La relazione Introduttiva del presidente Franco Ippolito
LA GIUSTIZIA PRESA SUL SERIO
Riformare la giustizia o governare i giudici?
Introduzione di Franco IPPOLITO
1. Si sta chiudendo drammaticamente una legislatura orribile, che ha accumulato disastri non soltanto sul piano economico e sociale, ma anche sul piano costituzionale, istituzionale, giudiziario, culturale.
Lo afferma la stampa internazionale, certamente non sospettabile d’opposizione all’attuale maggioranza parlamentare (da ultimo il Los Angeles Times del 4 gennaio scorso).
Lo dicono autorevoli e prestigiosi esponenti istituzionali: il relatore speciale delle NU per l’indipendenza dei giudici, Leandro Despouy, e il Commissario per i Diritti umani del Consiglio d'Europa Alvaro Gil-Robles hanno sottolineato il fallimento delle politiche in materia di diritti e di giustizia e l’allontanamento dell’Italia dal modello di Stato costituzionale di diritto.
Il Rapporto Gil-Robles, il 14 dicembre scorso, ha disegnato un quadro desolante della giustizia in Italia, fatto di ritardi cronici nelle decisioni e di un’inefficienza complessiva del sistema che mette a repentaglio la possibilità di garantire i diritti.
L’Italia è nuovamente sotto processo: c’è il rischio, tutt’altro che teorico, di essere esclusi dal consesso internazionale, di diventare “black listed” con riferimento all’affidabilità complessiva del sistema giudiziario.
Due fatti, avvenuti all’inizio della legislatura, sono emblematici per cogliere il connotato della legislazione della destra.
Nel dicembre 2001, il Senato approvò una mozione con cui, per la prima volta, s’interferiva formalmente nell’esercizio della giurisdizione, dettando l’interpretazione di “maggioranza politica” di leggi che rilevavano in procedimenti in corso di svolgimento. “Come scrissero più di 200 docenti, fu violata per la prima volta nella storia del paese una regola che risale alle origini del sistema parlamentare: il divieto per il Parlamento di influenzare l’esito dei processi con valutazioni o censure sul merito delle pronunce giudiziarie.” (L. Ferrajoli).
Nel dicembre 2002, il Ministro Castelli annunciò al CSM che era inutile investire nuove risorse in un sistema che non funziona.
Fatti d’estrema allarmante gravità istituzionale. Il primo fu un atto tecnicamente eversivo della divisione della poteri e dell’indipendenza della giurisdizione, che non ebbe influenza diretta sull’attività giudiziaria per la presenza di una salda coscienza dell’indipendenza, ma che ha palesato il convincimento e l’intento che ha mosso la maggioranza per tutta la legislatura: la priorità non già della riforma della giustizia per i cittadini, ma del regolamento dei conti con i giudici, che ha avuto l’epilogo nello stravolgimento dello statuto d’indipendenza, incentrato sul CSM e sull’equilibrio costituzionale, che nel mondo costituisce un punto di riferimento per riforme e studi sull’indipendenza dei giudici.
Il secondo fu un atto d’irresponsabilità ministeriale, che ha procurato danni gravissimi al funzionamento della macchina giudiziaria, fino alla mancanza elementare di beni e di strutture al limite della paralisi (dal sistema informatico alla mancanza della carta per le fotocopie).
Il principale, urgente, drammatico problema della giustizia è la sua lentezza (come ci ricorda settimanalmente Strasburgo).
Ma questo aspetto è stato del tutto trascurato, non colpevolmente, ma deliberatamente. Alla giustizia si è guardato solo per gli aspetti di contro-potere, nel tentativo di cambiare gli equilibri costituzionali, il terreno che più interessa a chi non tollera controlli sull’esercizio dei propri poteri (tanto più quando il potere politico, il potere economico, il potere dell’informazione e della comunicazione, sono concentrati in pochissimi soggetti).
La maggioranza politica ha operato soltanto sul versante del regolamento dei poteri, e prevalentemente su quello del regolamento dei conti, elaborando e tentando di realizzare un progetto per riformare i giudici, non per riformare la giustizia.
Del tutto negletto è stato l’altro versante, quello della giustizia-servizio, che interessa più direttamente i cittadini, giacché il suo funzionamento o la sia inefficienza sono decisivi per realizzare o vanificare lo scopo principale del sistema giudiziario, la tutela e la realizzazione dei diritti. Un servizio non solo trascurato, ma addirittura contrastato.
