Roberto Braccialini
Dal dicembre scorso, come immediata conseguenza dell'importante convegno associativo di Roma sulle prospettive del processo civile, è in corso nel "laboratorio consortile" costituito dal gruppo di lavoro a cui hanno dato vita Magistratura Democratica ed i Movimenti Riuniti per la Giustizia, una riflessione sull'organizzazione della giustizia civile. Si tratta di un dibattito che vuole funzionare sia come lavoro istruttorio per la necessaria messa a punto delle rispettive linee strategiche su magistratura onoraria, rito processuale, rapporto con gli altri operatori giudiziari, sia come catalizzatore delle iniziative che l'ANM deve assumere confrontandosi con foro, università, organizzazioni del personale amministrativo.
Il convegno romano, dal punto di vista del confronto con gli altri operatori della giustizia, è stato particolarmente stimolante e utile perché è riuscito a far diventare "cultura comune" la consapevolezza che il problema fondamentale della giustizia civile non sta nel rito (certo, le regole processuali sono perfettibili), ma principalmente nelle risorse - uomini e mezzi - messe a disposizione per la giustizia del quotidiano. Però la perdurante richiesta di costituzione di un ufficio del giudice, come struttura di staff a servizio del magistrato, posta sempre in esordio di tutte le rivendicazioni associative degli ultimi tormentati mesi, era rimasta un po' nel vago. Da qui, l'esigenza di puntualizzarne i contenuti predisponendo anche un concreto articolato che rendesse chiare le richieste della magistratura associata.
E' stato predisposto quindi un primo documento di analisi, in cui "i pilastri" dell'ufficio del giudice erano solo due, il personale amministrativo ed i giudici onorari di tribunale, al quale nei primi mesi del 2004 sono stati associati successivi articolati paranormativi, man mano aggiornati sulla base dei progressi del dibattito nel gruppo misto. A seguito di una verifica interna al gruppo di lavoro, il 3 aprile 2004, si è proceduto ad elaborare la bozza di una possibile "piattaforma condivisa", in quanto ritenuta formula più congeniale per coagulare consensi estesi - dentro e fuori la magistratura - intorno ad un'ipotesi di mutamento dell'attuale modello organizzativo: la bozza della piattaforma è stata presentata e discussa in un affollato seminario aperto a qualificati contributi esterni, tenutosi a Bologna il 19 giugno 2004. Non c'è bisogno di spiegare il valore simbolico della scelta della città, che fu la sede di lavoro di Carlo VERARDI.
Indubbiamente la prospettiva iniziale, nel lavoro di analisi e nei primi conseguenti articolati, si muoveva all'interno di una concezione magistratocentrica: si pensava esclusivamente agli istruttori civili e si partiva dalla ricognizione delle loro esigenze, che sono state catalogate in otto aree di attività, per identificare i soggetti a cui richiedere collaborazione in favore del giudice. Perciò si descriveva un'organizzazione un pò atomizzata e di tipo tolemaico, nella quale tuttavia era già chiara l'idea organizzativa dell'allineamento totale tra giudici e cancellerie, su cui si è espresso Stefano ZAN nel libretto "Fascicoli e Tribunali", una delle più efficaci analisi della giustizia civile nel nostro Paese.
Con tali premesse, era abbastanza agevole il catalogo delle richieste :
a) vedere finalmente operative sul campo alcune figure previste dalla contrattazione collettiva, come gli operatori statistici ed i programmatori, di fatto centellinati sul territorio e quasi invisibili nelle cancellerie;
b) ritagliare all'interno delle incombenze attuali del personale di cancelleria, specifiche figure di assistenti per la gestione del fascicolo e dell'udienza. Un notevole contributo per l'individuazione di questo secondo obiettivo ("chi può fare cosa") ci è stato fornito da Daniela INTRAVAIA sia nel suo intervento nel convegno romano di dicembre, sia nello schema delle posizioni di lavoro elaborato sulla base dell'analisi funzionale delle incombenze di cancelleria contenuta nel libretto di ZAN;
c) individuare un tipo speciale di collaboratore per le ricerche giurisprudenziali, la stesura delle minute dei provvedimenti più semplici, la conservazione e la socializzazione della giurisprudenza della sezione.
