Giudici, diritti fondamentali, democrazia


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di Stefano Rodotˆ - congresso nazionale

  1. Vorrei provare a rispondere a tre domande. Perch si manifesta oggi, non solo in Italia, un’attenzione così intensa e anche conflittuale per il tema dei diritti? Come si atteggia in questa fase storica, e non solo in Italia, la garanzia affidata alla magistratura? Ed infine, che cosa significa l’attribuzione di una funzione di garanzia ad altri soggetti, diversi dalla magistratura, ma anch’essi caratterizzati dall’attributo dell’indipendenza come le Autorità che si fregiano di questo nome?
    La ragione di queste domande è presto detta: siamo di fronte ad una nuova fase della costruzione europea, iniziata con l’affidamento ad una prima convenzione di una integrazione non pi soltanto legata alle dinamiche dell’economia ma ai diritti e che ha prodotto una carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
    Nella dimensione mondiale - abbandonata la ripulsa della globalizzazione in s - si parla sempre pi di una globalizzazione attraverso i diritti e non soltanto attraverso il mercato.
    Dunque, si guarda ai diritti non pi solo come ad un insieme di poteri individuali e collettivi, ma anche come a un “modello” contrapposto dialetticamente al riduzionismo economico ed in genere al “modello” incarnato dal riferimento alle leggi di mercato.
    Attenzione alle parole. In realtà l’associazione tra diritti e garanzia istituzionale è antica, accompagna la progressiva civilizzazione giuridica delle società.
    Quale ne è la ragione? Sottrarre il cittadino, la persona, l’individuo all’arbitrio del potere assoluto, in una prima fase, alla tirannia delle maggioranze, in una fase successiva.
    Faccio due riferimenti: il primo al 1225, che non è un articolo del codice, ma l’anno della prima Magna carta, quella di Enrico, ed il secondo al 2000, un bel salto di quasi otto secoli.
    Il primo è l’habeas corpus. Nella Magna carta, come è noto, c’è una proposizione che dice «nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza, messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non metteremo mano su di lui se non in virt di un giudizio dei suoi pari e secondo la legge del paese»
    Era il momento in cui la libertà personale usciva dalla disponibilità del potere sovrano.
    Comincia allora una storia di conflitti lunghissimi, ma è quello il momento in cui la libertà - prima tra tutte la libertà fondativa di ogni altra, quella che rinvia alle radici dell’esistenza, la libertà personale - viene messa a fondamento della costruzione civile e affidata alla legge.
    All’epoca , a garanzia di tale libertà, veniva posto il “giudizio dei pari”, e dunque una realtà già diversa dal potere sovrano.
    Nell’articolo 8, terzo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dove si autonomizza il diritto alla protezione dei dati scorporandolo dal diritto alla protezione della vita privata, si dice che il rispetto di questo nuovissimo diritto è soggetto al controllo di una Autorità indipendente.
    Il cammino è lungo, la logica non è al fondo mutata.
    E questo - io credo - è l’alveo all’interno del quale dobbiamo ragionare, non senza conflitti, non senza registrare distorsioni.
  2. Questo è un momento in cui - proprio perch così evidente è l’attenzione per i diritti - le distorsioni sono molto marcate.
    In Francia di recente si è manifestato una sorta di movimento che si contrappone polemicamente a quello viene detto, con linguaggio spregiativo, il droit de bonisme ( forse in Italia abbiamo usato per primi il termine “buonismo”) che consiste nell’affidare troppo ai diritti, nel prestare una attenzione eccessiva al sistema dei diritti.
    Chi ha seguito negli ultimi tempi la discussione negli Stati Uniti, si è reso conto di come sia possibile un uso, che chiamare distorto è poco, della stessa garanzia giudiziaria.
    In quel paese è riemerso - gli ha dedicato addirittura una copertina l’Economist un paio di settimane fa - il tema della tortura legittima e una persona che da noi avremmo detto “nasce come garantista” , un avvocato e professore come Alan Derschowiz (che ha avuto anche un grande evidenza mediatica, come avvocato del caso Von Bulow e di Mia Farrow contro Woody Allen), ha teorizzato la possibilità della tortura, sostenendo però che va ricondotta in un ambito di legalità e quindi affidata, caso per caso, ad una autorizzazione giudiziaria.
    Dunque ci rendiamo conto che sta scricchiolando qualcosa anche nella forte associazione di garanzia tra “tutela dei diritti” ed “intervento del giudice” dal momento che si tende o si cerca di usare l’intervento del giudice come la legittimazione dell’infrazione del diritto fondamentale.
