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Pendono di fronte al Parlamento numerosi progetti e disegni di legge di modifiche settoriali al codice di procedura penale.
La legislazione penale degli ultimi anni è stata caratterizzata dalla frammentarietà e dalla rincorsa a spinte emergenziali ( spesso per fini tutt'altro che nobili, occasionati da singoli processi), con il sovrapporsi di norme che hanno creato un sistema farraginoso ed irto di ostacoli e trabocchetti. E' indubbio che occorre rimettere mano in modo organico al processo penale e che per fare ciò occorre prendere come assi portanti i principi dell'art.111 Costituzione, il contraddittorio e la ragionevole durata del processo. Tale percorso va intrapreso senza indugi, ma anche senza scorciatoie, cercando di ricostruire un comune sentire e proposte condivise di tutti gli operatori e studiosi del settore, dottrina, avvocatura, magistratura.
Nell'immediato si può praticare una politica di interventi limitati, per aiutare il concreto funzionamento del processo, quanto meno per attuare la parte dell'art. 111 della Costituzione che impone la ragionevole durata del processo: non solo perch tutte le norme costituzionali vanno attuate senza distinzione, ma perch lo richiedono principi di civiltà pi volte ribaditi dalla Corte europea dei diritti dell' uomo e la sanzione dei ritardi stabilita dalla cd legge Pinto non costituisce una idonea soluzione, se non si affrontano i nodi strutturali che cagionano i ritardi. Recentemente, del resto, la stessa Corte ha ritenuto l'ammissibilità del ricorso diretto nonostante la legge Pinto. La lentezza del processo è, dunque, un problema nazionale gravido di conseguenze negative, anche finanziarie, e incide negativamente sul prestigio internazionale del paese. E tuttavia i disegni di legge che hanno avuto origine dal disegno Pittelli vanno tutti in direzione opposta, e cioè verso una ulteriore frammentazione del processo e un'accentuata perdita di poteri ordinatori del giudice.
In questo contesto non intendiamo certo sostituirci al legislatore, ma solo aprire un dibattito, su proposte concrete (di qui la bozza di articolato), con l'Università e l'Avvocatura.
Una riforma che si preoccupasse soltanto di accelerare la definizione dei processi sarebbe semplice. Ma una riforma praticabile in tempi rapidi, senza stravolgimenti, ha un senso se riesce a coniugare efficienza e garanzie, nello spirito del processo accusatorio. Certo non può darsi un'efficienza a scapito delle garanzie. Nella gerarchia dei valori costituzionali il dovere di garantire un processo rapido viene dopo il rispetto di diritti quali la libertà personale, il diritto alla difesa, quello alla prova. Ma il legislatore del 1988 non ha colto fino in fondo il significato del processo accusatorio, che è incentrato sul diritto alla prova, e non sulla passività delle parti private (che nel processo inquisitorio, proprio per l'irrilevanza dei poteri in ordine alla prova e alla determinazione del rito, hanno solo il diritto di controllare e in certi casi, paralizzare l'attività degli inquirenti). Ormai il sistema accusatorio è inserito, in linea di principio, nella Costituzione. Rimettere in discussione tutto ciò, ove mai ci fossero ancora nostalgici del codice Rocco, sarebbe del tutto sterile.