Quest'ultima figura professionale - che potremmo convenzionalmente definire l'assistente di studio - è senza dubbio la più problematica. Essa non costituisce comunque una novità perchè già nel Protocollo d'intesa del c.c.n.l. del 1998 si prevedevano 1200 posizioni lavorative di assistente del giudice a cui richiedere per l'appunto le prestazioni di ricerca e organizzazione dei materiali giurisprudenziali. La previsione è stata snobbata e forse era anche invisa ad alcune organizzazioni sindacali, probabilmente timorose di trovarsi per le mani "lo schiavetto del giudice", le quali organizzazioni si devono oggi confrontare con un modello di tale assistente, laureato, concepito come co.co.co. e finanziato con prelievo sulla procedure concorsuali (art. 9 dell'emendamento del sen. Caruso al d.d.l. di riforma dell'ordinamento giudiziario).
é possibile che lo stallo registratosi sull'assistente del giudice in versione c.c.n.l. 1998 sia stato frutto dei veti incrociati che derivavano dal diverso approccio al tema dello oo.ss. e dell'avvocatura. Ma il nodo non è più eludibile perché, se è vero che la mannaia della Commissione Bilancio della Camera è caduta sull'emendamento Caruso, è vero anche che il precedente rimane e dobbiamo sapere che l'unico modello parlamentare di assistente del giudice fin qui partorito è - allo stato - un co.co.co a termine.
Nel documento di analisi e nei primi articolati del nostro gruppo si pensava ai GOT per assolvere i compiti di ricerca e documentazione giurisprudenziale : nella verifica interna del 3 aprile 2004, ma prima ancora nel dibattito telematico tra i componenti del gruppo, questa prospettiva è stata decisamente sconfessata per ragioni tattiche e strategiche, in quanto le si preferisce un tipo di "amministrativo" qualificato e stabilmente inserito nelle sezioni.
Considerati i contributi fin qui pervenuti, si può forse pensare di sdoppiare la figura dell'assistente di studio distinguendo la gestione del patrimonio giurisprudenziale e la ricerca dei precedenti e dei materiali (ma anche la cura delle banche dati e dei supporti informativi), affidata ad una figura inquadrata nelle posizioni speciali dell'area contrattuale C, che sarebbe incaricata di un lavoro da ricondursi sempre all'interno delle sezioni giudicanti, senza costituzione di un ufficio separato. Mentre si potrebbe ricorrere a figure già oggi presenti nella contrattazione collettiva e negli uffici, fino al livello B3, per la predisposizione delle minute di sentenze o provvedimenti istruttori cd. "compilativi" in presenza di un contenzioso di tipo seriale.
Ma com'è che dall'iniziale ufficio del giudice, si passa all'idea di ufficio per il processo discussa nel seminario bolognese : è solo una questione terminologica?
Nel momento in cui ci si interroga su dove trovare le risorse occorrenti per un salto di qualità della giurisdizione civile, e ci si chiede come queste ultime devono essere qualificate, la prospettiva tolemaica salta completamente. Infatti basta uno sguardo ai nostri uffici per capire che abbiamo risorse su cui investire nella magistratura onoraria e nel personale amministrativo, direttivo e non : il problema è come coordinare tali risorse in vista di un obiettivo condiviso.
L'ufficio per il processo non è né un organo né una struttura, ma un modo di pensare il rapporto e l'interdipendenza tra i soggetti che intervengono nel processo, e che realizzano la giurisdizione dal punto di vista dell'offerta di servizi; ed un modo di pensare i rapporti tra tali soggetti e le risorse tecniche messe a loro disposizione. Deve, ciascuna componente del servizio, andare per la sua strada reclamando primazie, o si può pensare ad obiettivi condivisi?
L'obiettivo condiviso delle diverse risorse umane e tecniche che partecipano alla gestione del processo non può che essere il precetto costituzionale dell'art. 111 della Costituzione : per questo, un pò enfaticamente, si pensava di intitolare l'articolato iniziale, predisposto dopo la prima analisi dei bisogni, come "prima legge di attuazione" dell'art. 111, per sottrarre la recente disposizione costituzionale alla sensazione di vaghezza che ispira la "ragionevole durata del processo", quando non accompagnata dalla previsione di teste, gambe e braccia necessarie per passare dal piano dei principi alla realtà effettiva.