2. Questo quadriennio è stato caratterizzato dalla politica contro: contro i magistrati, contro i processi, contro la giurisdizione. (Le polemiche e gli insulti quotidiani, le leggi Schifani e Cirami per sottrarre alcuni soggetti individuali o alcuni ceti sociali ai processi o a certi processi; la legge sulle rogatorie, per buttare sabbia negli ingranaggi già lenti della giustizia italiana e influire su specifici processi; le leggi ad personam contro Giancarlo Caselli, la legge Cirielli con le sue discriminazioni classiste; la proposta di legge Pecorella , su cui si vota giovedì, che affosserà e snaturerà la Corte di cassazione…).
E’ questa la ragione per cui oggi non abbiamo invitato nessun esponente della maggioranza parlamentare. Non c’interessa un incontro ravvicinato per inutili polemiche. Noi intendiamo prospettare una serie di proposte, da offrire come contributo alla riflessione ed alla discussione con chi prende sul serio la giustizia per tutti.
Non abbiamo nulla più da dire a chi ha utilizzato leggi e interventi istituzionali per legiferare in cosa propria o per regolare conti con una magistratura considerata avversaria soltanto perché non abdica all’indipendente e imparziale esercizio del proprio ruolo.
Un confronto è possibile e utile se si ha un codice culturale e linguistico condiviso, che permette di incontrarsi e confrontarsi senza lacerazioni, quelle lacerazioni determinate dalla destra e che derivano dalla sostanziale estraneità alla democrazia dello Stato costituzionale di diritto, che non è fatta solo di consenso popolare, ma anche di regole, valori, autonomie.
Su un terreno di fondamenti condivisi, si può discutere, ci si può confrontare, magari anche scontrare, con diverse legittime proposte ed opzioni, ma condividendo i valori di fondo.
Questo codice culturale e linguistico comune, per tutti quelli che abbiamo invitato al confronto e che hanno accettato questo nostro invito, è rappresentato dalla Costituzione della Repubblica, nata dalla Resistenza al fascismo ed al nazismo. E’ rappresentato dal costituzionalismo, inteso come una serie di vincoli e di limiti posti ad ogni potere per salvaguardare, promuovere, tutelare le libertà e i diritti individuali e collettivi, civili, politici e sociali, sintetizzati negli art. 2 e 3 della Carta costituzionale del 1948, che riteniamo, con la Corte costituzionale, fondamenti immodificabili e non sottoponibili neppure a revisione costituzionali, né direttamente, né indirettamente tramite la modifica della II parte della Carta costituzionale.
Noi, come tutti i democratici che lottano per lo Stato costituzionale di diritto, crediamo che “un paese non fondato sulla separazione dei poteri e sui diritti fondamentali non ha Costituzione”(art. 16 della Costituzione francese del 1791).
E’ per questo che, come componenti del Comitato per la difesa della Costituzione, siamo impegnati a discutere, parlare, essere presenti nelle università, nelle scuole e nei luoghi di lavoro per portare i valori del costituzionalismo nel referendum contro lo stravolgimento costituzionale approvato dalla maggioranza parlamentare.
Sul piano costituzionale, dunque, ci batteremo -usiamo la parola con consapevolezza- in ogni sede per la continuità costituzionale. E cominciano da qui, ponendo subito un interrogativo: mentre siamo tutti impegnati in un referendum per bocciare la lo stravolgimento della vigente Costituzione, ha senso ipotizzare una riforma costituzionale per la disciplina dei magistrati?
3. Convinta continuità costituzionale, dunque. E tuttavia abbiamo la piena consapevolezza che è necessario voltare pagina. Convinta continuità costituzionale, ma chiara e netta discontinuità legislativa.
In questi anni è stata fatto una politica contro il diritto e contro la giustizia. Non servono aggiustamenti. Occorre un’altra politica: una politica organica per il diritto e per la giustizia.
Nessuno ovviamente può immaginare o proporre, in alternativa alla politica-contro realizzata dalla destra una politica a favore o di favore per i magistrati.
Presentiamo oggi le nostre proposte per la prossima legislatura. Un progetto per la giustizia presa sul serio, un progetto per la giustizia che è un progetto per riformare la giustizia.