1. Nella prospettiva indicata è, evidentemente, centrale il tema delle impugnazioni che, rispetto a un primo grado accusatorio, prevede un appello cartolare ed è rimasto sostanzialmente quello del codice Rocco. Il tema è complesso e comporta la necessità di coordinare tra loro principi ed esigenze quali la garanzia del doppio grado imposta dalla Convenzione europea, la rilevanza costituzionale del ricorso per cassazione, il rapporto tra appello del PM e posizione della parte civile, i rapporti tra i due tipi di impugnazione (le modifiche di una incidono necessariamente sulla configurazione e l' estensione dell'altra). E sarebbe poi opportuno conoscere, almeno per campione, alcuni dati, come il numero delle sentenze riformate in appello, in melius o in peius. Tutto ciò è incompatibile con un progetto di modifiche in tempi brevi ed esige l'apertura di una ricerca e di un confronto tra gli operatori. Fin da ora, tuttavia, è possibile intervenire per scoraggiare le impugnazioni meramente dilatorie, determinate dal tentativo di pervenire alla prescrizione. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto di risolvere in via interpretativa il problema per quanto riguarda i ricorsi inammissibili, facendo leva sulla mancanza di distinzione tra cause originarie e cause sopravvenute di inammissibilità. La soluzione è opinabile dal punto di vista teorico, e comunque soggetta alle possibili variazioni di giurisprudenza, e non risolve il problema degli appelli dilatori. Ciò rende opportuno un intervento legislativo coerente con la considerazione che l'istituto della prescrizione presuppone l'inerzia dello Stato nell'esercizio della potestà punitiva e non un premio all'abilità ostruzionistica della parte. Senza togliere a nessuno il diritto di impugnazione, sembra del tutto logico prevedere che la sentenza di condanna comporta la sospensione della prescrizione, che riprenderà a decorrere in caso di assoluzione non definitiva o di annullamento con rinvio sulla responsabilità o la configurazione del reato.
2. Altro punto che merita un'attenta riflessione è il tema delle incompatibilità, enormemente dilatato dalla Corte Costituzionale. In molti tribunali, soprattutto del sud (dove le associazioni criminali egemonizzano pressoch tutta la devianza), anche per effetto dei riti speciali che impongono la separazione, è difficilissimo formare i collegi. Un processo accusatorio imporrebbe le separazioni, ma il regime delle incompatibilità crea una forte spinta ai maxiprocessi, con tutti i limiti e le difficoltà proprie di questo tipo di processi. Poich il sistema è stato avallato e largamente esteso dalla Corte costituzionale, se, da un lato, va rafforzato l'organico di alcuni tribunali mediante accorpamenti e la riforma delle circoscrizioni (per dare flessibilità e praticabilità al sistema), dall'altro, l'unica soluzione parziale e indiretta facilmente praticabile è ridurre le occasioni di incompatibilità attraverso la eliminazione di alcuni riti incidentali (il riesame per i processi ordinari diversi da quelli previsti dall'art. 51 comma 3 bis e l'appello ex art. 310 cpp in materia di libertà personale, riesame e appello avverso i sequestri, procedimento camerale eventuale per la proroga del termine per le indagini preliminari) rafforzando le garanzie reali e in particolare sostituendo il riesame e l'appello con l'emissione della misura in contraddittorio da parte di un collegio del tribunale, previo potere di fermo del PM, analogamente a quanto avviene per la convalida dell' arresto e del fermo. Poich si deve ritenere che le misure cautelari vengano emesse quando sussistono gravi indizi su tutti gli elementi del reato, sembra opportuno prevedere che, dopo la misura, le parti possano concordare la prosecuzione dell'udienza con rito direttissimo, che potrebbe consentire di acquisire immediatamente prove non compatibili con l'udienza sull'emissione della misura, o beneficiare immediatamente di un rito speciale, con effetti deflattivi.
Un'ultima considerazione sul Tribunale competente: in assenza di una revisione delle circoscrizioni molti Tribunali ( quelli con un organico inferiore alle 15 unità, ovvero la maggioranza di quelli italiani) si troverebbero in difficoltà a dover assicurare almeno tre collegi penali ( uno per l'emissione delle misure, uno per il giudizio, ed uno per eventuali sostituzioni o incompatibilità). La questione pare comunque risolvibile con la creazione di Tribunali della libertà che servano pi Tribunali viciniori, sulla scorta di quanto già previsto dalle tabelle infradistrettuali..
Il sistema può essere schematizzato come segue.
Per i procedimenti diversi da quelli in cui opera l'arresto in flagranza (che costituisce già un elemento di valutazione obbiettivo) e da quelli previsti dall' art. 51 co. 3 bis (per i quali il sistema resterebbe immutato) il PM chiede la misura, coercitiva o interdittiva, al tribunale competente, in composizione collegiale, trasmettendo gli atti indicati dall'art. 291 comma 1. Il tribunale, se ritiene la richiesta manifestamente infondata, la rigetta con ordinanza, impugnabile dal PM con ricorso per Cassazione; altrimenti, quando ha completato l'esame degli atti, e comunque entro il termine (ordinatorio) di 10 giorni, avvisa il PM e, se non si tratta di misura custodiale, anche i difensori, deposita gli atti inviati dal PM e fissa l'udienza non prima di 5 giorni dalla notifica dell'avviso di deposito all'indagato o al difensore, se già nominato.