Vediamole un attimo più da vicino, queste risorse o "pilastri" dell'ufficio per il processo - tanto per ricorrere ad un'abusata figura comunitaria - e cominciamo dal primo pilastro costituito dal personale e dalla dirigenza amministrativa.
In parte si è già detto dell'esigenza di un'integrazione sinergica totale tra gli istruttori e le cancellerie. Si può aggiungere la necessità di disporre di uffici di servizio che funzionino per più scopi, quasi di tipo "consortile", come può essere - idea che compare già nei primi articolati - l'ufficio statistico circondariale e distrettuale : un ufficio che serva al singolo magistrato per la gestione del proprio ruolo istruttorio e decisorio, al presidente di sezione per le scelte e verifiche di sua competenza, al presidente del tribunale per disporre di un'affidabile base informative per governare i flussi del contenzioso, al Consiglio giudiziario per le sue necessità; ma anche all'amministrazione per le scelte che le competono e che non possono più tollerare scarti di un milione di controversie a consuntivo, come ai tempi del censimento delle pendenze per le sezioni stralcio.
Rispetto al personale amministrativo organizzato dalla contrattazione collettiva, in questo momento c'è un triplo livello di problemi sul tappeto: i notevoli vuoti organici (mancano 7000 addetti su un totale di 50.000 amministrativi); il ricorso ad esternalizzazioni ed al precariato per quanto riguarda le incombenze meno qualificate, e l'attuale blocco dei processi di riqualificazione per le professionalità più avanzate, quelle di cui si avverte il maggiore bisogno nelle cancellerie.
Per quanto concerne i profili superiori, il punto più problematico, su cui occorre organizzare una risposta associativa, riguarda la ricorrente richiesta di trasferimento ai livelli apicali del funzionariato ed alla dirigenza amministrativa delle funzioni cd. paragiurisdizionali : per avere un'idea più concreta dei relativi contenuti, si veda il d.d.l. n. 2457 del 2003 presentato dal sen. MAGNALBÒ.
Sembra che l'idea di fondo, che corrisponde ad esperienze europee abbastanza radicate (vedi il Greffier francese ed il Recthspfleger tedesco), non incontri in linea di principio, in casa dei magistrati, seri contrasti. Ma è sul merito di tali trasferimenti e sulla forma (che significa : competenza autonoma o delegata?), che possono nascere perplessità in quanto - per fare alcuni esempi problematici - l'attuale sistema processuale non consente di considerare l'emissione dei decreti ingiuntivi, o la nomina degli arbitri o quella dei giudici popolari d'assise, come atti di pura amministrazione.
Sul decreto ingiuntivo, però, si impone una riflessione più approfondita e laica che abbiamo chiesto ad alcuni docenti - al momento, non ricevendo risposta - sulle linee di tendenza dell'ordinamento verso titoli di formazione stragiudiziale e sull'utilità di conservare nella giurisdizione, in tutto o in parte, il procedimento monitorio.
L'apertura associativa a questo tipo di richieste dei vertici amministrativi, con i "distinguo" a cui si accennava, dovrebbe prevedere un paio di "paletti" : l'esercizio per delega della funzione paragiurisdizionale, sotto la vigilanza e con possibilità di revoca o surroga del magistrato titolare; e l'inserimento della nuova figura non già in un separato plesso amministrativo, quasi si trattasse di un ufficio a mezza strada tra cancellerie e sezioni, ma ben saldamente all'interno delle unità operative sezioni/cancellerie in un circuito totalmente integrato con quello giurisdizionale.
Altro importante capitolo, che fa subito capire a cosa si allude con l'etichetta "ufficio per il processo", riguarda i rapporti tra la dirigenza giudiziaria e quella amministrativa, che già oggi ad ordinamento invariato consentirebbe interessanti esperienze e sperimentazioni.
