Parere sulla riforma della legge fallimentare


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Civinini, Marini, Menditto, SalmŽ, Salvi

Parere sulla riforma della legge fallimentare

Problematiche connesse alla legge delega per la riforma del diritto fallimentare


  1. Premessa. La riforma della legge fallimentare attuata
    con il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35, convertito in legge 14 maggio 2005
    n. 80
    - Il d.l. 14.3.05 n. 35, recante "disposizioni urgenti nell'ambito del
    piano di azione per lo sviluppo economico" (c.d. decreto sulla
    competitività) ha introdotto modifiche al codice di procedura civile ed alla
    legge fallimentare. Con la legge 14.5.05 n. 80 il Parlamento, convertito il
    decreto legge, ha, inoltre, delegato il Governo ad adottare decreti
    legislativi per la ulteriore modifica del codice di procedura civile (in
    materia di giudizio di cassazione e di arbitrato) e della legge
    fallimentare. Tale ulteriore intervento, per le radicalità dell'intervento
    adottato, assume la dimensione di vera e propria riforma.

    In data 23 settembre 2005 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri lo schema di
    decreto delegato di riforma, che sarà sottoposto alle Commissioni
    parlamentari che dovranno esprimere un parere entro 30 giorni; poi il testo
    ritornerà al Consiglio dei Ministri.
    Ne è risultata una riforma
    parziale e (per quanto sarà detto in seguito) alquanto disorganica, attuata
    attraverso le disposizioni di cui all'art. 2, c. 1, del decreto legge
    convertito e l'art. 1, c. 6, della legge di conversione, mediante cioè un
    doppio binario consistente nella modifica diretta di sette articoli della
    legge fallimentare (gli artt. 67, 70, 160, 161, 177, 180, 181) e con
    l'introduzione di un nuovo articolo (l'art. 182 bis) (decreto nel testo
    convertito), ed attraverso la delega contenuta alle lett. a, b, e c del c. 6
    dell'art. 1 della legge.
    Circa tali modalità di produzione
    normativa, la legge di conversione presenta anomalie rilevanti, evidenziate
    dal Comitato per la legislazione della Camera dei Deputati (parere 5.5.05),
    sintetizzabili in eterogeneità di contenuto, dubbi circa i presupposti di
    necessità ed urgenza riguardo, in particolare, alla delega per la riforma
    fallimentare così come a quella della procedura civile, genericità delle
    disposizioni di delega, combinazione dell'uso contemporaneo del decreto
    legge e maxiemendamento, il tutto amplificato dal ricorso alla fiducia. In
    ogni caso, la premessa da cui muove il legislatore (premessa del decreto
    legge) è l'esistenza di una straordinaria necessità ed urgenza "di adottare
    misure atte a rilanciare lo sviluppo economico, sociale e territoriale" ed
    altresì "di dotare l'ordinamento giuridico di adeguati strumenti coerenti
    con le determinazioni del Piano d'azione europeo". Le novità legislative
    possono essere così sintetizzate.


  2. Modifiche apportate alla legge fallimentare, r.d. 16 marzo
    1942 n. 267, dal d.l. 35/05, nel testo risultante dalla legge di conversione