Il PM, se ha richiesto la misura della custodia in carcere o gli arresti domiciliari, può disporre il fermo, eventualmente in uno dei luoghi indicati dall' art. 284 (cioè non necessariamente in carcere!) e con le prescrizioni previste da tale articolo. Disposto il fermo (o appena ricevuto l'avviso che il tribunale ha completato lo studio degli atti, se non ha chiesto una misura custodiale) il PM dispone la traduzione dell'indagato e l'avviso al difensore per l'udienza, o con le modalità e nei termini previsti per la convalida dell'arresto, avvertendo contestualmente la parte che gli atti sono depositati presso il tribunale.
L'udienza si svolge come quella per la convalida dell' arresto, ma la difesa può: 1) chiedere, dopo la convalida, termine a difesa fino a tre giorni, con la conseguenza che il tribunale può prorogare l'efficacia del fermo fino a tale termine; 2) produrre documenti, offrire garanzie, concordare con il PM che si proceda con rito direttissimo, che seguirà davanti al tribunale con le regole previste dall' art. 558. Il giudice procede all'interrogatorio, alla convalida, all'acquisizione di documenti, all'emissione della misura o altra ritenuta sufficiente, al rigetto, all'eventuale rito direttissimo.
Se il PM, dopo un rigetto, chiede nuovamente la misura sulla base degli stessi elementi, si può provvedere de plano, come prevede l'art. 666 co 2 per il giudice dell'esecuzione e il tribunale di sorveglianza. Lo stesso deve avvenire per la mera riproposizione di istanze di revoca o modifica.
L'abolizione del riesame, per i procedimenti diversi da quelli previsti dall'art.51 comma 3 bis, e all'appello ex art.310 per tutte le ordinanze in materia di libertà, non è una grave menomazione, se si pensa che il sistema ha costruito solo garanzie formali: la perdita di efficacia non impedisce la immediata riemissione della misura, e l'annullamento della Corte di cassazione è quasi sempre per difetto di motivazione e non determina mai la scarcerazione, ma solo l'obbligo di motivare pi attentamente. Viceversa un'udienza davanti ad un tribunale collegiale sulla libertà, con il previo interrogatorio di garanzia dell'indagato e contraddittorio preventivo sulle esigenze e sugli indizi, la produzione di documenti, la prospettazione difensiva di misure non custodiali atte a soddisfare le esigenze, potrebbero grandemente ridurre il ricorso alla custodia cautelare in carcere. Resta fermo, ovviamente, il ricorso per cassazione previsto dall'art. 311, che potrebbe essere rafforzato nel senso che, in caso di annullamento in materia di libertà personale sulla sussistenza degli indizi (oltre ai casi di annullamento senza rinvio), la Corte dispone la scarcerazione. L'attuale appello, infatti, dal punto di vista del pm è pressoch inutile, perch in caso di mancata emissione della misura la decisione del tribunale è paralizzata dal ricorso per cassazione (e comunque dal momento dell'appello passerebbero almeno nove o dieci mesi prima che la decisione divenga esecutiva); dal punto di vista della difesa, poi, in tutti i casi in cui si discute di decorrenza dei termini o di proroga della custodia cautelare, perdita di efficacia e simili è molto pi ragionevole rivolgersi direttamente alla Cassazione. C'è poi un ulteriore argomento che depone per l'abolizione del riesame e dell'appello ex art. 310: entrambi sono costruiti come impugnazioni di merito in cui il giudice ha un potere di revoca o modifica, ma non di annullamento, con la conseguenza che tutte le nullità relative e i vizi di motivazione vengono sanati dal tribunale della libertà: conseguenza che non si verificherebbe con un'impugnazione di carattere rescindente come il ricorso per cassazione.
