuova formulazione dell'art. 270-bis del codice penale, non tanto per l'estensione della previsione normativa resa necessaria dal carattere internazionale di alcune formazioni terroristiche e della loro attività, quanto per la genericità della formulazione, del riferimento alle "finalità di terrorismo" che consente di colpire come terroristica qualsiasi forma di violenza politica, comprese quelle di resistenza a regimi o a politiche di repressione. Una fattispecie penale a geometria variabile, l'ha giustamente definita Giancarlo Scarpari in un saggio su il Ponte. Capita così che nell'elenco continuamente aggiornato che viene redatto in sede europea, fra la organizzazione terroristiche sia ancor oggi ricompreso il Pkk dei curdi: della sorte del leader di questo partito "Apo" Ocalan, alcuni anni fa Md si è attivamente interessata, mostrando pubblicamente grande apprezzamento per la sentenza con la quale il tribunale di Roma riconobbe il suo diritto all'asilo politico. Oggi l'Europa, che vuole acquisire fra i suoi membri la Turchia, si preoccupa di definire il Pkk come organizzazione terroristica. Potrebbe anche chiedersi, e chiedere appunto alla Turchia, che fine abbia fatto Ocalan.
Ma, oltre a ciò, sono riscontrabili prassi - e si vedrà fra breve anche alcune linee di giurisprudenza - che in qualche misura sembrano mettere in discussione queste libertà fondamentali quando vengano praticate da gruppi di opposizione radicale alle scelte politiche di governo o del legislatore. Il ricordo va in primo luogo, anche per quel che concerne la libertà di riunione, a quanto è avvenuto a Napoli nella primavera del 2001, con pestaggi e maltrattamenti vari dei manifestanti ad opera della polizia, con pretese forti, autorevolmente sostenute, di impunità per gli autori di quei fatti; e pochi mesi dopo a Genova, nel luglio: dalla istituzione, con relativa blindatura e con la militarizzazione della città, della cosiddetta "zona rossa", al ferimento di centinaia di manifestanti, con i pestaggi nelle scuole Diaz e Pertini e nella caserma di Bolzaneto, con il ricorso all'impiego di armi da fuoco e con l'uccisione di Carlo Giuliani (le ultime uccisioni di manifestanti ad opera della polizia - si trattava di Giorgiana Masi a Roma e di Francesco Lo Russo a Bologna - risalivano alla primavera del 1977). Qui, a proposito dell'invocazione spesso strumentale dei valori del garantismo, va ricordato come di fronte a quelle violenze, che in qualche caso hanno investito anche giovani avvocati che tentavano di imbastire qualche difesa dei manifestanti arbitrariamente fermati e duramente colpiti, e se stranieri immediatamente espulsi, siano rimaste a quel tempo silenziose tante camere penali, quella nazionale come quelle di Napoli e Genova.
Per quanto riguarda pi da vicino il settore penale va intanto rilevato, quanto all'auspicata attenuazione dell'esposizione della magistratura su alcuni versanti - la "supplenza", da tanti criticata e in Md da non pochi temuta - come dopo il 1992, quando sembrava che la politica, cioè il complessivo governo della società, volesse ridurre il fenomeno, i partiti seppero varare una commissione parlamentare anticorruzione che elaborò alcune proposte di legge per tentare di ripristinare il principio di legalità nell'attività politico-amministrativa: di quelle proposte non se n'è fatto nulla. Come nulla è stato fatto per quel che concerne l'esigenza di affrontare adeguatamente le ragioni del riprodursi del fenomeno mafioso, che può essere contrastato dai magistrati nei ristretti limiti della repressione penale, ma certamente non eliminato. Il tutto, con conseguenti sollecitazioni a una sovraesposizione della magistratura - unica istituzione chiamata a "combattere" quei fenomeni - e, in qualche caso, a tentazioni di protagonismo e a forzature sostanzialiste.