    Ed infine il pi potente riduttore della logica dei diritti è oggi l’invocazione della sicurezza, che dovrebbe assorbire e cancellare ogni altro valore.
    Ci sarebbe molto spazio allora, non dico per il disincanto costituzionale ma certo per un ritorno a una riflessione attenta sulle condizioni materiali all’interno delle quali i diritti e la garanzia giurisdizionale possono operare.
    Oggi, tra le tante regressioni culturali che conosciamo; c’è anche quella di ritenere che l’attenzione per le condizioni materiali, l’attenzione per l’eguaglianza sostanziale sarebbero il portato, ormai da abbandonare, di un certo pensiero di sinistra, non parliamo del marxismo neanche per scherzo.
    Allora cito il disincanto precoce o l’attenzione critica di Benjamin Constant, liberale (quanti carati lo deciderete voi) che nel 1815, proprio discutendo di libertà personale diceva: «non basta una semplice dichiarazione, servono garanzie positive» e aggiungeva «servono corpi abbastanza potenti da utilizzare a favore degli oppressi».
    Sotto la penna di un liberale questa parola è abbastanza significativa.
    Egli richiama l’attenzione sugli strumenti di difesa consacrati dalla legge scritta e sulle condizioni all’interno delle quali operano i “corpi” ai quali la garanzia dei diritti è affidata ( che non sono i corpi legislativi, perch il corpo legislativo è quello che produce la legge scritta che Benjamin Constant dice insufficiente), affermando che “servono corpi abbastanza potenti”. E la potenza di cui parla non è la potenza soltanto della politica, ma è la potenza che deriva da un insieme di condizioni istituzionali.
    Se noi guardiamo questa “lunga durata”, i diritti si palesano come un elemento fondativo e nello stesso tempo come un elemento sempre a rischio.
    Metterli al riparo dal rischio e farne un elemento costitutivo del sistema civile è uno dei grandi problemi non solo del costituzionalismo ma della democrazia.
  3. La fase nella quale viviamo vede un accento sempre pi forte, anche per ragioni polemiche ma non soltanto polemiche, posto sul tema dei diritti fondamentali.
    Badate che il termine “fondamentale” è una novità nel nostro linguaggio politico e costituzionale.
    Se voi leggete la Costituzione, la definizione di diritto fondamentale c’è solo per il diritto alla salute ( l’articolo 32, quasi un incidente linguistico) rispetto alla terminologia tradizionale del diritto inviolabile.
    Ma oggi uno dei problemi aperti (ed una delle riflessioni pi attente da sviluppare) sta nel porre i diritti al di là - non voglio dire al riparo - della politica, nell’indecidibile politicamente, cioè individuare una zona non recintata ( ma in cui si condensa la qualità di un sistema democratico) rispetto alla quale neppure la politica può dire la sua, o meglio, la dice una volta, quando definisce costituzionalmente i valori, ma a quel punto vi è un elemento che deve essere salvaguardato rispetto alle violazioni e queste violazioni possono venire - ci tornerò tra un momento - anche dalla politica.
    I diritti fondamentali appaiono , per una ragione che si potrebbe anche ritenere contingente, come l’unica garanzia di legalità nel mondo globale, dove - crollata la garanzia offerta dalla sovranità nazionale ed essendo le dinamiche affidate unicamente alle logiche dell’economia o della forza e non essendo alle porte un governo mondiale - si cerca di trovare un punto di equilibrio, sia pure precario, sia pure modesto ( non adopero la parola contrappeso) nei diritti fondamentali, ritenendosi che ci siano alcune situazioni nelle quali, comunque sia, i diritti delle persone devono essere rispettati.
    E’ da qui che nasce la spinta verso i tribunali internazionali, il tribunale penale internazionale, i tribunali all’opera per esempio nella ex Iugoslavia; da qui scaturisce la proposta insistente - anche se oggi difficilissima da realizzare - di un tribunale per quanto riguarda l’ambiente; da qui nascono le clausole sociali inserite in tante convenzioni.
    Dunque i diritti fondamentali si presentano, oggi, come l’unico strumento attraverso il quale è possibile realizzare condizioni minime di legalità all’interno di un sistema che non conosce pi, per tutta una serie di situazioni, le garanzie offerte dagli stati nazionali. E non è un caso che in questo contesto il dato istituzionale sia rappresentato di nuovo da una istanza giurisdizionale, i tribunali internazionali a vario titolo e a vario livello.
