Convegno sul processo societario: le conclusioni di Gianfranco GILARDI


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Gruppo civile

Il nuovo processo societario alla prova dei fatti.
Analisi delle risposte ai questionari sul dlgs. N. 5/2003 distribuiti ai Tribunali
(Milano, 28 ottobre 2005)

1. Al termine di una giornata così intensa, ho il dovere della concisione. Ben poco, del resto, avrei da aggiungere a quanto già è stato detto dagli illustri relatori e interventori che si sono succeduti nelle presentazioni introduttive, nell'opera di coordinamento, nell'illustrazione delle risposte ai questionari e nelle tavole rotonde, nel dibattito che le ha arricchite e completate. A tutti loro, ed a tutti i partecipanti al convegno, rivolgo un forte ringraziamento.
Un ringraziamento intendo indirizzare - con l'auspicio che la collaborazione trovata in questa occasione possa avere un seguito anche in futuro - alla Camera arbitrale della Camera di Commercio di Milano ed al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, oltre che alla sezione locale dell'ANM ed agli amici del Movimento per la giustizia.
Un ringraziamento altrettanto forte rivolgo alle Prof.sse Ghirga e Giorgetti ed al Prof. Dalmotto, ai magistrati e agli avvocati che da diverse parte d'Italia hanno contribuito alla realizzazione del convegno curando la raccolta dei dati, la compilazione e il commento dei questionari. Ed un ringraziamento specifico desidero infine rivolgere agli amici milanesi - Enrico Consolandi e Raffaele D'Isa in particolare - che hanno affiancato nell'improbo lavoro di ideazione, preparazione, elaborazione, comunicazione costante e capillare, fin nei minimi dettagli organizzativi, l'opera infaticabile e tenace di Mario Montanaro ed Elena Riva Crugnola.

2. Com'è stato ricordato in apertura dei lavori, questa iniziativa è nata con l'intento di aprire un dialogo che tende a contrapporsi a ciò che fino ad ora non vi è stato, a quel dibattito sulle leggi ed a quel confronto tra la comunità dei giuristi che da troppo tempo continua a mancare.
Una verifica sul campo, priva di atteggiamenti preconcetti, che ha come unico scopo il funzionamento della giustizia; si basa sulla convinzione che riguardo ai mali del processo ed ai rimedi per farlo funzionare si possono avere anche opinioni diverse, ma il processo non può trasformarsi di per s in fattore di divisione e di scontro; assume come metodo quello della rilevazione empirica, che rispetto ad ogni legge dovrebbe anzi trasformarsi in monitoraggio periodico destinato anche a creare un circuito virtuoso tra gli operatori, gli utenti e le sedi di formazione delle leggi.
Questo metodo, del resto, è in qualche modo sotteso all'art. 42 della legge in discussione ed agli interventi correttivi e modificativi che in meno di un anno - dopo gli "errata corrige" iniziali - hanno inciso su pi punti della riforma, prima con il d.lgs. n. 37 e poi con il d.lgs. n. 310 del 2004.