La soluzione sin qui prospettata non è possibile per i delitti di criminalità organizzata, perch le esigenze di evitare l'inquinamento delle prove, l'intimidazione dei testi e le rappresaglie sono particolarmente pressanti, e spesso rendono necessarie emissioni di misure collettive incompatibili con i tempi dell'udienza de libertate. Occorre prendere atto che il sistema è ormai profondamente divaricato per effetto di differenze reali (ad esempio in materia di intercettazioni, di esigenze cautelari, di termini di custodia cautelare): ridurre l'area della perdita di garanzie reali è a nostro avviso un fatto positivo.
Da ultimo, se si vuole ridurre la custodia cautelare in carcere, va, inoltre, ampliata la durata delle misure interdittive e prevista la cumulabilità con le misure coercitive diverse da quelle custodiali. L'insufficienza di una misura interdittiva della durata di due mesi, a fronte di una procedura complessa, esercita di fatto una spinta a richiedere misure custodiali.
3. Per quanto riguarda i sequestri, il sistema del riesame, dell'appello per i sequestri preventivi e lo stesso ricorso per cassazione sembrano francamente garanzie superflue a fonte di altri rimedi esperibili. Le garanzie previste dagli artt. 258, 262, 263, 319, 321 (gli ultimi tre dei quali prevedono l'intervento necessario del giudice in sede di emissione o di convalida) e la riproponibilità delle istanze (anche mediante impugnazione) in ogni stato e grado del processo, dall'udienza preliminare alla Corte di Cassazione, dovrebbero essere ritenute sufficienti in ogni paese del mondo e in ogni ordinamento. E' certo pi sensato accelerare i tempi del processo.
4. Anche il meccanismo dei termini delle indagini preliminari comporta appesantimenti burocratici e un rito incidentale solo eventuale e con un contraddittorio fittizio (art. 406 commi 3 e 5) perch la difesa non conosce gli atti. Per una proroga di sei mesi se ne perde almeno uno tra notifiche, termine per memorie e decisione. Inoltre, se l'esistenza di un termine per la chiusura delle indagini ha comunque un valore sollecitatorio, occorre tenere conto delle profonde riforme introdotte nel sistema dalla legge 16 dicembre 1999, n.479, che, rendendo il PM in larga misura soggetto alla richiesta di rito abbreviato dell'imputato, comporta che il primo non può pi limitarsi ad acquisire fonti di prova ma deve compiere indagini complete. Inoltre la sanzione di inutilizzabilità degli atti assunti dopo la scadenza del termine, perch il PM non ha chiesto la proroga è antitetica al concetto di inutilizzabilità come repressione di gravi illegalità, come precisato pi avanti. Una possibilità potrebbe essere abolire le proroghe e stabilire i termini direttamente nella misura stabilita dall'art. 407, che verrebbe a sostituire il comma 2 dell'art. 405, mentre l'art. 406 andrebbe soppresso, ad eccezione del comma 8.
5. L'art.415 bis C.P.P. non ha senso per i procedimenti con udienza preliminare, dopo la legge Carotti. Non vi è facoltà prevista da quest'articolo che non possa essere esercitata davanti al GUP, con accresciute garanzie. E' vero che in tal modo si opera uno spostamento di fase, ma l'esperienza ha dimostrato come il deposito degli atti si trasformi nella generalità dei casi in un adempimento burocratico (tra l'altro faticosissimo e costosissimo) pi che in un'autentica garanzia per l'indagato. La norma mantiene invece un senso ed uno scopo defensionale per i procedimenti con chiamata diretta.