    Queste vicende ribadiscono, sia pure problematicamente, sia pure in modo faticosissimo, l’indissolubilità del nesso diritti – giurisdizione.
    Questo punto è evidente nel contesto internazionale e si presenta ancora pi netto nel contesto nazionale, laddove si afferma ormai come istituzione diffusa e come una delle grandi novità, la realtà delle corti costituzionali.
    In realtà quando Palmiro Togliatti alla Costituente definisce la Corte costituzionale una “bizzarria”, coglie esattamente, con una grande lucidità politica e istituzionale che mancava a molti altri, che in quel momento si aveva la messa in dubbio del modello giacobino.
    Per inciso, io ho molte meno frecce polemiche di altri da indirizzare verso Rousseau e Robespierre, perch ci sono aspetti di questi due signori che ogni tanto bisognerebbe ricordare e meditare. .
    Ad esempio, quando oggi discutiamo dei problemi della rappresentanza politica, non va dimenticato che vi sono critiche di Rousseau al sistema elettorale inglese che varrebbe la pena di rileggere. Ma questa è un’altra storia, di cui non discutiamo oggi , uno dei grandi nodi irrisolti della teoria democratica.
    Comunque sia, nell’espressione colorita ed efficace di Togliatti, si riflette non soltanto la messa in dubbio del modello giacobino ma anche la fine del monopolio della politica.
    Se si rileggono oggi le straordinarie discussioni alla Costituente si vede che - in tanti dei costituenti e da pi parti – matura la consapevolezza su questo punto.
    Non si diminuisce la legittimità del sistema, ma si riconosce che la legittimità del sistema non è pi affidata unicamente alla legittimazione del governante attraverso le procedure conosciute fino a quel momento.
    Il problema di legittimazione diventa pi complesso e noi ricordiamo, almeno quelli vecchi come me, che quando su questo terreno si rompono gli schemi non si è di fronte ad una rottura politica ma ad una rottura istituzionale.
    Quando entra in funzione la Corte costituzionale, lì si opera una grande rottura.
    In realtà la discussione dottrinaria su norme “programmatiche” e norme “precettive” perde di significato non perch vince una tesi politica o una tesi dottrinaria, ma perch comincia un altro funzionamento del sistema istituzionale, perch ormai c’è un giudice che “dice” la Costituzione.
    Ebbene in quel momento ci fu anche un’altra discussione importante, - ora dimenticata, come abbiamo dimenticato tante cose in questi anni - e cioè se in realtà il modello italiano non inglobasse già il sistema diffuso di giudizio di costituzionalità sul modello americano e cioè se in realtà non ci fosse bisogno di andare davanti alla Corte ma ci fosse già il giudice che poteva disapplicare la legge ritenuta incostituzionale.
    Oggi è passata la tesi letteralmente pi sostenibile, quella dell’incidente di costituzionalità come espressione di un potere di controllo diffuso, che certamente introduce il giudice ordinario a pieno titolo e con un dovere esplicito nel circuito della Costituzione.
    E’ quando questo dato viene reso esplicito dalla entrata in funzione della Corte costituzionale che si ricostituisce la pienezza dell’ordinamento, mentre sino a quel momento avevamo lavorato con un ordinamento amputato di un pezzo essenziale che era la Costituzione.
    Questo non è un fatto revocabile in dubbio se non con una mossa politica a mio giudizio non compatibile con il sistema quale si è venuto costituendo.

  4. All’interno della Corte costituzionale, nella sua evoluzione, c’è una sentenza che credo in una sede come questa debba essere ricordata.
    Si tratta di una sentenza notissima e importante del 1988 – estensore Baldassarre - che affermava che esistono principi fondativi dell’ordinamento e diritti inviolabili dell’uomo, non sopprimibili nemmeno dalla maggioranza e neanche dall’unanimità dei consociati.
    Questo è un passaggio sul quale credo che bisogna oggi riflettere.
    Certo si può sostenere che si è di fronte ad una presa di posizione dottrinaria, così come è certo che su quei principi e su quei diritti - per usare l’espressione della Magna carta - si possono “mettere le mani”; ma la sentenza che ho ricordato ci dice che, nel momento in cui si mettono le mani su quei principi e su quei diritti, si cambia regime costituzionale.
    Ogni popolo lo diceva la Costituzione 1793, impregnata di giacobinismo, ogni popolo ha sempre diritto di cambiare la Costituzione.
    Ma c’è un mutamento di regime e dunque in quel momento e finch non si giunge alla soglia del mutamento di regime, il rispetto dei diritti fondamentali e il loro affidamento a quel complesso sistema di giurisdizione ordinaria e costituzionale è un elemento fondativo della legalità di un paese.