    - Gli interventi diretti sulla legge fallimentare possono essere individuati
    in relazione all'istituto interessato dagli interventi del legislatore.
    2.1 La revocatoria fallimentare - L'art. 2, c. 1, del decreto legge
    35/05 modifica a fondo l'art. 67 della legge fallimentare che ne risulta
    radicalmente modificato per quanto riguarda gli atti soggetti a revoca, in
    quanto: a. viene dimezzata la fase temporale del cosiddetto periodo sospetto
    (che viene ridotta da due anni ad un anno nelle ipotesi di cui ai numeri 1,
    2 e 3 del c. 1 dell'art. 67 e da un anno a sei mesi nelle ipotesi di cui al
    numero 4, ed al c. 2 dell'art. 67); b. viene specificato il termine di
    valutazione dell'eccesso di valore modificando il dato normativo
    genericamente descritto nel vecchio testo dell'art. 67 con la dizione
    "sorpassano notevolmente" con la dizione "sorpassano di oltre un quarto".
    Per quanto riguarda gli atti non soggetti a revoca, ai casi
    fotografati dalla lett. a. alla lett. g. dell'art. 67 nuova formulazione si
    aggiunge quello di cui al nuovo testo dell'art. 70. Il testo di questo
    articolo, nonostante la rubrica continui ad essere intitolata con dizione
    atecnica agli "effetti della revocazione", riguarda un caso di esenzione
    dalla revocatoria riferito all'ipotesi dei pagamenti avvenuti tramite
    intermediari specializzati, ove l'intermediario finanziario specializzato è
    escluso dai soggetti contro i quali è esperibile la revocatoria anche in
    relazione a quanto ricevuto dal debitore per l'operazione di
    intermediazione.
    A prescindere dal rilievo che la formulazione
    oramai amplissima dei casi di esenzione rende difficile individuare quale
    sia la regola e quale sia l'eccezione, deve osservarsi che l'obiettivo
    dell'accelerazione della procedura fallimentare sotteso alla riforma non
    sembra si possa ritenere realizzato attraverso il drastico ridimensionamento
    della portata della revocatoria fallimentare (riducendo il "periodo
    sospetto" da due a un anno ed ampliando i casi di esenzione) atteso che la
    fase della ricostruzione dell'attivo fallimentare non passa solo attraverso
    le revocatorie.
    All' esito dell'esame analitico dell'art. 67,
    comunque, le ipotesi di esenzione dalla revocatoria fallimentare possono
    suddividersi in cinque categorie. Una prima categoria è caratterizzata da
    esenzioni previste al fine di salvaguardare le procedure di crisi quali il
    concordato preventivo, l'amministrazione controllata (che il Governo è
    peraltro delegato ad abrogare), l'accordo omologato ai sensi dell'art. 182
    bis ed il piano attestato (si tratta delle esenzioni di cui alle lett. d.,
    e., e g. dell'art. 67). La seconda riguarda disposizioni che comportano una
    tutela rafforzata del settore creditizio (si tratta delle esenzioni di cui
    alla lett. b. dell'art. 67 ed all'art. 70). La terza riguarda l'esenzione
    dalla revocatoria dei pagamenti ricevuti da dipendenti e collaboratori per
    prestazioni di lavoro (lett. f.). La quarta riguarda dei soggetti estranei
    alla procedura quali coloro che hanno acquistato immobili dall'imprenditore
    poi fallito, per vendite a giusto prezzo d'immobili ad uso abitativo (lett.
    c.). L'ultima esenzione è quella di cui alla lett. a., che ha carattere
    residuale ed è definita dall'essere il pagamento effettuato nell'esercizio
    dell'attività dell'impresa nei termini d'uso.
    L'esame analitico di tali
    fattispecie pone in luce, da un lato, il carattere esteso delle esenzioni e
    dall'altro, considerata la non eterogeneità delle classi dei creditori
    interessati dalla rimodulazione della revocatoria, la creazione di una
    sostanziale carenza di parità di trattamento in danno di talune categorie di
    creditori derivante dalla previsione dei casi di esenzione. Va, infatti,
    evidenziata la posizione di coloro che, o perch esclusi dalle esenzioni di
    revocatoria o perch penalizzati da una meno ampia ricostruzione dell'attivo
    fallimentare, subiranno un contraccolpo negativo dalla riforma. E' il caso
    dei creditori personali dell'imprenditore fallito o delle categorie di
    creditori come i professionisti o i fornitori, i quali secondo i termini
    d'uso non sono pagati immediatamente, o, ancora, degli enti previdenziali e
    dell'erario, che, nonostante i privilegi di legge, subiranno l'effetto
    negativo di una meno ampia ricostruzione dell'attivo fallimentare.
    L'esclusione dell'azione revocatoria pone in dubbio il rispetto del
    principio della parità di trattamento dei creditori e solleva dubbi circa la
    permanenza di una tutela dei creditori concorsuali interna al sistema, dato