3. E' stato osservato che in alcuni interventi che dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2003 e succ. mod. è passato un tempo forse troppo breve perch si possano formulare giudizi, sia con riguardo agli aspetti della disciplina relativamente ai quali poteva dubitarsi che le soluzioni accolte fossero quelle pi idonee a garantire la funzionalità del processo, sia rispetto agli istituti che presentano contenuti di rilevante innovazione, anche in una prospettiva pi generale di ridefinizione dei poteri del giudice e di quelli delle parti: penso, ad esempio - a parte il procedimento sommario ed al giudizio abbreviato - agli effetti della notifica dell'istanza di fissazione dell'udienza quanto al rendere pacifici i fatti allegati dalle parti ed in precedenza non specificamente contestati (art. 10, comma 2-bis introdotto dall'art. 4 d lgs. 28 dicembre 2004, n. 310), o al far ritenere non contestati i fatti affermati dall'attore consentendo al tribunale di decidere in base allo loro "concludenza" (art. 13. secondo comma anche con le modifiche di cui all'art. 4 d . lgs. 6 febbraio 2004, n. 37); penso al potere di rimessione in termini di cui all'art. 13, quinto comma ed alla previsione, contenuta nello stesso comma, relativa alla inammissibilità, purch eccepita, delle eccezioni non rilevabili d'ufficio, delle allegazioni, delle istanze istruttorie proposte e dei documenti depositati dal convenuto dopo la seconda memoria difensiva ovvero dall'attore dopo la memoria successiva alla proposizione della domanda riconvenzionale; e penso, ancora, alle previsioni relative alle proposte conciliative che possono essere avanzate dalle parti ai sensi dell'art. 9, secondo comma o dal giudice ai sensi dell'art. 16, secondo comma con possibili effetti sulla distribuzione delle spese di lite.
4. Ma nonostante il carattere necessariamente limitato dei dati statistici, il questionario che ha avuto un' ampia diffusione ed ha raggiunto la gran parte degli uffici in cui è presente un significativo contenzioso nelle materie interessate dal nuovo rito, ha consentito già di compiere alcune verifiche e di trarre utili indicazioni, si potrebbe dire persino di tracciare un primo bilancio, per quanto incompleto e provvisorio.
a) Sono emerse innanzi tutto alcune divergenze interpretative, come ad esempio quelle inerenti all'ambito di applicazione della legge, al contenuto delle norme sull'integrazione del contraddittorio, all'applicabilità della disciplina dell'art. 164 cpc in sede di fissazione dell'udienza, etc. da ricondurre alla naturale esigenza di assestamento degli istituti e di una sperimentazione pi consolidata affinch possano formarsi indirizzi interpretativi pi univoci e chiari, Per questa ineliminabile opera di chiarimento saranno come sempre essenziali, al di là dell'attività interpretativa individuale, l'impiego di strumenti organizzativi come quelli previsti dall'art. 47- quater ord. giud., il dibattito praticato sul campo secondo il metodo degli Osservatorii, l'adozione di specifici protocolli d'udienza, l'attività di formazione professionale, l' utilizzazione di banche dati e delle tecnologie informatiche idonee ad assicurare la pi ampia circolazione della giurisprudenza. E pur nella consapevolezza dell'impossibilità di affidare al legislatore la soluzione dell'indeterminata varietà di casi che possono presentarsi nella pratica, ciò non esclude naturalmente l'opportunità di chiarimenti, con riguardo ad esempio al momento in cui deve essere adottata l'ordinanza di mutamento del rito in caso di chiamata di terzo; alla possibilità di dichiarare la contumacia al termine dell'udienza di prima comparizione e prima del mutamento del rito; ai provvedimenti da adottare in caso di mancanza di prova dell'avvenuta notificazione alla controparte dell'istanza di fissazione dell'udienza; alla competenza a provvedere sulla liquidazione del compenso al C.T.U. ed altro ancora. Chiarimenti che appaiono tanto pi opportuni, allorch l'applicazione del nuovo rito ha evidenziato oltre ad esigenze di coordinamento (ad esempio, tra gli artt.10, secondo comma e 13, quinto comma in materia di preclusioni), anche possibili distorsioni nell'uso degli strumenti processuali, ciò che ha indotto a sollevare pi di una questione di legittimità costituzionale su un tema cruciale come quello del contraddittorio, per l'ipotesi in cui il mutamento di rito sia disposto in sede di udienza ex art. 183 c.p.c. ed il convenuto si avvalga della facoltà di chiedere immediatamente la fissazione dell'udienza di discussione, ovvero con riguardo alle preclusioni che si determinano a carico dell'attore nel caso in cui il convenuto che non abbia proposto domanda riconvenzionale, n sollevato eccezioni non rilevabili d'ufficio o chiamato in causa un terzo si costituisca e depositi istanza di fissazione d'udienza.
Sempre con riferimento alla disciplina del contraddittorio, sono emerse poi altre incertezze (si vedano, ad esempio, le risposte ai quesiti circa gli effetti della mancata notifica dell'istanza di fissazione dell'udienza di discussione a taluna delle parti nel processo litisconsortile, anche qui con possibilità di "giochi a sorpresa" come nel caso del convenuto che chieda istanza di fissazione e poi la notifichi solo ad alcune parti, determinando l'estinzione del giudizio) e lacune della disciplina che hanno dato origine alle prassi pi disparate, mentre - sotto altro profilo - appare poco comprensibile la previsione degli artt. 9, primo comma e 10, primo comma in base ai quali, in mancanza del deposito della nota di precisazione delle conclusioni definitive, si intendono formulate le conclusioni di cui al primo atto difensivo della parte.
