relazione di Rita Sanlorenzo XXIX CONGRESSO ANM


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relazione di Rita Sanlorenzo

Congresso dell'ANM
Roma - 6 / 8 giugno 2008

1. Un Congresso importante, per noi e per chi ci guarda.
Si apre oggi un congresso importante, sicuramente non facile, che si pone un obbiettivo ambizioso, quello di saper offrire ai nostri interlocutori un progetto per la giustizia, per questa nostra giustizia così sofferente, da un lato in crisi di efficienza e di ruolo, sfiancata dal peso dei numeri che non riesce a reggere; dall'altro, in difficoltà rispetto al bisogno di trovare una voce sola, forte e ferma, con cui parlare ai cittadini, per riguadagnare un consenso diffuso da cui è stata accompagnata in ben altri momenti difficili della storia di questo Paese.
Abbiamo alle spalle lunghi anni di estenuanti scontri con la politica, che aveva fatto suo l'assioma per cui per riformare la giustizia occorreva prima di tutto riformare i magistrati. Nel protrarsi di questo scontro nonostante i ripetuti richiami dell'Associazione, i "libri bianchi" sullo stato del servizio, gli appelli a che la giustizia non diventasse terreno di scontro ma un impegnativo banco di prova per riallineare il paese a standard accettabili di efficienza e di modernità, anche nel confronto non più eludibile con l'Europa, non abbiamo potuto far altro che assistere, quasi impotenti, al compiersi del disastro. A questo degrado hanno contribuito inevitabilmente le tante riforme mancate, il moltiplicarsi dei riti processuali ed il complicarsi di quelli già vigenti, il ricorso ripetuto alle leggi ad personam (una ferita ancora aperta nel nostro tessuto giuridico di cui, purtroppo, nessuno parla più). Ha contribuito la crescita esponenziale della domanda di accesso al processo, non sempre determinata da bisogni reali delle parti sostanziali, ma influenzata da strumentalizzazioni interessate, anch'esse nascenti dalla mancata volontà di metter mano a nodi strutturali che riguardano anche l'avvocatura, che non possono essere lasciate ad una autoregolamentazione di mercato che, come ormai è chiaro a tutti i livelli, non basta più a moralizzare lo sviluppo delle società.

2. La nostra casa comune, l'Associazione.
Oggi veniamo a questo congresso con una Giunta non unitaria, ma largamente maggioritaria, unita intorno ad un programma ricco, condiviso ed articolato, su cui lavorare nel continuo dialogo con i nostri interlocutori, cui avanzare proposte e richieste. La scelta del gruppo di Magistratura Indipendente di questi ultimi giorni, di non partecipare all'incontro con il Ministro, ma di promuovere un'occasione separata mira a segnare e ad enfatizzare, anche fisicamente, una spaccatura, gioca obbiettivamente come un tentativo di indebolimento della voce dell'ANM, segna l'esistenza di un'alternativa. Questo è evidentemente il luogo per confrontare proposte e misurarci sui contenuti, purchè sia chiaro un presupposto di merito: dobbiamo dirci se siamo d'accordo, noi che da sempre ci impegnamo nell'associazionismo dei magistrati, che questa, alla cui costruzione in fondo abbiamo sin qui contribuito, è e continua ad essere la casa comune, sicuramente angusta, non sufficentemente accogliente e confortevole, e che quindi è nostro dovere rendere più capace e funzionale alle aspettative dei suoi abitanti, concorrendo ad ampliare forme partecipative e ad affinare strumenti di intervento e di conoscenza dei bisogni di chi ne fa parte. Tutto il resto - da parte di chi appunto al'interno dell'associazione non ha certo minori responsabilità nel non avere sufficientemente consolidato le mura e reso confortevoli gli arredi, e anzi quelle stanze spesso ha usato come anticamera per accessi facilitati a ben altri palazzi - , è solo calcolo di parte. E nient'altro.