    che i creditori potrebbero trovare pi utile, viste le esenzioni contenute
    all'art. 67, ricorrere allo strumento della revocatoria ordinaria o
    procrastinare la dichiarazione del fallimento per aggredire i beni fuori
    della procedura concorsuale, non ritenendosi sufficientemente garantiti
    dalla procedura che pure attraverso gli strumenti recuperatori dovrebbe
    assicurare la tutela della par condicio. Per evitare questo incentivo
    all'azione esecutiva potrebbe non bastare l'articolo 51 l.f. (pure non
    toccato dalla riforma), dato che il divieto di esecuzioni individuali ivi
    previsto scatta solo dopo la dichiarazione di fallimento.
    Va rilevato che il
    doppio strumento utilizzato, ovvero quello del decreto legge e della legge
    delega nel medesimo contenitore della legge di conversione, ha determinato
    alcune contraddizioni quali la ripetizione della riduzione del termine per
    esperire la revocatoria, considerato che le disposizioni relative alla
    riduzione del periodo sospetto sono vigenti dal 17 marzo 2005, la delega
    alla riduzione di cui all'art. 1, punto 6, numero 6 non è probabilmente
    ulteriore rispetto a quella di cui all'articolo 67 novellato e deve
    considerarsi, dunque, una mera ripetizione del legislatore. Essa, comunque,
    di fatto contiene una delega al governo ad operare riduzioni ulteriori.
    La revocatoria è, inoltre, destinata a subire ulteriori limitazioni
    per effetto del principio delega di cui al n. 5, lett. a., c. 6 dell'art. 1
    relativo all'effettivo destinatario della prestazione, ma una disposizione
    in tal senso è già contenuta all'art. 2, n.1 lett. b).
    Il c. 2
    dell'art. 70, inserito dall'art. 2, c. 1, lett. b. del d.l. 35/2005
    costituisce ulteriore anomalia, poich la disposizione presenta contenuto
    identico a quello di cui all'art. 71, non modificato.
    I casi di
    esenzione dalla revocatoria di cui alle lett. e. e g. dell'art. 67 novellato
    contengono il richiamo ad atti, pagamenti e garanzie posti in essere in
    esecuzione dell'amministrazione controllata quando nella medesima legge di
    conversione, al punto 14 lett. a, è conferita la delega al Governo per
    l'abrogazione di tale procedura. Riguardo alla riforma della
    revocatoria fallimentare va evidenziato che ulteriore contraddizione del
    sistema è costituita dal fatto che l'istituto della revocatoria ordinaria
    permane inalterato e, secondo giurisprudenza e dottrina sul punto costanti,
    la dichiarazione di fallimento non impedisce al curatore di esperire
    l'azione revocatoria ordinaria, così che in considerazione delle esenzioni
    potrebbe ritenersi conveniente esperire l'azione revocatoria ordinaria .
    2.2 Il concordato preventivo - Le disposizioni di cui all'art. 2
    lett. d. hanno modificato gli artt. 160, 161, 163, 177 e 180, innovando
    l'istituto del concordato preventivo.
    La "riforma" è stata attuata
    attraverso la trasformazione della procedura tradizionale da procedura
    dell'insolvenza a procedura di crisi, con l'eliminazione delle condizioni
    soggettive di ammissione, in primis della "meritevolezza", la
    atipicizzazione della modalità attuativa della ristrutturazione e
    soddisfazione dei creditori, l'eliminazione della soglia di soddisfazione
    dei chirografari ed infine la drastica riduzione dei poteri del giudice in
    ordine al controllo di ammissibilità e riguardo al controllo circa la
    convenienza.
    Il riformatore sottrae al giudice il potere di verifica
    circa l'ammissibilità della domanda e rinvia alla relazione di un
    professionista avente i requisiti di cui all'art. 28 l.f. (ovvero i
    requisiti per la nomina a curatore) "che attesti la veridicità dei dati
    aziendali e la fattibilità del piano" (art. 161, c. 3, nuovo testo). Tale
    attestazione non è, peraltro, fornita di oggettiva affidabilità ed il
    soggetto al quale è demandata l'attestazione si caratterizza solo per essere
    professionista nel pieno possesso delle proprie capacità e non interessato,
    almeno nelle forme tipiche menzionate nell'articolo 28. Egli non è titolare
    di poteri certificatori, n è tenuto a particolari oneri deontologici,
    espressamente sanzionati in ragione della delicatezza del compito ricoperto.
    N viene introdotta alcuna norma sanzionatrice che prevenga possibili abusi
    per falsità in tali attestazioni, introdotte senza alcun contrappeso in
    chiave di responsabilità: il che induce a ritenere plausibile sia un
    contenzioso esterno al processo concorsuale, ove alle attestazioni segua il
    riscontro della loro non corrispondenza a veridicità, sia una tensione
    interna alla procedura.