Su altri punti, pi che di chiarimenti, si avverte la necessità di adeguare la disciplina o di formularla in modo diverso. Con riguardo alle notifiche a mezzo fax e posta elettronica, ad esempio, sarebbero opportuni non solo un pi esplicito e vincolante raccordo con il processo civile telematico, ma altresì la specificazione di aspetti fondamentali in tema di notifiche per via telematica, prevedendo che nei rapporti extragiudiziari si debba ricorrere alla posta certificata generica, in quelli con la giurisdizione alla posta certificata telematica, la quale fornisce evidenti facilitazioni sul piano della prova poich, essendo gestita in sede centrale (attraverso il Ministero della Giustizia) in caso di contestazione il giudice non deve richiedere "informazioni" ad un provider privato, ma una certificazione ad un soggetto "pubblico"; mentre per ciò che concerne la ficta confessio sarebbe pi opportuna una riformulazione della norma che attribuisse al giudice, valutata ogni altra circostanza, la possibilità di ritenere provata la domanda, evitando di perpetuare, con il riferimento al giuramento suppletorio, una prova legale che ha perso ormai ogni plausibilità e giustificazione.
b) Le risposte al questionario hanno evidenziato in secondo luogo anche il formarsi di alcune prassi disapplicative. Da un punto di vista statistico, ad esempio, è scarso è il ricorso alla norma che prevede l'onere delle spese a carico della parte che abbia immotivatamente rifiutato di conciliare anche se qui, come è stato osservato, la scarsa utilizzazione della norma costituisce forse anche il frutto dello scarso impiego del potere di avanzare proposte transattive da parte del giudice relatore nel decreto di fissazione di udienza, con sacrificio di potenzialità che andrebbero invece incoraggiate ed estese, oltre che inserite nel contesto di una disciplina capace con solo di favorire l'accesso alla giustizia ma anche di contrastare gli abusi del processo (introduzione di astreintes, una diversa disciplina della responsabilità aggravata e degli interessi etc.); e francamente mi ha sorpreso l'orientamento di alcuni tribunali di assegnare comunque un termine per l'instaurazione del giudizio di merito anche quando si tratti dei provvedimenti d'urgenza e degli altri provvedimenti a contenuto anticipatorio, nonostante il tenore dell'art. 23, primo comma, ove è espressamente prevista la non applicabilità in questi casi dell'art. 669 octies c.p.c.
Le risposte hanno ugualmente messo in luce, ad esempio, che è poco o per nulla utilizzato il procedimento sommario ex art.19. Ciò dipende, probabilmente, dai limiti restrittivi che caratterizzano il procedimento, che verrebbe per lo pi a sovrapporsi al decreto ingiuntivo, il quale è tuttavia pi agevole e per essere concesso non richiede il contraddittorio. Qui affiora dunque - ma si tratta di un rilievo che trascende lo specifico ambito del processo societario - l'opportunità di un modello diverso; e rimando, al riguardo, alla proposta contenuta nella bozza di parere sul disegno di legge delega per la riforma del cpc. approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 ottobre 2003, parere che il gruppo di lavoro istituito dal CSM aveva appena finito di elaborare quando in sede di conversione del decreto-legge sulla "competitività" è intervenuta la delega che ha disposto, anticipandone il varo, lo stralcio delle norme sul giudizio di cassazione e di quelle sull'arbitrato .
Infine, proprio mentre da pi parti viene avanzata la richiesta di un allargamento della forma di decisione di cui all'art. 281 sexies c.p.c. con estensione anche al processo d'appello, la prima esperienza del processo societario ha mostrato al riguardo uno scarso entusiasmo. In buona parte dei tribunali che hanno risposto mai è stata pronunciata sentenza ex 281 sexies c.p.c., o ciò è avvenuto in ipotesi rare.
c) L'esperienza concreta ha peraltro evidenziato anche aspetti della disciplina che potrebbero essere utilmente estesi anche al di fuori dello specifico contesto, con riguardo ad esempio alle notifiche e comunicazioni, all'allentamento del rapporto di strumentalità tra il procedimento cautelare e quello di merito, alla delega dell'istruttoria al giudice istruttore, che potrebbe benissimo essere reintrodotta, in via generale, anche per il procedimento d'appello.
d) Pur ribadendo l'esigenza di evitare conclusioni affrettate, mi sembra non possa dubitarsi che le prime analisi abbiano fatto emergere anche aspetti critici del nuovo rito. Qui non si tratta di essere pro o contro la riforma, ma di prendere atto dei problemi posti dalla complessità del sistema delle preclusioni, dalle esigenze di adattamento della disciplina al processo con pluralità di parti, dall'estrema complicazione nei meccanismi di funzionamento degli artt. 7 ed 8, due norme la cui lettura non è possibile senza fare diverse pause di riflessione e che hanno già messo in luce molti problemi, incertezze e difficoltà applicative per le parti prima ancora che per il giudice. L'ultimo in ordine di tempo, con riguardo alla decorrenza dei termini nel processo in cui alla chiamata di un terzo segua quella fatta a sua volta dal terzo chiamato, lo ha ricordato ieri in una mail l'Avv. Fulvio Ferlito da Firenze. Sul tema richiamo, ad esempio, le considerazioni svolte nei commenti ai questionari con riguardo ai sub-procedimenti di dichiarazione di inammissibilità/inefficacia dell'istanza di fissazione di udienza (artt. 8, quinto comma e quinto comma bis) e di estinzione (artt. 8, quarto comma e 12, quinto comma).
Pur volendo restare nell'ambito dello schema concettuale adottato per la fase preparatoria dal d. lgs. n. 5/2003, a me sembra che le scansioni previste dopo il secondo comma dell'art. 7 non sfuggano a un senso di oppressione e di pesantezza e che in ogni caso i problemi già evidenziati dalla pratica (e siamo solo all'inizio dell'esperienza applicativa) costituiscano una ragione ulteriore per attendere una pi lunga sperimentazione prima di pensare ad estendere il rito societario ad altre controversie.