3. Il terreno d'azione delle riforme
Dello stato della giustizia, oggi, abbiamo tutti contezza: e se avessimo avuto ancora dei dubbi, è sufficientemente esplicita la relazione trasmessa al Ministro dal Direttore generale del Dipartimento dell'Organizzazione che tra l'altro evidenzia come, per mettere mano ad un progetto complessivo di rinnovamento e di recupero della funzionalità del servizio, oggi non possa più essere trascurata la questione ormai incancrenita del personale amministrativo, sottodimensionato dal punto di vista dell'organico e negletto dal punto di vista della riqualificazione professionale. Un ganglio centrale che la magistratura associata non può pensare di trascurare in un quadro più complessivo di richieste di intervento, che è fatto oggetto di documenti puntuali trasmessi dalla GEC nel corso dell'incontro con il Ministro.
Del Ministro non possiamo non apprezzare la pacatezza dei toni e la dichiarata disponibilità del dialogo, nell'ottica del perseguimento di un comune obbiettivo. E' un dato significativo, che segna indubbiamente un buon punto di partenza. Ma ora aspettiamo risposte di contenuto.
Aspettiamo le riforme processuali, nel settore civile e penale, che finalmente realizzino il precetto della "durata ragionevole"; aspettiamo un intervento complessivo sul piano della sanzione penale, e della sua modulazione in base ai valori sottesi alla norma incriminatrice, in una ottica d'insieme che oggi invece, a seguito del frazionamento degli interventi, sembra smarrita. Aspettiamo serie misure sul piano dell'organizzazione, perchè il nostro senso di responsabilità, prima di tutto il resto, ci porta ad escludere richieste di indiscriminati aumenti di risorse, ma ci induce a concorrere alla formulazione di proposte mirate al miglioramento della resa complessiva del servizio: queste proposte non dovranno cadere nel vuoto.
Aspettiamo ciò di cui la giustizia ha bisogno da molti anni: un intervento di sistema, volto a valorizzare nel suo complesso il significato centrale che la stessa giustizia assume per lo sviluppo civile e democratico di un Paese, e che da ultimo nei programmi della politica sembra smarrito, sfumato sul fondo.
I primi interventi governativi non vanno in questo senso: sembrano, anzi espressamente si dichiarano, figli di una logica emergenziale, in nome della quale addirittura si interviene per certi casi e per certe aree geografiche, con decretazione d'urgenza, sull'ordinamento giudiziario, sulle regole di riparto della giurisdizione, sull'organizzazione giudiziaria e sulla competenza per territorio; su altro terreno, ed in particolare su quello nodale della sicurezza, proponendo un'ipotesi di criminalizzazione di condotte che in sè non ledono diritti primari, ma che in definitiva hanno a che fare con la condizione soggettiva della persona, che comunque già oggi viene individuata come ragione per una risposta punitiva aggravata.
Oggi sembra che ci si incominci ad interrogare sulla reale opportunità dell'introduzione del reato di ingresso illegale: e si tratta di interrogativi fondati, anche perchè di certo non sarà questo genere di misure a creare più sicurezza, ma solo più illegalità, oltre che più diseguaglianza; non sarà questo tipo di strategia a fermare i flussi di immigrazione clandestina, perchè non si mette a confronto la propria sopravivenza con la minaccia dell'applicazione di un'aggravante; o a generare maggior ordine nelle città, perchè finirà per scacciare dalle abitazioni regolari gli stranieri senza permesso (a questo mira la confisca nei confronti di chi cede loro onerosamente un immobile) relegandoli nei campi abusivi; anzi, favorirà lo sfruttamento del lavoro nero, e quindi l'evasione fiscale e contributiva.
Il processo penale è strumento costoso e sofisticato, a cui un legislatore oculato dovrebbe saper far ricorso in termini bilanciati e ponderati, valutando sempre che la sua ineffettività comporta una ricaduta ulteriore, anche in termini di sfiducia nella possibilità delle istituzioni di dare al cittadino la sicurezza cui legittimamente ambisce. Non crediamo che un serio piano di intervento rispetto alla realtà, non solo emergenziale, del Paese, possa prescindere da questa premessa.