    In considerazione degli interessi coinvolti nella
    procedura di concordato preventivo, il costo della procedura stessa, i
    rischi di dispersione determinati dall' interruzione di tutte le procedure
    esecutive (l'articolo 168 l.f. non è stato modificato), l'irrevocabilità
    degli atti sancita dalle disposizioni del riformato articolo 67 lett. e. e
    g., va sottolineata l'estrema delicatezza della soluzione cui giunge il
    combinato disposto della normativa, ove il concordato non trova pi origine
    nel giudizio di ammissibilità del tribunale (dato che il nuovo art. 163
    rimette al giudice solo la verifica di "completezza e regolarità della
    documentazione"), ma esclusivamente nella relazione del professionista, cui
    è lasciata ogni determinazione circa la fattibilità del piano e, quindi,
    circa l'ammissibilità della proposta.

    Sintomo pi evidente del vero e
    proprio passaggio della materia dalla giurisdizione alla disponibilità delle
    parti debitrice e creditrice e, del resto, la circostanza che il decreto di
    apertura della procedura, per espressa previsione normativa (art. 163, c. 1,
    non è soggetto a reclamo.

    2.3 Gli accordi di ristrutturazione - La
    legge di conversione del decreto 35/05 ha introdotto nella legge
    fallimentare la nuova figura degli "accordi di ristrutturazione", con il
    nuovo art. 182 bis.

    Gli accordi di ristrutturazione si inquadrano
    nell'ambito delle procedure di crisi aventi l'obiettivo del salvataggio
    delle imprese, e danno luogo ad un istituto del tutto nuovo definito anche
    "concordato preventivo semplificato" sul modello della prepackaged
    bankruptcy americana. Secondo lo schema adottato dalla riforma, tali accordi
    vanno ad inquadrarsi nello schema del concordato preventivo, della cui
    proposta rappresentano un rafforzamento.

    L'art. 182 bis, c. 1, prevede che
    assieme alla documentazione del concordato preventivo il debitore possa
    depositare un accordo "di ristrutturazione dei debiti" da lui stipulato con
    i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti.
    L'accordo deve essere corredato da una relazione, redatta da un esperto,
    sull'attualità dell'accordo stesso con particolare riferimento alla sua
    "idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei crediti"..

    L'accordo è
    soggetto a pubblicazione nel registro delle imprese ed è soggetto ad
    opposizione, sulla quale il tribunale decide prima di omologare l'accordo
    con decreto, a sua volta reclamabile in corte di appello. L'accordo acquista
    efficacia dal giorno della sua pubblicazione. La ristrutturazione
    consensuale dei debiti assume, pertanto, una connotazione pi direttamente
    giurisdizionale (soprattutto nel caso di opposizioni). Tale carattere,
    tuttavia, è limitato alla fase dell'omologazione e non anche a quella del
    controllo dell'attuazione dell'accordo. Anche in questo istituto appare
    strategica la funzione dell'esperto, al quale, nella sostanza viene affidato
    un giudizio prognostico circa la rispondenza dell'accordo allo scopo sul
    quale deve fondarsi soprattutto il giudizio di omologazione. Proprio per
    questo va sottolineato che tale funzione del professionista avrebbe forse
    meritato una strumentazione sanzionatoria per il caso di relazione non
    veritiera.

    Dato che l'opposizione del creditore al giudice va proposta entro
    il termine di trenta giorni dal deposito dell'accordo presso il registro
    delle imprese (art. 182 bis, c. 2), va osservato che la disposizione
    relativa al termine di decorrenza dell'opposizione si pone in contrasto con
    i principi affermati dalla Corte costituzionale a tutela del diritto di
    difesa in quanto il termine di opposizione dovrebbe decorrere dall'effettiva
    conoscenza dell'accordo e non dalla conoscenza meramente presuntiva, quale
    quella garantita dalla pubblicazione nel registro delle imprese.

    2.4
    Il piano attestato dal professionista
    - Attraverso l'introduzione
    dell'ipotesi di esonero dalla revocatoria di cui all'art. 67, c. 3, lett.
    d., con il decreto legge 35/05 è stata introdotta un'ulteriore procedura di
    crisi, consistente nella presentazione da parte del debitore di un piano
    "che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria
    dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione
    finanziaria", sottoscritto da un esperto che attesta la ragionevolezza del
    piano. Ove i pagamenti avvengano in esecuzione di tale piano è previsto
    l'esonero dalla revocatoria.

    Nella sostanza viene introdotto un ulteriore
    strumento di composizione della crisi, questa volta proveniente da atto
    unilaterale del debitore in relazione al quale non è prevista alcuna
    partecipazione dei creditori. L'unico momento di controllo è costituito dal
    giudizio sulla revocatoria fallimentare, giudizio ovviamente eventuale in
    quanto dipendente dall'esito negativo dell'accordo, ed altresì
    dall'esperimento dell'azione revocatoria nonostante la generica previsione
    di esenzione di cui alla lett. d). Fuori da tale ipotesi i creditori sono
    esclusi dalla possibilità di azionare un controllo sulla validità del piano
    da parte degli organi giurisdizionali, salvo, in ogni caso, la possibilità
    che venga fatto ricorso al giudice per la dichiarazione di fallimento. In
    questo caso, infatti in sede di istruttoria prefallimentare il giudice
    potrebbe controllare se il mancato adempimento sia giustificato o meno dal
    piano attestato.