e) Un'ulteriore considerazione, tutt'altro che secondaria, attiene ai riflessi organizzativi. E' stato rilevato ad esempio, con riguardo all'esperienza del Tribunale di Milano, che allo stato vi è un tendenziale rispetto dei termini di emissione del decreto di fissazione di udienza e che la fissazione dell'udienza di discussione avviene con dilazione contenuta. Ciò sembra determinato da scelte organizzative nel senso di destinare alla trattazione dei procedimenti societari "nuovi" una corsia preferenziale, oltre che dal numero non elevato sul totale delle pendenze civili. Pare logico desumere che vi sia un correlativo rallentamento sulla corsia di marcia normale dei procedimenti ordinari e societari "vecchi", tanto pi marcato quanto pi elevato è il numero dei procedimenti in corsia preferenziale. E infatti, in altri tribunali (vedi Roma o Napoli) la prassi della corsia preferenziale non viene adottata. Fin da ora, tuttavia, può notarsi una difficoltà a mantenere il ritmo temporale previsto dalla legge, ed appare logico presumere che lo spostamento di tutti o di gran parte dei procedimenti sulla corsia preferenziale ne determinerebbe l'ingorgo.
Di qui - oltre che per le disomogeneità interpretativa che si riscontra su diversi aspetti, disomogeneità a sua volta dovuta, almeno in parte, alla scarsa casistica che fino ad ora si è presentata in alcuni uffici con riguardo a queste materie - il richiamo che pi volte è stato fatto all'esigenza di sezioni specializzate, senza le quali le cause che soggiacciono al nuovo rito vanno fatalmente ad aggiungersi (per di pi al di fuori di ogni criterio di controllo e di organizzazione del lavoro) a quelle già pendenti sul ruolo dei giudici, determinando un aggravio di lavoro che presto renderà impossibile il rispetto dei termini brevi previsti per l'emanazione del decreto e la fissazione dell'udienza collegiale, e già fin da ora in diversi uffici non rispettati (vedi, ad esempio, Roma, dove in base al questionario il termine per la fissazione dell'udienza collegiale è superiore ad un anno).
La scarsa attenzione del legislatore per gli aspetti organizzativi (con il singolare effetto, tra l'altro, di fascicoli che, in mancanza dell'istanza congiunta di fissazione dell'udienza di cui all'art. 11 della legge, continuano a giacere inerti nelle cancellerie dopo uno scambio di memorie cui sia seguito un accordo tra le parti) emerge del resto pure su altri punti della riforma, sottolineati in diversi interventi, anche se l'orientamento della maggioranza degli uffici secondo cui all'ammissione dei mezzi di prova nel decreto di fissazione dell'udienza non segue l'intimazione dei testi e la convocazione del C.T.U. costituisce l'esatta conseguenza della scelta del legislatore che ha voluto differire ad un momento successivo (e cioè ad esito dell'esame del collegio ex art. 16, quarto comma) l'eventuale assunzione della prova: a dimostrazione del fatto che anche nel nuovo processo societario le udienze possono essere pi di una.