Anche qui, o riusciamo ad organizzare una risposta associativa, oppure ci troveremo tra breve a doverci confrontare - o meglio scontrare - con l'art. 2.1 lett.s) del d.d.l. 4636 di controriforma dell'ordinamento giudiziario, a cui non possiamo addebitare incoerenze : la scelta fatta in tale testo, univoca e di ben dubbia costituzionalità, è di affidare al Ministro la risoluzione dei conflitti tra le due dirigenze. In un simile contesto, prima o poi verrebbe al pettine il nodo della differenza tra le tabelle, intese come progetto di organizzazione della funzione giurisdizionale, ed il "programma di lavoro" di cui alla controriforma in gestazione, in quanto non è chiaro come quest'ultimo programma possa prescindere dalle previsioni tabellari.
Nei nostri lavori abbiamo pensato che un modello condiviso di organizzazione dell'ufficio giudiziario deve fare perno su tabelle biennali non più dirette unicamente ad individuare in concreto il giudice naturale, ma sempre più congegnate come momento di programmazione del lavoro giudiziario e di organizzazione del servizio : questo deve trovare corrispondenti agganci in un diverso approccio tra le due dirigenze e svilupparsi in strutture organizzative e organi diversi dagli attuali, che non possono essere i soli presidenti dei tribunali. Da qui, la proposta di una conferenza organizzativa tra i dirigenti giudiziari delle sezioni e gli omologhi dirigenti amministrativi, come luogo più indicato per discutere e varare il modello organizzativo a livello di circondario : il ruolo del presidente del tribunale dovrebbe essere quello di organo di impulso di una tale struttura concertativa, simile alle conferenze di servizi, idonea a supportare e realizzare gli obiettivi tabellari.
Naturalmente, nella piattaforma si prende posizione anche sul ricorrente quesito di chi debba avere l'ultima parola in caso di conflitto tra le due dirigenze, che il maxiemendamento ha risolto - come già detto - nei termini dell'art. 2.1 lett. s) : noi invece rinviamo ancora, e con convinzione, al "lodo LA GRECA" del 24 gennaio 1997. é un'indicazione coerente con le analisi condotte nel precedente seminario di MD dello scorso aprile sulla dirigenza degli uffici giudiziari anche alla luce dell'evoluzione delle carriere della dirigenza amministrativa. Però c'è da chiedersi perchè tutto il dibattito sul punto debba essere schiacciato sull'interrogativo circa il "titolare della sovranità", e non sulle forme organizzative intermedie che possono prevenire il conflitto giurisdizione-amministrazione e rendere effettivo il rapporto di "leale collaborazione" che sta alla base dell'art. 110 Costituzione.
Il secondo pilastro dell'ufficio per il processo è costituito dalla magistratura onoraria con cui lavoriamo a più stretto contatto nei tribunali, i giudici onorari di tribunale. Le opinioni all'interno del nostro gruppo su tale figura oscillano tra la razionalizzazione dell'esistente (di cui è traccia nella circolare consiliare dello scorso dicembre); la definitiva eliminazione di tale magistrato onorario (vedi il resoconto del seminario di MD del 26 settembre 2003 sulla magistratura onoraria); la prospettiva di riutilizzazione in una diversa chiave collaborativa : qui sono stati ripresi importanti spunti del lavoro "a sei mani" di GILARDI, MATTONE e VIAZZI sulla magistratura onoraria pubblicato su questa stessa rivista alcuni mesi fa. Inoltre, nessuno di noi ignora la decisa contrarietà al mantenimento di questa figura da parte dell'avvocatura, che pur di fatto dirotta su tale figura le proprie eccedenze professionali.
Realisticamente, la prospettiva del "tutti a casa" sembra impraticabile perchè da troppo tempo i GOT sono utilizzati per la gestione di intere fette del contenzioso civile ed hanno sviluppato un sindacalismo piuttosto agguerrito che è riuscito a strappare una proroga biennale rispetto al termine di scadenza dell'art. 245 del d.lgs. 51 del 1998, sindacalismo che marcia a tappe forzate verso l'introduzione della cd. "magistratura di complemento", a cui puntano anche alcuni settori dell'avvocatura.
Le carenze ed i vuoti di organico della magistratura togata, come pure l'insufficienza numerica e la poca flessibilità di impiego dei magistrati distrettuali, comportano allo stato realisticamente l'insostituibilità del GOT, pena l' immediata paralisi della macchina giudiziaria; il che non significa dover continuare a condividere il modello del clone a basso costo (o del giudice "ruota di scorta" ), a cui si ispirano le attuali norme di ordinamento giudiziario degli art. 42 bis e ss.