4. Le scelte della politica ed i bisogni della giustizia
Sia chiaro, non muoviamo da alcun pregiudizio ostile: il cd. pacchetto sicurezza contiene anche misure opportune, sul piano sostanziale, per esempio laddove si rendono più incisive le sanzioni nei confronti delle condotte pericolose per l'incolumità pubblica da parte di chi guida automezzi, o si accelerano alcuni tipi di processi. Non solo non abbiamo mai avuto dubbi sul primato della politica, ma pensiamo che non possa più essere rinviato il momento in cui la politica deve compiere le sue scelte. Ed anzi, è ora che la forza, la forza dei numeri innanzitutto, di questa politica, sia utilizzata per fare riforme a cui tutti, concordemente, guardano, come decisive per un recupero di efficienza e di razionalità: prima fra tutte, la revisione della geografia giudiziaria del Paese.
La revisione della geografia giudiziaria non è solo l'occasione di un risparmio in termini economici e di un più razionale impiego delle risorse disponibili: è l'occasione per una valorizzazione professionale di tutta la magistratura, ed in particolare di quella più giovane. Uffici di dimensioni medio grandi significano possibilità di scambio e di confronto continuo, con la formazione di protocolli condivisi e di consolidamento di circuiti di autoformazione, favoriscono il travaso di esperienze, consentono la specializzazione dei giudici e dei pubblici ministeri, soprattutto su materie che impongono un sapere extragiuridico ed un aggiornamento professionale continuo, quali, ad esempio, la sicurezza sul lavoro, subiscono in minor grado il disservizio arrecato da assenze o trasferimenti.
In questi termini ci interroga una giovane collega, Caterina Trentini, che svolge funzioni di sostituto procuratore presso la procura di Alessandria: "Si dice che le realtà piccole funzionano meglio: davvero? Anche le sedi dove su un organico di tre magistrati, uno è stato trasferito ed una è in maternità? O dove in un tribunale con un solo gip/gup in un attimo sono tutti incompatibili? Accorpare alcune sedi, si dice, significherebbe "perdere" posti direttivi e semidirettivi: ora, si è tanto parlato, a Palermo - al convegno dedicato ai giovani magistrati - del fatto che i "giovani" sono lontani dall'associazione, o, semplicemente, non credono valga la pena alzare la testa dai fascicoli per dire la loro: se i ragionamenti continuano ad essere questi, fanno bene a crederlo!".
Ho riportato testualmente queste frasi perchè volevo sottolineare qui, in apertura di questo Congresso, come anche ai più giovani di noi sia ben chiaro come il tema dell'adeguatezza dell'organizzazione sia in rapporto di stretta conseguenzialità con la bontà e la qualità della risposta giudiziaria, ed in fondo, anche con il perseguimento di un miglioramento del livello professionale della magistratura: e dunque che anche su questo terreno non possiamo non farne oggetto di forte rivendicazione verso l'esterno, e di elaborazione e di linea d'azione, al nostro interno.
Tra pochi mesi ci troveremo di fronte all'impatto grave ed in certe situazioni devastante, della norma della riforma dell'ordinamento giudiziario che vieta l'impiego dei magistrati di prima nomina in funzioni requirenti o giudicanti penali monocratiche: quella che è una risposta sbagliata ad un problema reale, che riguarda appunto la copertura di sedi disagiate che sino ad oggi sono state affidate ad un meccanismo di turn - over non certo funzionale alla razionalità del servizio. Sino ad oggi, dobbiamo ammetterlo, erano soprattutto i magistrati più giovani ad essere impiegati nella copertura di avamposti difficili, e comunque spesso isolati: anche di qui nasce una norma che nell'immediato futuro sarà però la causa della scopertura di molti uffici. Certo un divieto così draconiano perderebbe ogni razionalità se questi stessi giovani fossero destinati ad uffici di dimensioni medie, o grandi, dove poter essere affiancati ai colleghi più esperti, garanzia questa per la loro crescita professionale. Così come d'altronde non è possibile non pensare ad una politica seria di incentivi ai magistrati avanti in carriera, per indurli ad andare a coprire posti in sedi difficili e particolamente esposte.

5. Ognuno è chiamato a fare la propria parte.
Riguarda anche noi magistrati l'altissimo monito del Presidente Napolitano, che chiama tutti, cittadini e istituzioni, a fare la propria parte, nell'interesse generale del Paese, per superare una crisi difficile che mette in primo piano proprio grandi temi decisivi per la nostra convivenza, e che come tali hanno comunque ricadute concrete sull'amministrazione della giustizia.
Le esperienze migliori, le più innovative, le prassi virtuose capaci di imporsi anche sulle carenze organizzative e sulle mancate riforme nascono proprio al nostro interno, dalle capacità di visione prospettica e dall'inventiva, dalla voglia di dialogo con gli altri operatori.
Ai gravi problemi che affliggono oggi la magistratura, la crisi di ruolo, la perdita di senso e di funzionalità, la progressiva marginalizzazione della giurisdizione, si aggiungono preoccupazioni corpose per quel che riguardano profili che in fondo derivano tutti da quel mancato incontro (o meglio, dalla collisione diretta) tra domanda di giustizia e adeguatezza del sistema ad accoglierla.
La questione dei carichi di lavoro e della loro esigibilità è ricca di implicazioni e merita attenzione e una riflessione attenta, anche qui, nel tentativo di cercare di evitare da un lato le semplificazioni che delegittimano solo il nostro ruolo e la nostra collocazione istituzionale, dall'altro le elusioni imbarazzate.
Non è dunque il caso di metterci o non metterci le pezze, di chiamare o non chiamare la politica alle sue responsabilità, di aprire fronti interni di scontro che davvero, giocano solo un ruolo propagandistico ed interessato: la nostra voce potrà farsi sentire all'esterno solo se sapremo liberarci dalla chiusura corporativa e presentare un convincente progetto complessivo, che si fondi non su percezioni soggettive, su generalizzazioni ormai ben poco convincenti ed inascoltate, o sul tentativo di cavalcare un malessere diffuso e senz'altro in parte giustificato, ma piuttosto su dati obbiettivi e documentati: ed è pertanto estremamente opportuna la costituzione di una commissione di studio dedicata al tema, così come è fatto importante la individuazione di una sessione apposita di questo congresso al tema dell'organizzazione.
Ascolteremo con interesse: ma la premessa, insuperabile, è quella per cui è da scongiurare il definitivo allontanamento dal cittadino dalla condivisione di un piano di recupero di efficienza e di effettività che soprattutto sul singolo oggi grava.