6. L' accelerazione dei tempi passa anche attraverso la deflazione, che finora è stata attuata prevalentemente per via di depenalizzazione di categorie di reati. Se e in quale misura sono ancora possibili depenalizzazioni è tema di carattere sostanziale che investe valori eminentemente politici. Riteniamo però che alle misure di semplificazione e di accelerazione di carattere processuale vada aggiunto uno strumento di flessibilità interno al sistema, capace di fare deflazione effettiva quale l'irrilevanza penale del fatto, che esiste da oltre dieci anni nell'ordinamento minorile e ormai anche per il giudice di pace. Si tratta di riprendere sul punto l'originario progetto Carotti, in forme che rendano possibile l'archiviazione. Non c'è vulnus al principio di obbligatorietà, perch l'irrilevanza penale è controllata dal giudice, e costituisce uno sviluppo del principio di offensività già affermato, sia pur timidamente, dalla Corte Costituzionale. Occorre aver fiducia nel giudice e offrirgli uno strumento capace di conferire flessibilità al sistema nell'esame del caso singolo: si pensi a falsi innocui commessi con il consenso dell'avente diritto, alla coltivazione di una piantina di marijuana, a forme di resistenza a pubblico ufficiale senza violenza. Si propone di tenere conto sia dell'entità del danno o del pericolo, sia della personalità del reo. Si tratta di una formulazione generale, analoga a quelle pi volte usate dal legislatore in tema di attenuanti o aggravanti, che però ha in s parametri noti (quali la tenuità del danno o la personalità dell'imputato, desumibile dai precedenti o dalle modalità dell'azione). Le formulazioni adottate sono inevitabilmente elastiche, nella difficoltà di contemperare una sufficiente tassatività delle previsioni con la varietà delle tipologie cui occorre dare risposta. Questo è uno dei punti cruciali su cui sollecitiamo idee e contributi.
7. Le modifiche ulteriori che si propongono hanno anch'esse attinenza con lo spirito del processo accusatorio, che richiede una difesa forte, capace di concorrere effettivamente a formare la prova, una oralità effettiva in cui il dibattimento abbia una concentrazione tale da consentire un vivo ricordo delle prove assunte. Perch ciò possa realizzarsi occorre però superare l'attuale concezione fortemente individualistica della professione di avvocato (e occorrerebbe anche realizzare una difesa d'ufficio organizzata e retribuita dallo Stato, con il trattamento e le garanzie della magistratura, ma una piena indipendenza funzionale, e un ruolo di consulenti tecnici alle sue dipendenze, ma ciò esula dalle proposte di modifiche realizzabili senza oneri e in tempi brevi).
In ogni caso occorre seguire il criterio di abolire forme inutili, di responsabilizzare i difensori e di realizzare, per quanto possibile, il principio della concentrazione del dibattimento. Riesce difficile, per esempio, pensare che il difensore possa chiedere un rinvio per impedimento professionale e non abbia neppure l'onere di accertare se l'istanza è stata accolta e a quale udienza il processo è stato rinviato, o che l'imputato possa scegliere di non comparire per dieci udienze e allegare un legittimo impedimento per l'undicesima, che magari non riguarda affatto la sua posizione. L'obiettivo di un intervento razionalizzatore è quello di rendere pi agevole difendersi efficacemente nel processo, e pi difficile difendersi dal processo. Conseguentemente va evitata, per quanto possibile, la ripetizione di intere fasi o gradi di giudizio, se l'esigenza di garanzia e rispetto dei diritti delle parti può essere soddisfatta altrimenti. Ciò comporta, anzitutto, una riflessione in tema di competenza per territorio e di nullità.
Per il primo argomento occorre ritornare al testo originario del codice, prima delle sentenze della Corte costituzionale nn. 76/93 e 70/96, evitando la regressione alla fase delle indagini preliminari. Nel frattempo infatti è entrato in vigore il principio della ragionevole durata, l'udienza preliminare è divenuta un giudizio complesso a seguito delle modifiche della legge Carotti, il principio che gli atti compiuti dal giudice incompetente conservano validità è sempre operante. L'unico possibile temperamento potrebbe essere la remissione in termini per l'abbreviato o l'eventuale patteggiamento, da celebrare, in deroga al regime ordinario e analogamente a quanto avviene per il rito direttissimo, davanti al giudice dichiarato competente, che, ricevuti gli atti, dovrebbe fissare con decreto il dibattimento.
Quanto alle nullità, il principio dovrebbe essere che non esistono nullità insanabili a priori, in quanto violazioni di forma, ma lesioni di diritti sanabili o meno, alcune anche nei successivi gradi di giudizio, come avviene ad esempio in appello per la mancata ammissione all'oblazione (art. 604 comma 7), e che la difesa non possa giocarsi una nullità direttamente in Cassazione, imponendo a quel punto la ripetizione del processo dalle indagini preliminari. E' opportuno lasciare la rilevabilità d'ufficio per le nullità previste dall'art. 178, ma la parte deve sempre dedurle nei termini indicati dall'art. 180.