La proposta progressivamente delineatasi nel gruppo di lavoro vede il mantenimento della figura del GOT con una fisionomia diversa dall'attuale : si prefigura una funzione di collaborazione interna-esterna mirata sull'attività di udienza in una logica di delega di fasi processuali da parte del magistrato togato, e non di gestione di interi ruoli contenziosi. Il GOT collaborerebbe quindi a presidiare debolmente snodi del processo che non si risolvono in decisioni critiche da assumere : come sono critiche, per esempio, la riserva sulle prove, o l'assunzione delle prove di maggiore difficoltà sui nodi realmente controversi, che richiedono la presenza del togato. Inoltre il GOT potrebbe sviluppare un lavoro preparatorio sui provvedimenti istruttori e sostituire il titolare in caso di assenza di breve durata, in una classica funzione vicaria.
Una seconda idea avanzata - ma non unanimemente condivisa - che si accompagna a questa visione del GOT come, sostanzialmente, "cogestore" dell'agenda di udienza del giudice togato, vede il GOT utilizzato come "stampella" del giudice professionale quando quest'ultimo sia impegnato nell'esaurimento di progetti di definizione di un certo tipo di contenzioso. Si pensa, in genere, a quello di più remota origine a fini di stralcio interno senza dover riesumare i GOA (come vorrebbe il d.d.l. 1840 del 1999) per "tenere in caldo" il contenzioso più recente per il semplice avanzamento di fase, realizzando in tal modo un temporaneo sdoppiamento del ruolo, gestito in parallelo dal togato e dal GOT; fermo restando che attraverso un'adeguata conoscenza del ruolo è possibile prevedere i casi in cui tale intervento sarebbe realmente un affiancamento collaborativo e non sostitutivo, e risulta possibile anche inserire un necessario discrimine tra ciò che il GOT potrebbe fare, ed i fascicoli in cui non dovrebbe mettere mano.
Diamo a ciascuno il suo e diciamo che questa è una variante del "modello STRASBURGO" elaborato a Torino dal presidente BARBUTO, pur se non ne sposa davvero l'impostazione di "emergenza strutturale continua" che connota la sua ultima versione, ed anzi si pone in contrapposizione con la logica della delega per blocchi di materie alla magistratura onoraria all'interno del circondario. Essendo note le perplessità che tale sistema ha sollevato presso l'organo di autogoverno, nel progetto di articolato si sottopone questa prospettiva di impiego del GOT ad un vaglio di merito, e ad un riscontro successivo sui risultati, delegato dal CSM ai Consigli Giudiziari, chiamati ad esprimersi su "progetti di lavoro" che potrebbero realizzare aspettative non solo di smaltimento quantitativo, ma anche di miglioramento qualitativo o di più rapido accesso e decisione degli sviluppi cautelari, migliorando la capacità del processo di essere luogo di ascolto e di formazione delle decisioni che incidono sulla pelle dei cittadini.
Vi è poi chi pensa al GOT come a figura che all'interno del tribunale potrebbe assolvere adeguatamente alla funzione conciliativa, che il magistrato togato non sa o non vuole (o non può) curare : questo spunto, per esempio, ci viene dalle riflessioni di Gianfranco GILARDI.
Tuttavia quest'ultima proposta sull'attività conciliativa apre immediatamente un nuovo versante di riflessione, quella di maggior rilievo e spessore, che va necessariamente sviluppato quando si discute del mantenimento della figura del GOT : è chiaro infatti che serve a poco sdoppiare o ripartire per due o per tre i ruoli, se le materie trattate dal giudice professionale sono quelle dell'attuale codice di rito.
Prima ancora di ragionare sulla nuova fisionomia del GOT, perciò, occorre invece chiedersi se sia utile in prospettiva una politica che mantiene all'interno dei tribunali l'antica dicotomia pretore-tribunale riesumando attraverso il GOT la prima figura : se ci sono materie (canoni locativi, condominio ecc.) che possono essere trattate nei tribunali dal GOT, perché non le può trattare un Giudice di Pace "riveduto e corretto"?
