del presidente Livio Pepino
Com'era prevedibile e previsto, alla vigilia del congresso dell'Associazione nazionale magistrati il ministro della giustizia ha comunicato di avere deciso di blindare, in Senato, il disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario licenziato prima dell'estate dalla Camera. La ragione è stata detta da mesi: perch altrimenti non si farebbe in tempo a portare a compimento la "riforma". L'aveva, del resto, anticipato uno dei "padri" del progetto, il sen. Bobbio, aggiungendo che, effettivamente, ci sono incongruenze ed errori, ma che il Senato si impegnerà, come appositi ordini del giorno, a modificarli. C'è da non crederci. In oltre due anni
Governo e maggioranza non sono stati in grado di redigere un progetto coerente, ch il testo originario, elaborato nel chiuso degli uffici ministeriali, è stato totalmente riscritto con un primo "maxiemendamento", modificato al Senato e infine rimaneggiato alla Camera con un nuovo "maxiemendamento": il tutto per approdare ad una versione ritenuta inadeguata dallo stesso relatore... Non basta. Sulle soluzioni adottate nel
testo finale la Camera non ha discusso (avendo il Governo bloccato il
dibattito con il ricorso alla fiducia) e altrettanto si appresta a (non)
fare, almeno nei propositi del ministro, il Senato: con buona pace dei
ripetuti inviti del presidente della Repubblica a cercare soluzioni
condivise. Di pi, dalla elaborazione del progetto sono state escluse (fatto unico nella storia del Paese) la magistratura, l'avvocatura e la cultura giuridica, a cui sono state riservate - quando è accaduto - solo rapide e rituali audizioni in sede parlamentare. Infine - ciliegina di non poco momento - la maggioranza, a mezzo di suoi autorevoli esponenti e con l'autorevole avallo del guardasigilli, tranquillizza operatori e cittadini: approveremo la legge, pur se in taluni punti inattuabile e inadeguata, ma contemporaneamente ci impegneremo a modificarla (sic!). Sapevamo che il
ministro non è un novello Giustiniano, ma c'è un limite a tutto!
La domanda sorge, dunque, spontanea. A che pro questa corsa contro il tempo
e questo scempio dei pi elementari principi di tecnica legislativa? Lo
abbiamo detto e ripetuto pi volte: a completare l'opera iniziata con le
leggi sul falso in bilancio, sulle rogatorie, sul legittimo sospetto e via
elencando. Cioè a ridimensionare lo Stato di diritto, l'equilibrio dei
poteri, l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. L'operazione
resterebbe a metà se non si indebolissero le istituzioni preposte, nel
nostro sistema, a garantire il rispetto delle regole da parte di tutti: la
Corte costituzionale e la magistratura ordinaria. A ciò mira il tentativo,
perseguito con questa "riforma" dell'ordinamento giudiziario, di trasformare
i magistrati in burocrati, di condizionarne l'autonomia con un sistema di
tipo gerarchico, di allontanare i pubblici ministeri dalla cultura della
giurisdizione e di centralizzarne l'organizzazione (così agevolandone il
controllo), di limitare il governo autonomo della magistratura e di
trasferire al ministro significative competenze in materia, di trasformare
il sistema disciplinare in veicolo (anche) di conformazione culturale dei
giudici.
Che fare, di fronte a ciò? Mi limito, ovviamente, alle risposte dei
magistrati. Credo non vi siano alternative a quella di continuare, con
fermezza e determinazione, nella strada intrapresa, fissando in tempi brevi
i due giorni di sciopero già proclamati dall'Associazione nazionale
magistrati: gesto estremo ma necessario per opporre alle ragioni della forza
la forza della ragione, «a difesa dell'ordine costituzionale, a difesa
dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, a difesa del ruolo
che la Costituzione assegna al Consiglio superiore della magistratura, per
la dignità dei magistrati italiani» (per riprendere lo slogan dello sciopero
del 3 dicembre 1991, intervenuto in tutt'altro contesto, a dimostrazione che
la protesta dei magistrati è contro gli attacchi all'indipendenza e non
contro questo o quello schieramento politico...). Non sarà uno sciopero
inutile: se anche non dovesse evitare l'approvazione di una legge delega
sbagliata e di dubbia legittimità costituzionale (obiettivo, comunque, da
non abbandonare neppure di fronte all'apparente ineluttabilità), esso
segnerà l'inizio di un'azione di lungo periodo per evitarne - in sede di
redazione dei decreti delegati - sviluppi peggiorativi, per denunciarne
l'irrazionalità, per stimolare i contributi critici di quanti hanno a cuore
una «giustizia giusta» per tutti, per porre le basi di altri interventi
legislativi di diverso segno. E non sarà, come qualcuno dice anche a
sinistra, uno sciopero inopportuno o, addirittura, illegittimo: quando sono
in gioco delicati equilibri costituzionali e i fondamenti dell'indipendenza
dei magistrati (base - è bene ricordarlo - per una effettiva tutela dei
diritti, delle libertà e dell'uguaglianza) sarebbe, piuttosto, inopportuno e
poco responsabile farsi da parte e tacere. Se ciò accadesse i nemici
dell'indipendenza della magistratura avrebbero già vinto.