Le reazioni alla ordinanza dell'Aquila sul crocifisso


Zoom | Stampa

del segretario nazionale Claudio Castelli

Una pronuncia giurisdizionale, resa nel contraddittorio delle parti, su un tema di grande delicatezza come quello della ostensione dei simboli religiosi nei luoghi pubblici e della libertà di fede e di culto in un'epoca caratterizzata da un pluralismo sino a pochi anni or sono sconosciuto nel nostro Paese, ha inevitabilmente suscitato una discussione appassionata e accalorata, che in diverse occasioni ha chiaramente trasceso i limiti della critica legittima, pur se serrata, del singolo provvedimento.

Al di là delle valutazioni sul merito della questione decisa dal
tribunale dell'Aquila, che sempre possono essere (ed in questo caso è
opportuno siano) legittimamente diverse, le modalità e i toni di alcune reazioni hanno superato i limiti che dovrebbero esservi in una
democrazia matura. Le questioni della laicità dello Stato e del pluralismo religioso sono da anni in discussione in Paesi di sicura tradizione democratica quali la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, nei quali alle decisioni dei giudici e della pubblica amministrazione sono seguiti ampi dibattiti, tuttora aperti, ma mai la derisione o l'insulto all'estensore.

Sentenze ed ordinanze possono e debbono essere criticate con argomenti. Cosa ben diversa è organizzare seduta stante, il linciaggio dei giudici per pronunce che non piacciono.

Suona incredibile che il Ministro abbia immediatamente promosso, con
grande clamore mediatico, un'ispezione ad hoc, sembra "sul
provvedimento", travalicando in tal modo certamente i limiti delle sue competenze. Il Ministro non è l'organo di appello e non ha competenza alcuna per valutare la bontà o meno di una sentenza o di un'ordinanza. In questo caso si tratta, oltretutto, di un provvedimento per sua natura e funzione non definitivo, ancora suscettibile di esame in successivi gradi di giudizio, e l'intervento del Ministro rappresenta una sicura
quanto indebita ingerenza in attività strettamente giurisdizionale.

I magistrati nell'adottare i provvedimenti che a loro vengono chiesti
non possono attenersi a criteri di opportunità politica: loro compito è unicamente di applicare la legge e non spetta loro far prevalere calcoli o motivi che attengono alla sfera squisitamente politica. In questo caso essi, davvero, travalicherebbero il proprio ruolo.

Piaccia o no questi sono principi propri dello Stato di diritto e della separazione dei poteri che occorrerebbe rispettare in particolare per decisioni che non si condividono, pena l'abbandono stesso della giurisdizione come strumento per realizzare i diritti dei cittadini.

29 10 2003
© 2024 MAGISTRATURA DEMOCRATICA ALL RIGHTS RESERVED WEB PROJECT AND DESIGN AGRELLIEBASTA SRL