E allora, per quanto paradossale possa sembrare, dobbiamo convincerci che per discettare sulle future sorti dei GOT bisogna ripensare la strategia generale di impiego della magistratura onoraria e del Giudice di Pace in particolare. Le prospettive di un contenuto aumento della competenza per valore, ma un robusto potenziamento della competenza per materia nella sfera della cd. giustizia di prossimità o "riparatoria", come pure un deciso investimento sulla funzione conciliativa del giudice di pace, sono le direttrici su cui sta lavorando alacremente in questi mesi il nostro gruppo del civile, dopo gli importanti spunti del saggio di GILARDI, MATTONE e VIAZZI, ma sembra che anche in ambito associativo sia stata messa a punto una linea comune che punta ad un forte rilancio di tale figura di magistrato onorario : magari meglio organizzato per quelle che sono le funzioni di cui all'art. 47 quater c.p.c. e la funzione di vigilanza al momento non efficacemente assolta dalle presidenze dei tribunali.
Sembra invece definitivamente tramontata, come si diceva, l'idea di utilizzare i GOT per le funzioni di assistenza del giudice che abbiamo già in precedenza delineato rispetto all'attività decisoria.
Nei primi commenti circolati sui vari articolati man mano sottoposti, qualcuno si è giustamente chiesto che praticabilità abbia una proposta che "sbatte la porta in faccia" ai 2000 e passa GOT che attualmente consentono alla nostra giustizia civile - ma anche a quella penale - di sopravvivere pur se a non brillanti livelli.
Giusta questione, che costringe a una breve digressione. Si è pensato infatti di contrapporre, alle semplici richieste di stabilizzazione dell'impiego e di concorsi riservati per l'accesso in magistratura, avanzate dal sindacalismo della FEDERMOT, la possibilità di escludere la preselezione informatica per chi abbia degnamente assolto la funzione di GOT e l'attribuzione di punteggi aggiuntivi per concorrere alle funzioni di giudice di pace.
La preoccupazione maggiore, se si sceglie di conservare i giudici onorari di tribunale, è quella di rendere effettiva la dimensione temporanea del rapporto di servizio. In quale bacino professionale reclutare i GOT, fermo restando che la maggiore qualificazione professionale che può venire dall'avvocatura giovane sconta il prezzo "forte" della maggiore pressione alla stabilizzazione del rapporto?
La versione più radicale delle nostre riflessioni, che riprende poi uno spunto di Antonio DIDONE, vedrebbe un completamento tra l'attività formativa per l'accesso alle professioni forensi con il lavoro del GOT : in pratica, un terzo anno a contratto di formazione e lavoro per i diplomati delle scuole Bassanini ed i neo-avvocati, che potrebbe dare luogo ad una collaborazione operativa immediata se fosse preceduto nel biennio da appropriati momenti di stage formativo presso gli uffici.
Certamente, una risposta risolutiva al bisogno di collaborazione che richiede la giurisdizione civile non può essere data dallo sfruttamento dello stage formativo dei giovani prima del diploma o del titolo abilitativo, o anche durante il corso di laurea universitario, perché il rapporto costi/benefici rischia di essere troppo sperequato in danno della formazione. Ciò non toglie che un tirocinio pratico prima e dopo la laurea, sia nelle sezioni giudicanti che nelle cancellerie e negli altri uffici amministrativi, in attesa dei tempi lunghi dell'ufficio per il processo, sarebbe di un qualche sollievo per i magistrati (ma anche per le cancellerie!) e segnerebbe un'importante tappa per tradurre in concreto i discorsi sulla formazione comune tra gli operatori processuali.
Il terzo pilastro dell'ufficio del processo, quello più luccicante ma anche meno esplorato, è costituito dal processo civile telematico (PCT): trattato solo in nota nell'analisi iniziale ed "esploso" come problema negli elaborati successivi, anche per la sempre maggiore consapevolezza maturata progressivamente all'interno del nostro gruppo sui ritardi e sulle insufficienze rispetto allo sviluppo del progetto.
é una prospettiva di lavoro "luccicante" perchè eccita la nostra infantile curiosità sul rapporto uomo-macchina, che porta a vivere i progressi del progetto come una panacea di tutti i mali, laddove in realtà siamo ancora alla fase sperimentale del sistema di comunicazioni, anche se si è già compreso che il sistema di scambi informativi del PCT taglia fuori il nodo dell'UNEP e rende obsolete le stesse previsioni semplificatorie della miniriforma o del VACCARELLLA sulle comunicazioni processuali.
