di Antonio Ingroia - congresso nazionale
C’è un’immagine del processo penale ben impressa nell’immaginario collettivo: quella del "Processo di Kafka". Franz Kafka – come ricorderete tutti – descrive il processo come un luogo, un luogo ostile ed oscuro, dove il protagonista K., il cittadino K. si perde e viene stritolato, uomo senza colpa trasformato nel Colpevole che viene ingiustamente giustiziato. Il luogo dell’accertamento della verità trasformato nel dominio dell’ingiustizia. Questa forte immagine letteraria del processo, che ha influenzato la formazione culturale di intere generazioni di europei, era evidentemente anche il frutto di una opzione ideologica di fondo, tesa a difendere il cittadino dalla potestà punitiva dello Stato-Moloch, a tutelare l’individuo senza garanzie nel processo.
Ma c’è anche un’altra opera di Kafka, assai meno nota, dedicata al mondo del diritto: è il racconto intitolato “Davanti alla legge”. Si narra di un uomo, un contadino, uno dei “poveracci” che affolla l’universo, il quale vuole vedere la Legge. Ma non vi riesce perch la Legge vive in un palazzo le cui porte vengono controllate a vista da guardiani che ne impediscono l’accesso ai cittadini. L’uomo implora uno di questi guardiani, cerca di convincerlo a farlo entrare, tenta perfino di corromperlo, ma non riesce ad entrare. Rimane lì, davanti a quella porta d’ingresso del palazzo, per anni, per una vita intera. Alla fine, prima di morire, chiede al guardiano come mai in tutti quegli anni non sia mai venuto nessun altro a quella porta. Ed il guardiano gli risponde: “Da qui potevi entrare soltanto tu perch questo ingresso era destinato proprio a te. Adesso posso chiuderlo”.
Sono due immagini emblematiche che traducono nel linguaggio letterario due problematiche centrali del diritto e due obiettivi della cultura giuridica del ‘900: rendere trasparente il processo, facendone la sede delle garanzie, e rendere accessibile la legge, in modo tale che sia chiara, certa ed eguale per tutti.
Su questo fronte si è impegnata per decenni la cultura giuridica, influenzando scelte politiche e prassi giurisprudenziali, e Magistratura Democratica ha avuto un ruolo non secondario in questo processo evolutivo. Lungo tale percorso, sia pur con esiti alterni, si è inciso anche su progetti di riforma legislativa, che hanno spesso recepito indirizzi giurisprudenziali evolutivi: insomma, il processo penale è cambiato, ed è divenuto pi “garantito”.
Questo è il passato, anche il “nostro” passato, un passato “importante” (lo dico senza retorica) che dobbiamo tenere in considerazione per confrontarci con lo stato attuale delle cose. Un presente assai pi “duro”, che è bene non stancarsi mai di analizzare e criticare, senza dare nulla per scontato perch il rischio “assuefazione” è sempre in agguato.
Il presente è quello che lucidamente ha illustrato Claudio Castelli nella relazione introduttiva e che è stato colto da molti altri interventi, che hanno evidenziato la compresenza, nella pi recente legislazione penale, di due aspetti solo apparentemente contraddittori ed invece complementari. Mai come ora, infatti, il processo penale riesce ad essere oscuro e ostile, sede dell’ingiustizia come lo rappresenta Kafka, e - nello stesso tempo – “trasparente”, sede delle “massime” garanzie, sino al punto di tendere a garantire, ma soltanto ad una certa categoria di imputati, l’immunità assoluta dalla legge penale (e, quindi, della totale impunità). Un progetto ambizioso che ha bisogno non di una magistratura autonoma, indipendente e “costituzionalmente orientata”, ma di un “giudice-macchina”, un automa che emetta sentenze già scritte. Sentenze di condanna dei “poveracci” e sentenze di assoluzione dei potenti, alla fine di un processo percepito come una finzione.
Per realizzare questo obiettivo, però, occorrono due tipi di intervento: sulle leggi e sulla magistratura. La magistratura va intimidita e le leggi vanno cambiate. La magistratura va intimidita per innescare al suo interno meccanismi di autocensura dell’attività interpretativa, in modo da renderla omogenea rispetto all’indirizzo politico che vuole imporre un diritto diseguale. Le leggi vanno rese “trasparenti”, nel senso che debbono perseguire lo scopo di introdurre il criterio dei “due pesi e due misure” in modo diretto, senza alcuna mediazione interpretativa.
Ebbene, questo apparente punto di forza è in realtà il punto debole del progetto di restaurazione in corso, come – credo – dimostri ampiamente lo stato attuale delle cose in tema di mafia ed antimafia. Negli ultimi tempi si sono registrati sempre pi frequenti segni di “impazienza” dei mafiosi detenuti in carcere (di cui sono eclatante esemplificazione i proclami di Leoluca Bagarella e la lettera sottoscritta dai boss detenuti al 41 bis nell’estate scorsa) evidentemente indirizzati al mondo politico. Ora, al di là del significato specifico che ciascuno di essi può avere e del loro destinatario (non è questa la sede per ragionarci su), questi segnali significano certamente una cosa: l’obiettivo perseguito da certe leggi è così evidente (dalla modifica della normativa in materia di rogatorie internazionali e di falso in bilancio, alla legge Cirami) che i mafiosi escono dal loro silenzio ed alzano la voce per dire: anche noi siamo potenti, anche noi vogliamo essere trattati alla stregua dei potenti. Non ci basta che un nuovo spirito di convivenza con la mafia aleggi nel paese, vogliamo benefici concreti e diretti, vogliamo entrare nel circuito del modello processuale che si sta disegnando per i potenti: anche noi siamo potenti, anche noi abbiamo diritto all’impunità. E qualche risultato tangibile si comincia a intravedere: vengono tagliati i fondi non solo all’amministrazione della giustizia ma anche agli organismi investigativi specializzati come la D.I.A. e si propone perfino l’estensione dell’indulto anche ai detenuti per fatti di mafia.
Ed allora, seppure questo sia uno dei momenti pi difficili che sta attraversando la magistratura, la cui autonomia ed indipendenza è costantemente sotto attacco con finalità ben precise, paradossalmente è anche un momento in cui pi facilmente noi magistrati, e Magistratura Democratica in particolare, ha a portata di mano i migliori argomenti per farsi capire dai cittadini: rogatoria, falso in bilancio, legge Cirami, indulto per i mafiosi, i vari altri progetti di controriforma dell’ordinamento giudiziario e del processo penale sono tutti argomenti comprensibili dai cittadini. E’ questo, perciò, è il momento in cui noi dobbiamo aprirci alla società ed al confronto, soprattutto con quella parte della società pi consapevole (il c.d. “ceto riflessivo” che ha ripreso ad agire e a partecipare al dibattito politico), e dobbiamo rilanciare le nostre proposte (soprattutto sui tempi del processo), I cittadini, che oggi sono certamente frastornati da un bombardamento mediatico a senso unico, proprio oggi tuttavia possono comprendere meglio la posta in gioco: non i privilegi dei magistrati ma i diritti dei cittadini stessi. Il diritto dei cittadini ad avere un processo eguale per tutti ed egualmente equilibrato fra garanzie ed efficienza, in applicazione di una legalità giusta, egualmente giusta con i forti e con i deboli. Perch il processo sia il luogo di accertamento della verità e non dei privilegi, della giustizia e non delle impunità e delle odiose ingiustizie, perch la legge sia un luogo trasparente ed accessibile ai cittadini.