Ancora. Per quel che concerne le figure di reato, negli ultimi anni il loro numero è aumentato (oggi c'è il fenomeno immigrazione, in particolare, a indurre continuamente in tentazione) e le pene - tolto il caso del falso in bilancio - in qualche caso sono state aggravate. L' "illusione repressiva", anzich ridursi, si è andata estendendo, come l'approccio al fenomeno stupefacenti evidenzia. Per quel che concerne la custodia cautelare, in un quadro complessivo caratterizzato dall'assoluta inefficacia della riforma del 1995 (questo è un punto di specifica responsabilità dei giudici), è normalmente il carcere la forma adottata, rimanendo gli arresti domiciliari una concessione, spesso un premio per chi presta collaborazione agli inquirenti. Contemporaneamente alcuni stabilimenti carcerari, specialmente in occasione del succedersi di suicidi, vengono tranquillamente definiti dalla stampa "carceri degli orrori"; e le proposte di alcuni coraggiosi di ricorrere almeno a uno dei vecchi provvedimenti di amnistia/indulto per attenuare un disumano sovraffollamento vengono sostanzialmente irrise.
2. Rispetto a tutto ciò, come si deve atteggiare la giurisdizione? E' una domanda che, anche in relazione all'insieme dei suoi compiti, Md dovrà affrontare nel congresso di Palermo. Di certo, a fronte dell'arretramento dei diritti, l'unica cosa da fare è ripartire dalla loro difesa radicale, in ogni occasione, prescindendo dagli schieramenti politici attuali, perch l'esperienza dimostra - ovviamente facendo tutte le opportune distinzioni - che sotto questo aspetto non ci sono garanzie. Cosa vuol dire questo?
Vuol dire innanzitutto che in relazione all'esigenza di difendere i diritti, dovranno essere potenziati i rapporti di Md con i soggetti che si muovono nella stessa logica, anche per iniziative comuni: dalla Cgil all'Arci, alle varie associazioni con le quali già spesso opera, prima fra tutte Medel.
Ma è anche necessario valorizzare nel sistema penale l'attività giurisdizionale complessivamente intesa, elaborando e proponendo linee interpretative di garanzia. Va detto con chiarezza. Oggi è grande il rischio che lo strumento penale venga utilizzato per contrastare il dissenso e le lotte sociali, per marginalizzare definitivamente ceti deboli e sottoprotetti.
Non sono pochi i settori nei quali si può configurare una giurisprudenza che possa contrastare questa tendenza, una giurisprudenza che in tanto può avere successo in quanto per primi i giudici democratici si impegnino, nella concretezza dei provvedimenti che adottano, in questa direzione. Intanto, il ruolo del giudice attento ai beni della democrazia e all'effettività dei diritti richiede oggi una forte attenzione ai profili di costituzionalità delle leggi, e quindi una disponibilità a interpretare in un'ottica garantista, o a sottoporre all'esame della corte costituzionale, le norme che incidono sulla condizione delle persone, a cominciare dai migranti. Com'è a tale proposito la giurisprudenza, a cominciare da quella complessivamente prodotta dagli aderenti a Md?
Non è necessario soffermarsi sulle ragioni per le quali è indispensabile un fermo rigore nel controllare la legittimità di fermi e arresti o i presupposti della custodia cautelare. Qui è facilmente riscontrabile, al contrario, un certo generale lassismo, una specie di abitudine a lasciar correre quasi che quel rigore fosse sostanzialmente inutile. Se una convinzione del genere esiste, va detto con chiarezza che è profondamente sbagliata e produttrice di guasti.