Anche la categoria dell'inutilizzabilità va meglio precisata, alla luce delle recenti esperienze. L'istituto nacque, opportunamente, per reagire a casi gravi: perquisizioni senza mandato, intercettazioni illegittime, confessioni estorte. Nella legislazione successiva è diventato un mezzo per sanzionare deviazioni anche minime dal modello legale, determinate persino da leggi successive che hanno modificato le modalità di acquisizione. Basta ricordare le vicende relative alla introduzione dell'art. 141 bis e alle modifiche dell'art. 513, con relativi contrasti giurisprudenziali, interventi della Corte costituzionale e del legislatore, con due diverse discipline transitorie nel giro di un anno. Va quindi previsto che l'inutilizzabilità è riservata alle prove "acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge a garanzia di diritti costituzionalmente tutelati", essendo altrimenti sufficienti le nullità o versandosi in situazione di mera irregolarità. Sarebbe poi opportuno precisare, in un comma successivo, che "le modifiche processuali delle modalità di assunzione delle prove non comportano l' inutilizzabilità di quelle legittimamente assunte secondo la legge vigente al momento dell' acquisizione".
8. Vanno riviste la disciplina delle notifiche, favorendo al massimo l'elezione o la dichiarazione di domicilio, che dovrebbero divenire obbligatorie eliminando la maggiore causa di nullità (si tratta, in fondo, di generalizzare le comunicazioni e gli obblighi già previsti dall' art. 161, indipendentemente dalla necessità di compiere un atto "garantito") e quella degli impedimenti. Infatti, per quanto riguarda l'imputato, in un processo che non consente l'autodifesa, pochi sono i momenti che rendono necessaria o utile la sua presenza; e, per quanto riguarda il difensore, esistono larghi spazi per rendere obbligatoria, in determinate udienze, la nomina del sostituto processuale senza alcuna compromissione delle effettive esigenze difensive. Si tratta per lo pi di piccole modifiche, la cui ragionevolezza sembra però evidente, e il cui effetto complessivo è rilevante. La sola riduzione e semplificazione delle notifiche, oltre ad accorciare i tempi ed il lavoro delle cancellerie, riduce le occasioni di nullità. Nello stesso tempo occorre dare un segno di onestà culturale: ci sono esigenze reali di rafforzamento di alcune garanzie (penso in particolare al processo allo straniero o al cittadino irreperibile e difeso di ufficio, e alla custodia cautelare già citata.)
9. Il giudizio contumaciale è ormai anacronistico. Non ha alcun significato attribuire maggiori diritti, in termini di notifiche, all'imputato che è stato ritualmente avvisato del dibattimento, ma non intende comparire. In quasi tutti i paesi la presenza dell'imputato è obbligatoria, e in Spagna, in Germania e nel Regno Unito è addirittura prevista, anche per reati lievissimi, la custodia cautelare per assicurare la presenza dell'imputato nel dibattimento. Se non si vuole arrivare ad una soluzione così radicale, l'imputato regolarmente citato che decide di non presenziare al processo va considerato assente. Per quanto riguarda, viceversa, il contumace irreperibile citato ai sensi dell'art. 159 cpp si impone un'esigenza di garanzia, che prevale sull'esigenza di celerità. Sembra opportuno prevedere che il giudizio si svolga nelle forme attuali, in tutti i gradi, ma la sentenza sia eseguibile solo dopo delibazione della Corte d'appello, con procedimento analogo a quello previsto dall' art. 704 per l' estradizione, osservate le cautele previste dagli artt. 716, 717 e 718. Peraltro, data la dispendiosità del sistema, si potrebbe prevedere un termine di prescrizione della pena abbreviato rispetto a quello previsto dall' art. 172 CP per le condanne a pena detentiva inferiori ad una certa soglia. Per pene lievi è dispendioso ed antieconomico, oltre che sostanzialmente ingiusto, eseguire la condanna dopo dieci anni (cinque per le contravvenzioni), e recenti casi hanno dimostrato come un'esecuzione così tardiva per reati di non rilevante gravità non sia pi accettata dal costume. Per non parlare poi delle decine di migliaia di euro aggiunte a molti anni di pena detentiva in materia di stupefacenti, che non vengono mai riscosse.