In realtà, è bene chiarire che il progetto complessivo sul PCT riguarda non solo l'utilizzazione di strumenti informatici per gestire processo, decisioni, archivi giurisprudenziali e non, ma anche lo sviluppo di programmi applicativi per le statistiche gestionali e - soprattutto - per l'agenda del giudice, che serve per un consapevole governo del ruolo di udienza e decisorio.
La grande scommessa dei profeti del PCT è che esso determinerà un recupero di tempo - per giudici e cancellerie - da impiegare per incombenze più qualificate, e dunque il decollo del progetto significherebbe liberare risorse per quelle mansioni che attualmente le cancellerie non possono fornire (a cominciare dall'assistenza in udienza).
Il PCT è insomma il campo nel quale l'integrazione tra il lavoro delle cancellerie e quello dei giudicanti dovrebbe essere più intenso, ma mentre le ricadute di tipo organizzativo vedono apprezzabili convergenze tra gli operatori, è sul versante delle trasformazioni processuali che è mancata un'adeguata riflessione. Non solo perchè si parla di investimenti di mezzi considerevoli ed è giusto chiedersi se il Ministero vi sia realmente interessato, sol che si pensi a cosa significa assumere una prova testimoniale con le nuove tecnologie, ma soprattutto perchè il modello dell'udienza di trattazione "generalista", a cui siamo abituati, non sarebbe più praticabile. Possiamo forse immaginare che gli snodi attualmente presidati solo formalmente non presupporranno più in futuro la presenza fisica delle parti in udienza, perchè se tutti sono d'accordo per avanzare di fase, il giudice a distanza può limitarsi a mettere a disposizione data e termini.
Non conviene dilungarsi oltre perchè la materia è intrigante e si rischia sempre di partire per la tangente : piuttosto c'è da prendere atto di un notevole ritardo nel progetto complessivo del PCT, non solo per la parte processuale ma anche per la concreta operatività delle statistiche gestionali, rispetto ai tempi nei quali altre organizzazioni professionali complesse hanno saputo approfittare delle nuove tecnologie.
Più in generale, in tutto ciò che riguarda l'informatica nei nostri uffici sotto il profilo organizzativo e gestionale, e sempre salve le debite eccezioni e alcuni spunti pionieristici, siamo in forte ritardo. Abbiamo avuto l'informatica individuale ma è mancata quella delle reti e delle interrelazioni, non c'è una cultura informatica diffusa, ed occorre perciò puntare ad un grosso recupero che deve vedere per protagonisti l'associazionismo, gli utenti, il CSM.
Con questo spunto si apre l'ultimo capitolo : come dare uno sbocco pratico a queste riflessioni sparse sull'ufficio per il processo?
Si diceva in esordio che il seminario dovrebbe aiutare una metabolizzazione dei temi organizzativi che consenta ai nostri due gruppi più meditate - e magari concertate - prese di posizione sulle strategie di impiego della magistratura onoraria e sulle prospettive del confronto con l'avvocatura e le organizzazioni della dirigenza e del personale amministrativo.
Una volta chiariti i nodi di fondo, che sono tre (che fare dei got? Dove reperire e come inquadrare le figure di assistenza d'udienza e di studio? Quale rapporto con la dirigenza amministrativa nell'organizzazione del servizio?), bisogna inaugurare una serie di incontri bilaterali/plurilaterali con le organizzazioni forensi, con quelle personale e della dirigenza amministrativa, con la stessa magistratura onoraria, per verificare se è praticabile la stesura di una piattaforma condivisa delle esigenze della giustizia.
Parliamo di una piattaforma che non può risolversi in uno "scontro di potere" tra i protagonisti del processo e deve invece puntare al concorso dei vari pilastri del servizio, su basi di pari dignità, all'organizzazione ed al funzionamento della giurisdizione. E un progetto, che non voglia avere il fiato corto, non deve mai dimenticare che, nel sistema copernicano dell'ufficio per il processo, tutto dovrebbe ruotare sull'asse dell'effettività dei diritti : per questo non si può eludere il confronto anche con le organizzazioni e le articolazioni della società civile che operano sul fronte dei diritti.