    La mera indicazione dell'idoneità e ragionevolezza del
    piano, in mancanza di ulteriori requisiti specifici o scansioni temporali,
    comprensibile ove si tenga conto che obiettivo del legislatore è solo quello
    di introdurre una nuova causa di esonero dalla revocatoria, comporta in ogni
    caso una compressione eccessiva della sfera del credito in capo per i
    soggetti eventualmente non contemplati nel piano e non beneficiari di esso i
    quali potrebbero accorgersi dell'esistenza dello stesso solo dopo la
    dichiarazione di fallimento e quando il piano di ristrutturazione si sia
    rilevato in concreto inidoneo.


  3. I principi della delega alla riforma della legge
    fallimentare di cui all'art. 1 punto 6, legge 80/05
    - La riforma della legge
    fallimentare è per il resto rimessa al Governo con delega, contenuta
    all'art. 1, c. 6 della l. 14 maggio 2005, da esercitare entro 180 giorni.

    Tale delega, come già rilevato, è stata introdotta in via autonoma dalla
    legge di conversione, assieme a quelle per la modifica del codice civile in
    materia di giudizio di cassazione e di arbitrato, ed è mossa dall'intento di
    semplificare e accelerare la definizione delle procedure concorsuali. La
    semplificazione della disciplina (articolo 1, c. 6, n. 1 legge 80/05) prende
    le mosse da un'estensione della categoria dei soggetti esonerati
    dall'applicazione della procedura fallimentare. Sul piano strettamente
    giudiziario, tale estensione, se da un lato comporterà una diminuzione delle
    sopravvenienze degli uffici fallimentari, provocherà parallelamente un
    aggravio di altri uffici, in quanto è evidente che l'innalzamento della
    soglia di fallibilità attraverso l'allargamento della definizione di piccolo
    imprenditore avrà la conseguenza che i creditori, per realizzare il loro
    credito, saranno costretti a percorrere la via della procedura esecutiva
    ordinaria.

    La ridefinizione della nozione di "piccolo imprenditore",
    tuttavia, non darà luogo solo ad una redistribuzione dei carichi di lavoro
    giudiziari, ma anche ad effetti funzionali collaterali, indirettamente
    nascenti dalla nuova struttura della tutela giurisdizionale. Il ricorso alla
    procedura esecutiva come unico strumento di realizzazione del credito
    nell'area di esenzione dal fallimento, da un lato farà venire meno la
    garanzia della par condicio tra i creditori (che può essere assicurata solo
    dalla dichiarazione di fallimento), e, parallelamente comporterà
    l'attenuazione della possibilità di salvataggio della unità produttiva,
    atteso che la pluralità delle azioni esecutive conseguente all'aggressione
    individuale dei beni aziendali, renderà pi probabile la disgregazione del
    patrimonio aziendale e ridurrà ancora di pi le residue possibilità di
    accesso agli strumenti di salvataggio previsti per l'imprenditore
    commerciale dalla legge fallimentare, quali le procedure di crisi o,
    nell'ambito delle procedure dell'insolvenza, l'istituto dell'esercizio
    provvisorio.

    Questa delimitazione soggettiva, in ogni caso, dovrebbe
    costituire l'occasione per il coordinamento della disciplina dello statuto
    dell'imprenditore commerciale (sottoposto al fallimento) e di quella
    dell'imprenditore artigiano (che ne è esonerato), onde superare le oscurità
    definitorie delle due categorie che attualmente non poche incertezze
    determinano all'atto dell'individuazione dei soggetti sottoposti al
    fallimento. Sul piano pi generale la delega si muove secondo un modello,
    peraltro già ampiamente ravvisabile nei primi interventi disposti con il
    decreto legge, che mira a rivedere la funzione svolta dagli organi preposti
    alla procedura fallimentare. Tale revisione può esemplificarsi come segue:
    a) ridimensionamento del ruolo del giudice delegato, di cui si circoscrive
    la funzione di gestione della procedura per accrescerne il ruolo di soggetto
    controllore della legalità delle procedura stessa; b) incremento dei poteri
    riservati ai creditori (sia singolarmente intesi, sia in forma associata
    quali componenti del comitato dei creditori); c) innovazione della figura
    del curatore, di cui viene evidenziata la funzione c.d. gestionale, accanto
    a quella pi tipicamente tecnico-giuridica.

    Procedendo all'esame di questo
    modello e destinando al capo successivo ogni valutazione a proposito del
    nuovo ruolo disegnato per il giudice, sulla base delle scansioni dettate
    dalla legge delega possono effettuarsi le seguenti valutazioni.