Un ragionamento va fatto anche a proposito dell'utilizzazione di quegli strumenti, quali i reati associativi, che possono essere impropriamente usati a fini politici. Vi sono state negli ultimi tempi iniziative giudiziarie in varie città che meritano attenzione non tanto perch appaiono in quanto tali fortemente discutibili quanto perch costituiscono in generale rilevanti segnali d'allarme. Il primo riferimento è alla sorprendente denuncia per reati associativi contro alcuni esponenti dei movimenti no-global, che presso la Procura della Repubblica di Cosenza si è tradotta nella richiesta di numerosi provvedimenti restrittivi e nella richiesta, anche questa accolta, di numerosi rinvii a giudizio per il reato di "cospirazione politica" (che se fosse quella realizzata mediante associazione prevederebbe una pena base per promotori e organizzatori da cinque a dodici anni di reclusione): un'iniziativa giudiziaria a suo tempo fortemente pubblicizzata, da prendere in considerazione anche perch i provvedimenti largamente liberatori del tribunale del riesame non hanno di certo attenuato l'effetto di intimidazione di quelle decisioni. Il ricorso al reato associativo è stato corretto o forzato? e in quest'ultimo caso, in quale prospettiva e secondo quali logiche s'è mossa la magistratura?
Ancora. Sostanzialmente sotto silenzio è passata la sentenza con la quale, a metà settembre 2004, il tribunale di Roma ha assolto con la formula "perch il fatto non sussiste" otto militanti di un gruppo denominato "Iniziativa comunista", arrestati il 3 maggio 2001 nell'ambito delle indagini sulle nuove Brigate rosse e sull'omicidio di Massimo D'Antona, e posti in libertà dopo circa nove mesi. Agli imputati era contestato il delitto di associazione sovversiva, par di capire, per una "interlocuzione politica" con le nuove Br. Sarebbe opportuno studiare gli atti di questo processo, perch la sensazione che dalle scarne notizie di cronaca si è tratta è che imputazioni e arresti siano avvenuti sulla base di elementi inconsistenti, come pare abbia detto in aula il giudice romano dopo la pronuncia della sentenza, valorizzati solo dall'ideologia politica degli associati. La sensazione corrisponde alla realtà? Il rinvio a giudizio è stato disposto nel luglio 2002, quando ormai cominciava ad emergere che altri erano gli aderenti alle Br e gli autori dell'omicidio D'Antona; ma cos'è l'interlocuzione politica?
Inoltre, in alcune città si sono aperte inchieste nei confronti di militanti di centri sociali o dell'area dei "disobbedienti", nell'ambito delle quali è stato utilizzato il reato di associazione per delinquere nei confronti di gruppi che ad esempio si interessano attivamente per il diritto alla casa, in qualche caso ricorrendo all'iniziativa dell'occupazione di alloggi sfitti o di capannoni abbandonati. Eppure è evidente che si tratta di gruppi che non nascono con un programma criminoso, che su quella o su altre problematiche si muovono in vari modi e in varie direzioni, spesso interagendo con gli enti locali e con soggetti sociali interessati al tema. Possono episodi di occupazione giustificare la contestazione, oltre che di eventuali reati specifici, anche di quello associativo?
Qui si pone allora un problema per Md, che potrebbe sintetizzarsi così. Qual è l'atteggiamento, qual'è il ruolo del giudice, rispettoso al contempo delle previsioni normative e della tutela delle libertà costituzionali a fronte da un lato delle ideologie di carattere radicale o estremista e delle nuove forme di lotte sociali? Perch in questi ultimi anni di lotte sociali che, scomposte in vari pezzi e isolate dal contesto in cui si sono estrinsecate, possono in astratto consentire, con riferimento a uno spezzone della realtà, la formulazione di imputazioni varie, il nostro paese ne ha conosciute non poche, ben al di là delle occupazioni o dei cortei non autorizzati. Dalle azioni dei pacifisti che in tanti luoghi hanno tentato di opporsi al trasporto di armamenti destinati alle varie aggressioni a Stati sovrani che si sono avute in questi ultimi anni, a quelle operaie in difesa dell'occupazione, dalla Fiat di Termini Imerese alle acciaierie di Terni, o per la difesa del salario, come quelle degli autoferrotravieri di Milano, tutte condotte non solo con una serie di contatti politici e istituzionali ma anche interrompendo il traffico ferroviario, autostradale o aeroportuale; da quelle delle popolazioni di alcuni paesi del Mezzogiorno in difesa del territorio e della salute degli abitanti, fino a quelle, imponenti, contro le politiche dei vari G8, a Genova in primo luogo. Certo, reati specifici sono a volte configurabili. Ma che senso ha il ricorso al reato associativo? Non si è di fronte alla criminalità organizzata, ma a qualcosa di ben diverso, non c'è bisogno di dirlo.