é di tutta evidenza che solo una comune presa di posizione, anche su obiettivi progressivi, dei protagonisti (diretti e indiretti) del processo, che ribadisca la centralità dell'art 111 della Costituzione e richiami in tal modo la politica al rispetto dei doveri che le derivano dal precedente at. 110, può determinare la spinta propulsiva per i riassetti organizzativi occorrenti e per far saltare fuori le risorse fino ad oggi deliberatamente negate.
Ma c'è di più. Non dappertutto ci sono i vuoti organici di alcune sedi giudiziarie, eppure anche lì si continua a ragionare per monadi separate e per comportamenti stagni senza momenti di reale confronto tra le componenti del servizio a livello locale.
Gli osservatori sulla giustizia civile sono stati già un primo interessante tentativo di uscire dagli steccati professionali ma hanno coinvolto principalmente avvocatura e magistratura : salvo le solite lodevoli eccezioni, le organizzazioni dei dipendenti della Giustizia sono rimaste per lo più alla finestra.
Bisogna invertire questa tendenza alla separatezza verificando dove già esistono le risorse umane e tecniche (compresi gli uffici penali e la Cassazione) per condurre una comune riflessione sul modello organizzativo locale, realizzando in pratica osservatori misti sull'organizzazione del servizio.
Questo percorso non è semplicissimo, a livello circondariale e distrettuale, perchè nel microcosmo si registrano con una certa frequenza veti reciproci : si potrebbe allora muovere da una convenzione stipulativa nazionale con le organizzazioni del pubblico impiego che dia l'impulso per le sperimentazioni a livello locale di "prassi virtuose" nei rapporti tra la dirigenza giudiziaria e quella amministrativa, sui servizi condivisi, sulla sinergia tra giudici e cancellerie.
Una strada alternativa o concorrente potrebbe essere invece di tipo "culturale" : costituire laboratori telematici associativi, da affiancare ai sette laboratori ufficiali, in cui avviare un monitoraggio sul funzionamento del servizio ed una riflessione locale sulle conseguenze dell'informatizzazione negli uffici giudiziari, al fine di superare l'attuale dimensione artigianale e elitaria. In questo modo può maturare la consapevolezza dei bisogni e si può allargare l'area della sperimentazione di nuovi modelli organizzativi circondariali.
Due ultimissimi spunti per qualcosa che si può fare subitissimo, e qui l'invito si indirizza direttamente ai consiglieri del CSM.
Un ricorrente errore del nostro autogoverno consiste nel credere che basti l'atto di impulso del vertice consiliare per aversi l'immediato adeguamento del nostro sistema organizzativo : detto in breve, un monitoraggio sulle effettive modalità di impiego dei GOT dopo la circolare del dicembre scorso, e per verificare le risposte dei dirigenti alle prese di posizione del CSM contenute nelle ultime risposte ai quesiti sempre sull'impiego dei GOT, potrebbe dare risultati interessanti.
In secondo luogo, non è più tollerabile che nel 2004 i neomagistrati, ma anche i loro colleghi più anziani, possano svolgere il loro mestiere ignorando completamente i cardini dell'organizzazione giudiziaria ed il contributo che ad essa danno figure professionali diverse da loro. E' l'antica polemica che contestava al nostro corpo professionale di risolvere tutte le questioni organizzative in termini di ordinamento, ed è l'errore fondamentale in cui volutamente incorre anche chi ha concepito la controriforma ordinamentale rappresentata dal d.d.l. 4636/C attualmente in discussione.
L'attività formativa del Consiglio, come già positivamente ha colto echi dei nostri lavori garantendo l'accesso dei GOT ai corsi di formazione, così da subito può riprogrammarsi per fornire ai neoassunti un chiaro quadro dell'intero assetto organizzativo del "servizio-giustizia" e dei suoi pilastri, e per dare ai magistrati già in attività un indispensabile supporto informativo per conoscere meglio la realtà professionale in cui operano quotidianamente ma, spesso, con scarsa consapevolezza del valore e della difficoltà del lavoro altrui.
Seminario di Bologna "Ufficio per il processo" - giugno 2004