Marcello Marinari
Sono ancora sotto l'effetto (positivo) del seminario di sabato scorso, che mio giudizio segna un punto importante nel nostro dibattito, e mi scuso fin d'ora di non tenere conto degli interventi del pomeriggio, che non ho seguito, e che mi dicono essere stati molto interessanti.
La magistratura parla da decenni di questi problemi (leggevo giorni fa un articolo di Beria sugli ausiliari del giudice del 1979, sul Corriere).
Se mai è proprio questa la particolarità italiana, e non proprio positiva: che siano stati i magistrati, da soli, a sviluppare una dibattito ed una ricerca sulle migliori forme di organizzazione del lavoro giudiziario e delle sue strutture, il che dimostra quanto poco la politica italiana sia stata finora interessata al tema, mentre altrove sono stati i politici ad imporre a giudice ed avvocati le riforme di modernizzazione).
Ma la novità è che stavolta il dibattito ha coinvolto i funzionari amministrativi, i sindacati, gli avvocati associati, oltre che il professor Zan, che ci osserva un po' come Gulliver e ci fornisce sempre spunti importanti, proprio perché non di circostanza (tra l'altro, da quando ha scritto che i magistrati sono Cosmopolitans, mi sono finalmente sentito gratificato!).
Mi sembra che una volta tanto, a differenza di quanto avviene generalmente nei nostri dibattiti, si sia raggiunto almeno un punto di accordo, che condivido totalmente, e che fino a poco tempo fa non era affatto pacifico:
Deve esistere una struttura di assistenza al processo, secondo la definizione proposta da Braccialini nella sua articolatissima relazione, che deve essere distinta da quella amministrativa in senso stretto. Zan, mi pare di capire, pensa addirittura, e coerentemente con la sua impostazione (oltre che con la logica) che non dovrebbero neppure esistere strutture o articolazioni non direttamente funzionali al processo, nell'organizzazione degli uffici, e si pone nella prospettiva del processo telematico, nel quale le funzioni strettamente burocratico- amministrative di registrazione, riepilogo dei dati, ed in parte anche di comunicazione degli atti, siano automatizzate.
Spero che la prospettiva si concretizzi presto, almeno, e sarebbe già moltissimo, per le iscrizioni a ruolo, e si arrivi veramente a liberare tante ore di lavoro (e tanti corridoi) anche se il paperless trial non è una prospettiva così vicina, e, se guardiamo al resto del mondo, mi sembra limitato, nella realtà attuale, e solo entro certi limiti, a Singapore ed all'Australia, mentre anche l'avveniristica California del "Governator" è solo all'inizio del processo, e l'esperienza inglese di MCOL credo arrivi all'8-10% di iscrizioni telematiche.
Anch'io credo che la prospettiva sia questa, prima o poi (più poi che prima, purtroppo) non solo e non tanto perché ci sarà un pugno di persone illuminate decise ad introdurre le nuove tecnologie, come pure è necessario, ma perché, come ovunque, sarà la forza della necessità ad imporlo, e credo che sarebbe molto riduttivo vedere il processo telematico solo come una forma facilitata di trasmissione degli atti. Il quadro che ci ha fatto Pasquale Liccardo ci dà la misura di come potrà ( e dovrà) cambiare il nostro lavoro. La corte elettronica è molto di più di un computer che riproduce quello che prima era su carta, ma richiede un ambiente che si strutturi sulla base di nuovi meccanismi, e richiede, non dimentichiamolo, una magistratura ed un'avvocatura disponibili al cambiamento e versatili, e non sarei così convinto che i partecipanti al seminario riflettano fedelmente le caratteristiche della maggior parte dei magistrati e degli avvocati. Basta ricordare quanto tempo ci è voluto perché l'uso del computer si diffondesse tra la maggior parte dei magistrati.
Piuttosto, date le modestissime dimensioni di queste note, vorrei spendere due parole sul tema specifico degli assistenti del giudice, sul quale si è soffermato Braccialini, ma anche, tra i non magistrati, la d.ssa Intravaia ed il dr. Arnone.
Già in qualche altra occasione mi ero espresso sulla necessità che almeno gli assistenti fossero distinti dal personale delle cancellerie, con un rapporto diretto con il giudice.
Ora prendo atto dell'accordo sulla necessità di una più complessiva struttura per il processo, nozione certo più ampia di quella degli assistenti, e meno personalizzata.
Sono assolutamente d'accordo, ma la necessità di assistenti giuridici non viene meno, credo, salvo precisare le loro concrete funzioni.
Mi pare di avere notato una certa contrarietà ad assumere, magari a tempo, soggetti esterni all'amministrazione, e capisco perfettamente che, in un paese come il nostro, e non solo per i vincoli costituzionali in materia di assunzione ai pubblici uffici, qualunque precariato determini legittimamente perplessità e sospetti, e possa alimentare aspettative, o riserve mentali, di stabilizzazione che annullerebbero quelle stesse finalità di rotazione e ricambio che potrebbero in astratto giustificare un'ipotesi di precariato.