    3.1 Il ruolo dei creditori della procedura concorsuale -
    Quanto ai nuovi poteri riconosciuti ai creditori deve valutarsi
    l'ampliamento delle competenze del comitato dei creditori, derivante dalla
    previsione (articolo 1, c. 6, n. 2, legge 80/05) di una sua maggiore
    partecipazione alla gestione della crisi dell'impresa, deve rilevarsi come
    la incrementata funzione del comitato, soprattutto se sostitutiva
    dell'attuale ruolo valutativo ed autorizzatorio del giudice delegato,
    richiede una intensa partecipazione alle decisioni operative del curatore.
    Tale ruolo postula una competenza tecnico-professionale non sempre
    riscontrabile nelle procedure concorsuali, salvo che nei fallimenti pi
    importanti nei quali i creditori, in considerazione delle dimensioni del
    loro credito, ritengono opportuno assumersi gli oneri economici, ad esempio,
    di farsi assistere da professionisti che li rappresentino nel comitato. Per
    il resto l'allargamento delle competenze, in mancanza di corrispondente
    interesse e competenza, rischia di rimanere una mera affermazione di
    principio.

    La previsione dell'esdebitazione (ovvero la "liberazione del
    debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori
    concorsuali non soddisfatti", art. 1, comma 6, n. 13, legge 80/05) è una
    delle maggiori novità della novella, soprattutto se con i decreti
    legislativi di attuazione si riuscirà veramente a renderla strumento di
    stimolo all'emersione dello stato di insolvenza, dando adeguato risalto al
    requisito, indicato al punto 13.2, del "non aver [l'imprenditore]
    contribuito a ritardare la procedura".
    Dovrebbero essere previsti meccanismi
    atti a dar modo di verificare, in concreto, il ritardo con definizione
    specifica della nozione e parametri concreti per la qualificazione della
    condotta cooperante. Nella pratica, sarà importante non consentire,
    tuttavia, che l'esdebitazione diventi un beneficio generalizzato per tutti i
    falliti, per evitare che essa perda il suo carattere di stimolo
    all'emersione della crisi e alla correttezza comportamentale; come, invece,
    provocherebbe un'indifferenziata concessione del beneficio. In altre parole,
    il beneficio ha un costo per i creditori al quale necessariamente deve
    corrispondere un vantaggio per il processo fallimentare; questo vantaggio,
    tuttavia, non sarebbe perseguito ove il beneficio stesso venisse concesso al
    di fuori di una rigorosa sussistenza dei parametri previsti.

    3.2 Il curatore - La figura del curatore è stata oggetto di profondi interventi.
    Per quanto riguarda il piano soggettivo, la previsione di ammettere studi
    professionali associati a ricoprire l'incarico (articolo 1, comma 6, n. 3
    legge 80/05) sembra contrastare con le disposizioni relative alla
    responsabilità penale del curatore che presuppongono la determinatezza della
    persona e la personalità della responsabilità conseguente. Sul piano
    strettamente funzionale la possibilità di nomina a curatore di "soggetti con
    comprovate capacità imprenditoriali" suscita perplessità, in quanto la
    disposizione sembra far riferimento soprattutto alle competenze necessarie
    nelle procedure in cui il curatore deve dare prova di capacità gestionale
    (si pensi all'ipotesi dell'esercizio provvisorio), senza, però, tenere in
    considerazione che nella generalità dei casi a detta capacità deve essere
    associata competenza tecnica anche di carattere giuridico-commerciale.

    Pari
    perplessità suscita la direttiva che attribuisce alla maggioranza dei
    creditori ammessi "il potere di confermare o chiedere la sostituzione del
    curatore indicando al giudice un nuovo nominativo" (articolo 1, comma 6, n.
    9 legge 80/35), atteso che l'attuazione di tale direttiva, puntuale ma
    disomogenea rispetto agli enunciati di semplificazione ed accelerazione
    delle procedure, rischia di mettere in dubbio la conformità del nuovo
    processo fallimentare al principio del giusto processo.

    Il giusto processo
    si realizza, infatti, non soltanto attraverso la terzietà, l'imparzialità e
    l'indipendenza del giudice, ma anche attraverso la terzietà, l'imparzialità
    e l'indipendenza degli ausiliari, consulenti ed incaricati del giudice che
    debbono svolgere la loro attività super partes nel processo. Se nell'ambito
    della procedura fallimentare è auspicabile l'intervento attivo di un organo
    quale il comitato dei creditori, portatore degli interessi dei creditori pi
    rappresentativi in relazione all'ammontare complessivo del credito,
    suscitano perplessità le circostanze che proprio il curatore, ovvero
    l'organo al quale è demandata la cura indifferenziata di tutti gli interessi
    coinvolti nel fallimento, pubblico ufficiale ai sensi dell'articolo 30 l.f.,
    venga confermato dai destinatari dei suoi atti e che dello stesso possa
    essere richiesta dagli stessi creditori la sostituzione nominativa. Il
    soggetto che viene indicato e che potrebbe assumere l'incarico di curatore,
    seppure indirettamente si presenta come esponente degli interessi dei
    creditori che costituiscono la maggioranza dei crediti ammessi.