    E’ questo un punto che non si può si può facilmente rimettere in discussione.
    Allora, la magistratura indipendente e imparziale non è tanto o non è solo una voce di quel concerto istituzionale sul quale ha richiamato così bene l’attenzione Giuliano Amato, ma diventa una “precondizione” perch siano mantenute le condizioni di ordinato funzionamento del sistema.
    Non torno su quello che ha detto Giuliano Amato, relativamente al fatto che il sistema va ricostruito.
    E sono anch’io - facendo una mia piccolissima autocritica rispetto ad anni molto lontani - fortemente ostile a riconoscere alle minoranze parlamentari l’accesso diretto alla Corte costituzionale. In primo luogo perch la Corte sarebbe inevitabilmente attratta nel conflitto politico e diventerebbe un altro attore del conflitto politico; in secondo luogo perch, in quel momento, la Corte costituzionale opererebbe con un parametro improprio, lo dico senza mezzi termini, e cioè solo quello della costituzionalità mentre invece occorre che si realizzi l’immersione della norma nel sistema, la sua biodegradabilità nel sistema, attraverso un’opera che con imperialismo da giurista della cattedra riservava ai professori di diritto, ma che in realtà oggi è l’opera quotidiana del giudice e di chiunque è chiamato ad applicare una norma che deve essere sempre vista nella complessità del sistema.
    Tra l’altro io sono un po’ sorpreso dal fatto che – proprio nel momento in cui si insiste tanto su tema dell’efficienza – ci si irrigidisca sul mito antropomorfico del legislatore, sul richiamo ad una presunta volontà del legislatore.
    In realtà vincolare fortemente la capacità interpretativa, adattativa del giudice, diventa un elemento disfunzionale in un sistema sociale.
    Una tesi come quella degli originalisti ( che negli Stati uniti vogliono impedire l’interpretazione evolutiva della Costituzione) può diventare un freno alla dinamica economica, perch irrigidire l’interpretazione di una norma - magari congegnata attraverso clausole elastiche al momento in cui è stata scritta - rende inevitabile il conflitto tra quella norma e le dinamiche socio-economiche storicamente determinate.
  5. Quindi la funzione interpretativa del giudice va ricondotta anche alla necessità di mantenere il sistema giuridico in armonia con il sistema socio-economico.
    Se manca questa capacità, qual è la via d’uscita?
    Ripetuti interventi del legislatore, che risultano in pratica impossibili.
    Il legislatore- che già siede abbastanza - dovrebbe sedere in permanenza tenendo d’occhio ogni scollatura possibile tra il sistema giuridico ed il sistema socio-economico.
    Se manca questo non solo si ha un effetto disfunzionale ma si ha un drammatico effetto di dislocazione del potere che non va verso il parlamento, ma va verso quelli che si chiamano poteri forti nella società.
    Quando la norma non è in grado di funzionare, la norma reale, la Costituzione materiale è il prodotto ( che in concreto investe la generalità dei soggetti) di chi non è legittimato a svolgere la funzione normativa.
    Questo è un punto sul quale credo che dobbiamo riflettere.
    Rispetto a questa impostazione il problema delle Autorità indipendenti può anche apparire per certi versi dissonante.
    Una ragione c’è che io - devo dire sinceramente - non esprimo soltanto sulla base di un’esperienza o di un patriottismo di istituzione perch queste cose le dicevo molto prima che avessi la ventura di trovarmi a lavorare lì dentro.
    Vi sono taluni situazioni, taluni diritti, alcuni fasci di diritti che hanno bisogno - per poter avere nell’organizzazione sociale il peso che ad essi il legislatore ha voluto attribuire - non solo dell’intervento occasionale ( lo dico nel modo pi rispettoso) della magistratura ma anche di un’opera di monitoraggio e di intervento continuo da parte di determinati soggetti istituzionali.
    Questa è una delle ragioni dell’inserimento nel sistema delle Autorità indipendenti.
    Ed in Italia, con maggiore lungimiranza che in altri sistemi, l’Autorità che si occupa di diritti ( come il Garante della privacy di cui faccio parte) è inserita nel sistema dei controlli giurisdizionali ordinari proprio perch siamo in materia di diritti.
    Sicchè anche in questa materia l’ultima parola la dice la Cassazione; ed io mi auguro che ci sia, da parte dei giudici, un po’ pi di attenzione per una normativa complessa e un po’ meno di gelosia per il fatto che i cittadini vanno pi davanti al Garante che davanti al giudice ordinario, perch sapete che c’è una alternatività della tutela (piccola operazione di tirare l’acqua al mio mulino).