Offriamo un contributo all’elaborazione di un progetto organico, la cui realizzazione ovviamente può e deve essere progressiva. Un contributo, uno sforzo d’elaborazione che sottoponiamo alla riflessione e al confronto.
Non pretendiamo certo di indicare ricette miracolistiche né le uniche soluzioni possibili ai problemi né ovviamente pretendiamo che la politica le recepisca acriticamente.
La politica dovrà fare, doverosamente, le proprie scelte, ma esse devono tenere conto dei problemi reali dell’amministrazione della giustizia, di una domanda sempre crescente, delle tante ingiustizie quotidiane, e della proposte e valutazioni di chi opera nel mondo giuridico e giudiziario.
E’ necessaria una politica a favore della giustizia. A tale scopo occorre elaborare e definire una politica per l’effettività della giurisdizione giustizia come strumento per realizzare i diritti delle persone, soprattutto di quelle che si rivolgono al giudice perché non hanno altro potere se non la forza del diritto.
È questo -la giurisdizione come luogo della tutela e della realizzazione dei diritti e come luogo imparziale di controllo dell’esercizio d’ogni potere- il primo obiettivo da ripristinare, o meglio da promuovere, per finalizzare, anche culturalmente, le singole proposte e il progetto complessivo alla pienezza di riconoscimento di diritti delle persone.
Il sistema giustizia si connota del sistema di valori che lo ispirano: il primato dell’uguaglianza e dei diritti. E’ questo il senso e il ruolo della giurisdizione nello Stato costituzionale di diritto.
Perciò, netta discontinuità. Voltare pagina, nel metodo e nei contenuti. Occorre reagire, non rassegnarsi al declino che, nella giustizia come nell’economia, sembra essere oggi il destino di questo Paese.
Anche per questo la magistratura assume un ruolo di proposta per il cambiamento, mettendo al centro l’esigenza di una complessiva funzionalità del servizio-giustizia per promuovere e tutelare i diritti.
Un giustizia che funzioni è la pre-condizione affinché le carte dei diritti siano presi sul serio e non rimangano diritti di carta.
Ciò vuol dire mettere al centro i problemi della giustizia-servizio-per-i-cittadini: problemi d’efficienza, di funzionalità, d’accessibilità e trasparenza; problemi che si non si possono affrontare con riforme a costo zero, come l’esperienza insegna.
Ben conosciamo l’obiettiva limitatezza delle risorse. Ma risorse finanziarie sono pur necessarie, ben determinate e ben utilizzate, con una rigorosa razionalizzazione della spesa, giacché ci sono anche tanti sprechi e c’è casualità nella spesa.
Occorre realizzare un progetto di riorganizzazione funzionale dell'attività giudiziaria, che prenda come riferimento il procedimento piuttosto che gli uffici, dando lo spazio indispensabile a figure professionali capaci di funzioni organizzative, diverse dai magistrati (il che significa, tra l'altro, attenzione vera, non retorica di stile, alla qualificazione del personale amministrativo e alla sua formazione).
E’ necessario ripristinare le condizioni elementari di agibilità degli uffici giudiziari, oggi compromessi dall’ingestibilità del carico di lavoro, dall’impossibilità di tenere le udienze per la cronica carenza dei mezzi e dei necessari supporti tecnici (informatica) lasciati deperire.
Un’altra politica per la giustizia è possibile, ma occorre innanzi tutto cambiare metodo: da una contrapposizione preconcetta e frontale verso la magistratura e verso qualunque potere terzo e indipendente dalla politica, si deve passare ad un vero progetto che nasca e si alimenti attraverso la consultazione ed il coinvolgimento di tutti i soggetti che operano nel sistema giudiziario.
Le capacità e le esperienze, le culture e le innovazioni si possono trovare anche agli interni delle categorie professionali, come emerge dal lavoro degli Osservatori della giustizia in materia civile, in cui si confrontano avvocati e magistrati.
4. Si è accesa una contrapposizione tra i sostenitori di una linea abrogazionista della legislazione della destra e i sostenitori di una politica di riforme del centro-sinistra. Contrapposizione invero singolare e senza senso.
Nessuno può ragionevolmente pretendere o attendersi una legge di un solo articolo che puramente e semplicemente abroghi “tutta” la produzione normativa di questa legislatura.
Ma nessuno può accontentarsi della promessa di future riforme generali, in uno o più settori dell’ordinamento, senza chiedere che almeno le disposizioni incostituzionali vengano immediatamente cancellate.