5. La tendenza a far prevalere la modifica delle regole del processo rispetto alla necessità di interventi sull'organizzazione rimanda, in realtà, ad una questione pi generale e complessa.
Come ho sottolineato pi volte, in una prospettiva di recupero della funzionalità della giustizia e del processo civile, la dimensione organizzativa emerge con sempre maggiore urgenza come questione centrale, non solo rispetto al sistema giudiziario, ma rispetto ad ogni funzione dello Stato, a partire da quella legislativa. Diventa sempre pi chiaro, ad esempio, che sulle disfunzioni della giustizia civile assume un peso crescente lo stesso succedersi e accavallarsi di leggi che, spesso travolgendo ciò che è stato faticosamente costruito in anni di sistemazione teorica degli istituti e di costruzione pratica della giurisprudenza, di sforzi organizzativi, di formazione professionale, creano disagi sempre pi acuti per il lavoro quotidiano di giudici, avvocati, cancellieri nonch, prima di tutto, per gli utenti.
Vi è dunque un aspetto del questione organizzativa che riguarda proprio le riforme, il metodo e il fine cui esse dovrebbero ispirarsi, poich quando l'attività dell'operatore pratico è principalmente assorbita dal labirinto delle questioni processuali che l'ennesimo rito aggiunge ai tanti già esistenti, rischia di smarrirsi il fine stesso del processo e il suo scopo finale che è la tutela del diritto. Ed è ciò che sta accadendo anche rispetto alla riforma di cui stiamo parlando, poich ognuno si rende conto che tutta l'attenzione è assorbita dal rito in s, mentre restano confinati altre questioni come quella relativa alla durata del giudizio, alla qualità della tutela, alla necessitò di una revisione organica del diritto alla prova, all'esigenza tuttora inappagata di costituzionalizzazione del rito camerale, a quella di fare decollare oltre la mera declamazione strumenti conciliativi seri e garantiti, e così via.
Pi che la moltiplicazione dei riti, al funzionamento della giustizia servono innanzi tutto un'adeguata politica della spese ed una corretta gestione delle risorse, servono uffici ben organizzati e razionalmente distribuiti sul territorio, serve un metodo partecipativo che valga a trasformare le tabelle da scelte e decisioni tutte interne all'apparato giudiziario in programmi elaborati anche sulla base di un confronto con l'utenza, serve una forte capacità di autoriforma, la consapevolezza che tante cose possono migliorare, in termini di efficienza e qualità del servizio, se solo vi sia la volontà di far funzionare gli strumenti esistenti. Proprio a questa consapevolezza rimanda l'esperienza degli Osservatori sulla giustizia civile, in cui si esprime la necessità di farsi carico, in prima persona e pur lavorando in condizioni di obiettiva difficoltà, delle gravi inefficienze della giustizia civile e di ripristinare, anche attraverso i protocolli d'udienza, la funzione del processo come luogo di dialogo leale e di contraddittorio effettivo e trasparente in cui si esprime per ogni cittadino che ritenga di aver subito un torto il diritto ad essere ascoltato e ad esprimere direttamente avanti al giudice le proprie ragioni.
Al di là delle dispute sui modelli, io credo che questa rimanga la prospettiva pi alta ed importante, quella per cui tutti dovremmo essere impegnati in una visione del processo per la quale il problema vero non è lo spostamento del "governo" dei tempi del processo dal giudice alle parti, ma il governo in s del processo secondo i canoni costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 111, e la concezione di esso come frutto della collaborazione del giudice e delle parti.

Gianfranco Gilardi

03 11 2005
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