Qui il pericolo è evidente e tutta Md deve esserne consapevole: la generalizzazione e l'inasprimento di alcune iniziative, fino a oggi fortunatamente sporadiche e limitate, potrebbe domani determinare un contrasto complessivo, proprio tramite il ricorso ai reati associativi, a dinamiche sociali che non trovano espressione negli schieramenti parlamentari scaturiti dal maggioritaro, una repressione impropria di fenomeni riconducibili alle richieste di pace, di rispetto del diritto al lavoro e dei diritti di chi lavora, di realizzazione di diritti sociali, dalla casa alla salute, in alcuni settori considerati tutelabili, nella logica liberal-liberista imperante, solo se compatibili con le esigenze del mercato e del profitto.
Ma poi si tratta di ricominciare a dire alcune cose, in tutti i modi e nelle sedi possibili. Si può ad esempio dire di nuovo che è davvero un'illusione pensare che il ricorso alla repressione penale possa risolvere ogni tipo di problemi, e che al contrario è indispensabile una forte selettività nell'impiego di questo strumento. Che i grandi fenomeni criminali che hanno radici strutturali in una determinata organizzazione sociale - oggi la mafia e il commercio degli stupefacenti - non potranno mai essere eliminati, ma solo parzialmente contrastati con il processo penale. Che il processo penale normale è quello con l'imputato a piede libero, essendo la custodia preventiva, in particolare quella nella forma carceraria, davvero uno strumento ultimo. E vi è probabilmente anche l'esigenza di valutare con rinnovato spirito critico l'incidenza che - anche per effetto dell'interpretazione dei giudici - gli attuali livelli di premialità che caratterizzano il diritto penale hanno da un lato sulla legittimazione del sistema, e quindi anche della magistratura, in rapporto ai cittadini (si pensi alle sdegnate reazioni che hanno attraversato l'intero paese in occasione della vicenda Brusca), e dall'altro sui caratteri e gli esiti di quello che dovrebbe essere, anche in termini di uguaglianza, un processo giusto e garantito (la memoria va al processo Sofri).
Nella misura in cui si dovrà tentare di tenere ferma la giurisdizione sulla linea di difesa di libertà, diritti e garanzie, appare necessario prendere di nuovo in considerazione, come strumenti d'iniziativa praticabili, l'attività di denuncia, anche con riferimento alle prassi giudiziarie e di gestione degli uffici, e quella che una volta si chiamava interferenza. Md ha una rilevante esperienza, certo ormai lontana ma di grande spessore politico e culturale, che può tornare oggi utile.
Il tutto senza dimenticare - ciò ovviamente vale non solo per il settore penale - che pur di fronte alla catastrofe che in termini di funzionalità ha investito gli uffici giudiziari, è compito dei magistrati democratici tentare di realizzare, ove possibile con la collaborazione degli avvocati, una qualche efficienza del servizio giustizia ( ciò vale per tutti gli uffici, dai tribunali fino alla corte di cassazione). Un impegno, questo, al quale si deve affiancare, anche in termini di provocazione culturale, l'opera di proposta che in Md è già iniziata per merito di alcuni gruppi di lavoro, sul versante dell'immigrazione come su quello delle relazioni industriali, per il processo civile e per il processo penale. Anche di qui passa la difesa del garantismo.
Sono solo alcuni spunti di riflessione, che dovranno essere approfonditi, in ordine a una rinnovata rilevanza dell'attività giurisdizionale e del momento interpretativo in relazione alla situazione che si è determinata, e alle esigenze difensive che la stessa propone.
Ripartire dai diritti e dalle garanzie è possibile. Del resto, l'oggettiva rilevanza delle contraddizioni che contraddistinguono la fase garantisce che questa, pur così difficile, verrà superata.
Giovanni Palombarini