6. La sfida del cambiamento e l'autogoverno.
Al dovere di concorrere a cercare un serio bilanciamento non si sottrae la magistratura, e non si dovrà sottrarre il suo autogoverno: oggi spesso attaccato, dall'esterno, dipinto come il luogo della spartizione e del trionfo delle logiche dell'appartenenza, in realtà ricorrentemente fatto oggetto di mire di espropriazione, soprattutto da ultimo per quel che riguarda il potere disciplinare nei confronti dei magistrati. E' scritto come preambolo nel programma di questa GEC, il governo dell'Associazione è e resta contrario ad ogni progetto di riforma costituzionale sull'assetto della magistratura, sia per quel che riguarda l'assetto del pubblico ministero, sia per quel che concerne il mantenimento all'interno dell'organo di autogoverno delle competenze che gli sono affidate. In questi mesi abbiamo assistito allo straordinario sforzo di dare attuazione in tempi contenuti alla riforma dell'ordinamento, ed in particolare alla fortissima rotazione degli incarichi direttivi e semidirettivi: è stato posto in atto un grande piano di rinnovamento che ha enormente ringiovanito i vertici degli uffici, consentendo tra l'altro anche alle donne di riuscire in percentuali mai raggiunte prima, a sfondare quel tetto di cristallo che si oppone tipicamente all'ascesa femminile in tutte le strutture lavorative verticali.
Se questa è la scommessa posta dalla legge di riforma, dobbiamo dire che sin qui, nel nome di una prospettiva di cambiamento, essa è stata raccolta, nonostante riserve, immobilismi, quando non aperte avversioni. A questo grande sforzo messo in atto, è giusto dare atto, e soprattutto riconoscere che su questa strada occorre procedere, prima di mettere mano ad altri destabilizzanti tentativi di introdurre nuovi assetti. E questo è forse il più significativo esempio di come oggi all'autogoverno non ci sia alternativa per apportare, ed in positivo, un cambiamento di cui si ha bisogno: e questo autogoverno è senz'altro migliorabile e rinnovabile, nelle forme della rappresentanza, e criticabile quando sbaglia, ma le avversioni sistematizzate e delegittimanti fanno solo il gioco di chi all'autogoverno della magistratura ha pronta l'alternativa, l'eterogoverno di altri poteri.

7. Responsabilità e professionalità
Le difficoltà della giurisdizione sono qui davanti agli occhi di tutti: se gli anni passati hanno conosciuto attacchi esterni e delegittimazioni contro esempi incensurabili di suo esercizio, oggi lo scarto con il sentire comune è frutto di quel dato di ineffettività che maggiormente la allontana dalla condivisione e dal sostegno per la sua azione. C'è un pericolo, enorme, che si collega a questo nodo ancora irrisolto: che anche nell'azione della magistratura, finiscano per prevalere spinte centrifughe verso la ricerca dell'utile, e del risultato, a discapito della stretta osservanza della cultura delle regole, che è quella stessa che prima di pretendere dagli altri, dovremmo sapere sempre imporre a noi stessi, anche di fronte ai forti richiami mediatici della rappresentazione del processo come un terreno di scontro e di contrapposizione, e non come luogo di accertamento della verità. Non possiamo permetterci margini di ambiguità e di inerzia: responsabilità, e professionalità, oggi sono termini di uno stesso impegno che dobbiamo assumere per sostenere la difesa della nostra autonomia da tentativi di condizionamento e di espropriazione. Questa è la via per proporre all'esterno il nostro contributo per un cambiamento non più rinviabile.
Rita Sanlorenzo

09 06 2008
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