Oltretutto, e ne sono convinto per esperienza diretta, avendo lavorato in molti uffici, in varie parti d'Italia, è vero, come hanno ricordato anche la d.ssa Intravaia e il dr. Arnone, che l'amministrazione ha al suo interno le risorse per affrontare il problema, oggi spesso sottoutilizzate in compiti talvolta mortificati e mortificanti .
In questo senso sono certo che la struttura per il processo potrebbe utilizzare personale già esistente, per quanto riguarda l'assistenza alla preparazione, la pianificazione e la gestione delle udienze, i rapporti con gli avvocati ed i CTU.
Sono attività che richiederebbero qualche maggiore riflessione ed approfondimento, per studiarne il migliore assetto e precisare in che misura le norme che regolano il rapporto di lavoro dei nostri funzionari siano compatibili con i nuovi compiti che dovrebbero svolgere, e penso che saranno proprio i nostri colleghi di seminario che ho già ricordato a darci preziose indicazioni in proposito.
Diverso, però, e vengo al punto che più mi preme, è il caso di quelle figure di assistenti che potremmo chiamare assistenti giuridici, e che dovrebbero collaborare con noi nella preparazione dell'udienza con l'approfondimento dei temi procedurali e sostanziali da affrontare, anche con eventuali ricerche giurisprudenziali, se non nella redazione dei provvedimenti, che poi, come è stato detto molto bene, saranno comunque firmati dal magistrato, che ne assumerà la responsabilità.
D'altronde, mi rendo conto che non è semplice, benché non impossibile, in un contesto come il nostro, pensare di introdurre figure come il Rechtspfleger della RFT, o come il Master inglese, che emettono direttamente provvedimenti (in qualche modo minori, o a contraddittorio differito) che noi considereremmo giurisdizionali.
Sappiamo bene che questa componente di assistenza sarebbe in grado, naturalmente coordinata con le altre della struttura, di rivoluzionare il nostro lavoro e di moltiplicare in modo oggi impensabile la produttività dei giudici.
Credo che, in teoria, tutto sia possibile, e non sarò certo io ad avere pregiudizi ideologici, e sono assolutamente convinto che il nostro dibattito deve basarsi sulla nostra specifica situazione, senza mettersi a scimmiottare gli stranieri, dove le figura corrispondenti sono inserite in un quadro complessivo molto diverso dal nostro.
Non credo, però, che questa tipologia di assistenti sia immediatamente reperibile, se non in casi del tutto particolari ed occasionali, all'interno del personale amministrativo già esistente, ed in questo senso trovo un po' troppo ottimistico l'accenno che mi sembra abbia fatto in proposito il dr. Arnone.
Si può pensare certamente ad una nuova qualifica professionale, che però richiederebbe tempi lunghi, a parte le risorse finanziarie, che rendono del tutto illusoria, sul piano pratico, la prospettiva.
Ma perché lasciar cadere la proposta che è venuta dagli avvocati intervenuti al seminario di impiegare giovani tirocinanti o specializzandi?
E' una proposta molto, ma molto importante, secondo me, perché ci permetterebbe di disporre di assistenti legali, che gli stessi organi istituzionali dell'avvocatura dovrebbero selezionare, preparati, motivati, senza aspettative di stabilizzazione, e senza oneri per lo Stato, almeno in teoria.
In questo caso, l'esistenza di un rapporto diretto, personale, tra l'assistente ed il magistrato, che mi sembra vista negativamente per quanto riguarda in genere la struttura di assistenza al processo, è indubbiamente necessaria, per ragioni pratiche, e non mi sembra destinata a creare attriti con il personale interno, per l'eterogeneità dei compiti svolti.
E' importante anche perché potrebbe essere un primo passo concreto per quella formazione comune degli avvocati e dei magistrati che, a parole, molti dicono di volere, con una grande ricaduta sul piano dei comportamenti concreti.
Non sottovalutiamo, a questo proposito, che una simile proposta, contrariamente a quanto molti possono pensare, è tutt'altro che indolore da formulare da parte degli avvocati, che dovranno certamente fronteggiare al loro interno opposizioni anche vivaci, da parte di quella parte dell'avvocatura che ritiene improprio "collaborare" con il giudice.
Avrei molte altre cose da dire, ma per ora ve le risparmio.
Quello che è determinante, però, è che l'iniziativa alla quale stiamo cooperando si sviluppi poi in concreto con la creazione di vere e proprie pratiche, per realizzare almeno quella parte di proposte che non richiedono modifiche legislative, il cui successo sarebbe il miglior veicolo pubblicitario.
Seminario di Bologna "Ufficio per il processo" - giugno 2004