di Md
Dall'Iraq si susseguono notizie sempre pi drammatiche e inquietanti.
Dopo l'avvio di una guerra illegittima (giustificata in base
all'affermata esistenza di "armi di distruzione di massa" mai
rinvenute), dopo l'utilizzo di bombardamenti ai danni della popolazione
civile, dopo l'utilizzazione generalizzata di milizie private e di
mercenari al di fuori di ogni controllo, arriva ora la denuncia,
documentata da immagini fotografiche, di orribili torture nei luoghi di
detenzione gestiti dalle forze della coalizione guidata dai governi
anglo-americani.
La tortura, da chiunque e a qualunque fine praticata costituisce un
crimine contro l'umanità e una violazione delle stesse leggi di guerra.
Essa è l'antitesi della democrazia e dello Stato di diritto e
delegittima ogni affermazione di voler difendere (o addirittura
esportare) questi valori. Di pi, essa segna la sostituzione della
civiltà con la barbarie. E gli effetti pratici non sono meno devastanti
di quelli di principio: con la tortura e la barbarie non si contrasta il
terrorismo ma lo si alimenta, perch la pace e la stabilità si
costruiscono solo con la giustizia e il diritto.
Oggi che in Italia si discute, finalmente, dell'introduzione del reato
di tortura, le immagini e i racconti provenienti dall'inferno iracheno
dovrebbero costituire un monito severo per chi vuole limitarne
l'applicabilità all'ipotesi di /reiterazione/ delle violenze e dei
maltrattamenti. L'integrità fisica di chi si trova sottoposto all'altrui
autorità è un diritto fondamentale, incondizionato e assoluto.
Dimenticarlo, per insensibilità o per calcolo politico, infrange i
principi su cui si fonda la civiltà dei moderni.