    Non può,
    dunque, ignorasi la possibilità di uno sbilanciamento dei poteri, ove si
    consideri che il curatore anzich terzo e rispettoso delle sole direttive
    del giudice delegato potrebbe essere indotto ad una maggiore
    accondiscendenza verso i maggiori creditori, che sono in grado di
    condizionare le scelte della maggioranza, a scapito di altri, per evitare il
    rischio della non conferma.
    3.3 Valutazioni di carattere generale -
    Sul piano pi generale può affermarsi quanto segue.

    Meramente dichiarativa
    si rivela l'abrogazione dell'ormai desueto procedimento sommario (articolo
    1, c. 6, n. 14, legge 80/35). L'abrogazione dell'amministrazione controllata
    determinata dalla trasformazione del concordato preventivo in procedura di
    crisi (articolo 1, c. 6, lett. b, legge 80/05) è conseguentemente coerente
    alle disposizioni di cui al decreto legge. Corretto appare il riconoscimento
    del privilegio ai crediti di rivalsa verso il cessionario (articolo 1, comma
    6, lett. c, della legge 80/05). La delega non innova la disciplina dei
    rapporti pendenti (articolo 1, c. 6, n. 7, legge 80/05) destinata, comunque,
    a seguire il solco della disciplina del r.d. 267/42, analogamente a quanto
    prospettato riguardo all'esercizio provvisorio (articolo 1, comma 6, n. 8,
    legge 80/05), il quale dipende non già dalla normazione quanto, piuttosto,
    dall'effettiva sussistenza dei mezzi finanziari idonei a consentire la
    prosecuzione dell'esercizio dell'impresa.

    Vengono introdotte le classi di
    creditori ma senza una omogenea scrittura di raccordo con l'istituto quale
    già vigente per l'amministrazione straordinaria di cui al d.l. 347/2003 (ove
    senz'altro ricomprendono anche i creditori privilegiati) rispetto al
    concordato fallimentare (che sembra sul punto parzialmente modificabile) ed
    il concordato preventivo (dai pi ritenuto conforme a tradizione, ove i
    privilegiati non votano e dunque vanno pagati per intero).

    Quanto alla
    modificazione della disciplina di ripartizione dell'attivo, deve senz'altro
    concordarsi con l'obiettivo di abbreviare i tempi della procedura, ma deve
    rilevarsi l'assenza di direttive specifiche, se si esclude quella, piuttosto
    generica, di "semplificare le modalità di presentazione delle relative
    domande di ammissione" (articolo 1, c. 6, n. 9, legge 80/05).

    E' sicuramente
    apprezzabile la modifica degli effetti personali derivanti dalla
    dichiarazione di fallimento mediante l'eliminazione delle sanzioni personali
    (iscrizione nel registro di falliti) e delle restrizioni alla libertà di
    movimento e alla riservatezza della corrispondenza, non funzionali alle
    esigenze della procedura (articolo 1, comma 6, n. 4, legge 80/05).

    Infine,
    va segnalata la disposizione dell'art. 1, c. 6, n. 12, che prevede la
    possibilità nel concordato fallimentare di suddividere i creditori per
    classi e di riservare agli stessi trattamenti differenziati in ragione
    dell'appartenenza a classi diverse. Tale norma richiama la disposizione
    introdotta dall'art. 4 bis del d.l. 23.12.03 n. 347 (convertito dalla l.
    18.2.04 n. 39) a proposito della ristrutturazione delle grandi imprese in
    crisi, che, appunto, prevede che nella procedura di amministrazione
    straordinaria il commissario possa soddisfare i creditori con un concordato,
    con il quale i crediti sono soddisfatti non singolarmente, ma per classi,
    ovvero "secondo interessi economici omogenei".


  4. La "degiurisdizionalizzazione" delle procedure concorsuali
    - Dalla riforma attuata con il decreto legge 35/05, dai principi contenuti
    nella legge delega nonchè dallo schema di d.lgs. approvato in consiglio dei
    Ministri il 23 settembre 2005 emerge la tendenza ad attenuare fortemente il
    carattere giurisdizionale delle procedure concorsuali.

