di Md
Cari colleghi,
la controriforma dell'ordinamento giudiziario approvata in Commissione al Senato non è una delle tante discusse misure in tema di giustizia degli ultimi anni, ma un attacco senza precedenti alla stessa qualità della nostra democrazia. Con essa vengono messi in discussione i profili fondamentali dello status della magistratura e dei singoli magistrati e, conseguentemente, della indipendenza della giurisdizione.
I passaggi del progetto sono noti: separazione netta e sostanzialmente irreversibile tra giudicanti e requirenti, suddivisione della magistratura in categorie chiuse (dodici: a seconda delle funzioni, del grado, dell'incarico svolto) con accesso mediante concorsi per titoli ed esami, introduzione di una struttura gerarchica rigida funzionale a consentire il controllo politico (attraverso il dirigente) di interi uffici, sottrazione al Consiglio superiore (e, dunque, all'autogoverno) di funzioni e poteri fondamentali (dall'organizzazione degli uffici alla formazione, dalla valutazione dei magistrati per il conferimento di incarichi sino al trasferimento di ufficio per incompatibilità) e così via. Un emendamento dell'ultima ora, poi, ha cancellato diritti fondamentali del magistrato e amputato la giurisdizione di compiti che strutturalmente le competono: al magistrato viene inibita, con una sorta di grottesca e incostituzionale capitis deminutio, la possibilità di aderire a movimenti e associazioni che perseguano anche "finalità politiche", di partecipare ad "attività o iniziative che non abbiano carattere scientifico, ricreativo, sportivo o solidaristico", di "tenere rapporti con gli organi di informazio-ne"; la giurisdizione, in macroscopica violazione dell'art. 101, comma 2 Costituzione, viene militarizzata e ridotta ad attività servente dei desiderata della maggioranza politica mediante la previsione dell'obbligo di interpretazione con-forme "alla lettera e alla volontà della legge" (stabilite dal ministro attraverso l'esercizio dell'azione disciplinare...) e del divieto di interpretazione "di contenuto creativo" (sic!). N è casuale che la controriforma ordinamentale proceda parallelamente al progetto di abolizione dei tribunali minorili (approvato dalla Commissione Giustizia della Camera), destinato a ridurre il livello di tutela dei minorenni, in omaggio alla tendenza ad escludere lo Stato da ogni ingerenza nella vita della famiglia (anche di quella violenta ed abusante).
Se il disegno dovesse essere definitivamente approvato le conseguenze sarebbero devastanti: per il sistema e per i cittadini prima ancora che per i magistrati. La vita quotidiana di giudici e pubblici ministeri sarebbe scandita dalla con-tinua partecipazione a concorsi (almeno sette nella carriera), da una elevata mobilità forzata (derivante da norme rigidis-sime sulle incompatibilità, dalla temporaneità di dieci anni in ogni incarico, e dalla possibilità di cambiare funzioni solo fuori distretto) e dalla accentuata soggezione (di diritto o di fatto) ai dirigenti degli uffici. Il modello di buon magistrato diventerebbe quello di un burocrate preoccupato di preparare concorsi pi che di svolgere bene il proprio lavoro, impe-gnato soprattutto nell'eliminare carte, distratto dalla attenzione ai contenuti della sua attività. Sarebbe messo in forse lo stesso associazionismo dei magistrati. Ne risulterebbero ferite e mortificate l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la possibilità stessa di tutela dei diritti di tutti, inevitabilmente connesse, nella nostra esperienza storica, con il plurali-smo culturale dei magistrati e con il lavorio giurisprudenziale teso a conformare la legislazione ordinaria al sistema co-stituzionale e ad adattarla ai continui mutamenti sociali (basti pensare alle controversie bioetiche o alla questione del danno biologico). La struttura stessa dello Stato di diritto e dei rapporti di fatto tra i poteri sarebbe modificata.
Questo attacco si inserisce in un contesto di sfascio organizzativo che sta intaccando persino la possibilità di ce-lebrare i processi ordinari. Il tentativo di modificare lo status dei magistrati si accompagna, infatti, al pi totale disinte-resse per l'efficienza e la funzionalità del servizio giustizia, paralizzato dai tagli di fondi, risorse e progetti di innova-zione, consapevolmente realizzati dal ministro della giustizia (che continua, seppur con sempre minor credibilità, ad oc-cultare il fallimento della propria gestione con pretestuose accuse ai magistrati). Le ripetute leggi ad personam degli ul-timi anni hanno avuto effetti solo parziali in termini di depotenziamento del sistema: di qui il tentativo di cambiare il giudice e la deliberata corsa allo sfascio (per rendere accettabile l'operazione, addossandone la responsabilità ai magi-strati).
Tutto ciò - inutile dirlo - non ha nulla a che fare con la modernizzazione dello Stato e con l'attuazione dei princi-pi costituzionali. Sono in gioco l'indipendenza e la libertà di giudicare: beni irrinunciabili, per i magistrati e per i citta-dini. Per questo non sono possibili compromessi, trattative o aperture, ma è necessario che la magistratura si mobiliti, cercando tutti i possibili canali con la società e le sue articolazioni: per informare, anzitutto, e per evitare che il progetto di controriforma resti un affare interno agli addetti ai lavori. Non solo: la gravità dell'attacco impone di ricorrere a tutti gli strumenti di mobilitazione possibili, ivi compreso lo sciopero, anche prolungato (pur nei limiti previsti dal codice di autoregolamentazione).