    In definitiva il punto essenziale è quello che ricordava Giuliano Amato: siamo di fronte ad importanti forme di articolazione della tutela dei diritti che vanno tutte allo stesso modo osservate e valorizzate.
  6. Il quadro che abbiamo di fronte non è compatto e semplificato. E tuttavia ciò che noi dobbiamo considerare è che i diritti non hanno mai costituito un insieme disarticolato di strumenti unificato poi alla fine soltanto dalla imputazione ad un astratto soggetto di diritto.
    I diritti hanno costituito a loro modo sempre un modello.
    Oggi qualcuno dice che quello dei diritti fondamentali è un modello insaziabile che umilia la politica e mortifica la stessa sovranità popolare nel momento in cui si sostiene che neppure l’unanimità dei consociati può modificare la struttura dei diritti fondamentali.
    In realtà noi possiamo guardare a questo modello da un altro punto di vista, vedendo in esso l’insieme delle precondizioni perch la persona possa pienamente svolgere - come dice la nostra Costituzione - il suo essere nella società e nella politica.
    Qui si ricostituisce il nesso tra diritti e politica, si profila un modello di diritti fondativo della cittadinanza ( richiamo Pietro Costa autore di una monumentale e secondo me ineludibile storia della cittadinanza), che è legata all’identità politico-giuridica del soggetto, alle modalità della sua partecipazione politica, all’intero corredo dei suoi diritti e dei suoi doveri.
    Ci sono naturalmente diversi modelli di diritto. Ed in questo momento si sta discutendo in Europa proprio intorno a tali modelli.
    Che cos’è il modello sociale europeo se non il portato di un modo di guardare ai diritti - non lo dico polemicamente - molto diverso da quello che si è verificato per ragioni storiche complesse negli Stati uniti dove l’attribuzione dei diritti è l’attribuzione di un potere individuale da esercitare incondizionatamente?
    Tant’è che la critica dei comunitari, verso i quali non ho nessuna debolezza, è quella di dire che i diritti dividono, sono un’arma che ciascuno impugna contro gli altri, mentre il grande fatto del modello sociale europeo non è soltanto quello di avere costruito i diritti dei lavoratori ( cosa straordinaria e certamente positiva ) ma di aver visto i diritti come una componente del legame sociale e di aver sempre cercato, attraverso un lavoro inesausto, di stabilire un rapporto tra diritto e socialità dei diritti.
    Punto essenziale rispetto al quale davvero io temo che la regressione culturale sia in agguato. Non voglio drammatizzare, voglio semplicemente che ci sia la consapevolezza culturale di quello che sta avvenendo.
    Noi non possiamo, pena una regressione culturale molto pesante, tornare alla distinzione tra norme programmatiche e precettive, negare la diretta applicabilità di una serie di norme, ritenere che principi come quelli di dignità non possano essere maneggiati dal giudice.
    Non per patriottismo di istituzione, ma se voi date un’occhiata nella “giurisprudenza” del garante per la privacy, vedrete quanto sia invece importante e fondativo il riferimento al principio di dignità.
    In altri termini non possiamo amputare il sistema giuridico di un pezzo essenziale che è il sistema costituzionale.
    Non voglio fare retorica costituzionale, ma certo che a questo punto i riferimenti contenuti nella Costituzione non possono essere elusi, e sono evidentemente dei riferimenti che connotano il modello di diritti che tutti, dal parlamento alla magistratura, alle autorità indipendenti alla Corte costituzionale, sono tenuti a rispettare.
    Pensiamo ad esempio all’art. 36 della Costituzione nel quale il termometro per misurare la retribuzione non è solo la quantità e la qualità del lavoro prestato, non è solo un parametro economicistico ma un parametro sociale, vorrei dire etico ; parola non abusiva perch sapete c’è un titolo della Costituzione che si intitola proprio rapporti etico-sociali. E ciò per non parlare di una iniziativa economica privata che certo è libera ma non può svolgersi in modo da recare danno alla libertà, alla sicurezza ed alla dignità umana.
    Questa non è retorica costituzionale, questa è ricognizione molto “positivistica” dei dati del sistema rispetto ai quali il ruolo e dunque l’imparzialità della magistratura non rappresentano n un fuor d’opera n una pretesa ma a mio giudizio un elemento essenziale di coesione sociale.
23 01 2003
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