    E' questa la
    conseguenza pi evidente del modello adottato dal legislatore nella riforma
    del diritto concorsuale, in cui al sistema precedente, basato sul rigoroso
    controllo della procedura da parte del tribunale fallimentare e del giudice
    delegato, si sostituisce un sistema di carattere pi propriamente negoziale
    (non a caso definito "contrattualistico") in cui viene lasciato largo spazio
    (peraltro non esclusivo) agli accordi tra debitore e creditori, sia con
    attenuazione (anche cospicua) del ruolo del giudice, sia con esclusione di
    questo controllo, con la possibilità di regolare i rapporti
    dell'imprenditore in stato di insolvenza con una procedura interamente
    stragiudiziale.

    Un esempio pi evidente di questo modello è costituito dal
    "nuovo" concordato preventivo, ove il giudice interviene solo per verificare
    la mera regolarità degli atti allegati alla proposta ed anche in caso di
    opposizione dei creditori dissenzienti può solo verificarne la regolarità
    senza poter controllare nel merito o la convenienza del concordato.
    Analogamente, nell'accordo di ristrutturazione il giudice interviene solo
    per iniziativa del creditore che propone opposizione entro trenta giorni
    dalla conoscenza presuntiva del piano; nel caso del piano attestato
    interviene solo in sede di revocatoria, ovvero quando il piano attestato ha
    già rilevato in concreto la propria inidoneità.

    A prescindere dalle già
    segnalate conseguenze negative che potrebbero derivare ai creditori meno
    garantiti o, pi semplicemente, a coloro che meno incidono quantitativamente
    sull'entità del passivo, deve essere evidenziata la ricaduta che sul piano
    pi generale può derivare da questa impostazione nell'ambito della
    collettività. I sistemi di accordi stragiudiziali fondano la loro disciplina
    sulle esenzioni dalla revocatoria così che in assenza di controlli
    giurisdizionali, sia in ordine alla meritevolezza soggettiva, sia circa la
    verifica della fattibilità del piano, rischiano di essere stimolate condotte
    non condivisibili sul fronte della correttezza imprenditoriale che tuttavia,
    potrebbero non risultare giuridicamente tali, in quanto non in grado di
    essere rilevate e, quindi, destinate a non emergere.

    Le esenzioni di cui
    all'art. 67, secondo comma, rischiano di incentivare pagamenti preferenziali
    e legittimare la disparità di trattamento dei creditori a fronte della quale
    i creditori pi deboli non hanno la possibilità di ricorrere ad alcun riparo
    in quanto rimane intatto il principio di cui all'art. 51 della legge
    fallimentare secondo il quale solo il fallimento apre il concorso dei
    creditori sul patrimonio del fallito.

    La degiurisdizionalizzazione della
    procedura di concordato preventivo, la previsione dell'eliminazione
    dell'amministrazione controllata tra i principi direttivi della delega e
    l'assenza di direzione giudiziale degli accordi di ristrutturazione e del
    piano attestato si pongono in contrasto con la tendenza che si registra in
    altri paesi, ove si tende a ricondurre la crisi d'impresa (dal caso Enron al
    caso Kirch o a Vivendi) in alveo giudiziale, con un giudice di riferimento,
    i cui poteri si incrementano a mano a mano che cresce la necessità di scelte
    tempestive e di sacrifici all'autonomia privata.


  5. La tutela penale - Durante i lavori parlamentari che hanno
    condotto alla conversione del d.l. .35/05 ed alla promulgazione della legge
    delega 80/05 fu presa in esame anche un indirizzo di delega che prevedeva la
    riforma dei reati fallimentari (lett. d del c.d. maxi emendamento). Il
    confronto derivatone a livello politico sul punto della fissazione dei
    limiti di pena per il reato di bancarotta, convinse i proponenti a rinviare
    ad altro momento tale punto della riforma e ad escludere, quindi, ogni
    riferimento alla tutela penale della delega.

    Questa soluzione rappresenta
    indubbiamente una carenza dell'intervento legislativo, non solo perch non
    chiarisce sul piano penale la tipologia dei comportamenti dell'imprenditore
    incompatibili con una corretta nozione del concetto di "rischio d'impresa",
    come tali sanzionati dalla legge, ma soprattutto perch manca di definire i
    comportamenti vietati e le relative sanzioni per quei soggetti che sono
    chiamati ad operare nell'ambito della procedura concorsuale senza il
    preventivo controllo del giudice.

    L'elaborazione di un nuovo modello di
    procedura fallimentare, come evidenziato in precedenza, non può prescindere
    da un adeguato supporto della legge penale.

10 11 2005
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