Non è accettabile un programma di governo basato sull’idea che occorre attendere le “riforme” generali che travolgano le controriforma della destra.
Romano Prodi (Firenze 2.12.05) ha sinterizzato perfettamente problema e soluzione:
“Il primo problema è etico: far dimenticare i 5 anni di governo Berlusconi”
Il governo Berlusconi si è caratterizzato -e nel mondo, anche e soprattutto su questo viene valutato negativamente- per una ben precisa politica sulla giustizia.
E’ indispensabile politicamente ed eticamente cancellare dal volto della Repubblica le deturpazioni prodotte dalla politica della giustizia perseguita e realizzata in questi anni.
Esistono dubbi su cosa è necessario per far dimenticare al più presto i 5 anni del governo Berlusconi in questo campo?
Conserviamo le ridicole leggi sul falso in bilancio e le leggi che hanno ridicolizzato la tutela penale elementare del mercato economico, in contrasto con la tendenza mondiale (a cominciare dagli USA)?
Conserviamo fino all’approvazione del nuovo codice penale l’iniqua legge Cirielli, classista e discriminatoria verso i recidivi, in prevalenza immigrati e tossicodipendenti che non hanno la possibilità di pagare l’avvocato e di difendersi?
Conserviamo la gerarchizzazione militaresca della Procura, con il potere arbitrario del capo di assegnare le inchieste a suo piacimento?
Conserviamo il concorsificio irrazionale e incolto che burocratizza i magistrati e li allontana dalla coscienza del ruolo costituzionale di garanti dei diritti?
Conserviamo la separazione delle carriere tra giudicanti e requirenti, spingendo sempre più il PM nel ruolo del poliziotto?
E’ indispensabile intervenire subito per disinnescare il potenziale negativo e dirompente della contro-riforma dell’Ordinamento giudiziario e neutralizzarne subito gli effetti perversi.
Conserviamo la vergogna dei CPT, che ci procurano pagine e pagine di rapporti sulla violazione dei diritti umani previsti dalle convenzioni internazionali?
Conserviamo in materia di immigrazione la legge Bossi-Fini, con il diritto penale speciale per gli stranieri e la disciplina integrativa e peggiorativa di alcuni errori di prospettiva già contenuti nella Turco-Napolitano?
A noi pare assolutamente urgente e prioritario l’impegno a liberarsi quanto prima dalla macerie -giuridiche e culturali- accumulate, rimuovere i guasti profondi e gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di un vero progetto di riforma.
Occorre ridare senso ed effettività a parole che sono state deformate, come diritti, tutela del lavoro e dei lavoratori, garantismo nell’eguaglianza di trattamento. In questo modo si possono rinsaldare i pilastri di fondo messi in discussione: la Costituzione, il principio di uguaglianza, la pari dignità di ogni persona.
Rinvio alle relazioni e agli interventi, che seguiranno, per i contenuti delle varie proposte di riforma, ma due punti vanno subito evidenziati: quello della drammatica situazione carceraria, che impone tre principali area di intervento e di azione assolutamente urgenti: le questioni legate alle tossicodipendenza, quelle connesse all’immigrazione, quelle derivanti dei perversi effetti della legge Cirielli sulla recidiva.
In secondo luogo, l’attuazione immediata della Convenzione internazionale sul divieto di tortura, con la previsione di uno specifico reato nel nostro codice penale, e con previsione di giurisdizione senza limiti territoriali. Questo si che sarebbe un gesto di forte discontinuità e di alto contenuto simbolico in questo sciagurato periodo di guerra, ma anche di pestaggi e di violenze contro dimostranti e arrestati.
5. Ci sono certamente tante altre cose da fare.
Per parte nostra mettiamo in campo non solo idee e proposte, ma anche –e indipendente e prima di ogni riforma di ordinamento giudiziario e di una seria disciplina di valutazione professionale- l’impegno pubblico per realizzare e generalizzare un’auto-riforma di comportamenti e di prassi nella gestione degli uffici giudiziari, nell’autogoverno, nel rapporto con i cittadini e con l’opinione pubblica.
Un impegno per la credibilità e la trasparenza dell’attività giudiziaria a 360 gradi, come abbiamo fatto in questi giorni nel richiamare la necessità che chi ha responsabilità istituzionali (dal CSM ai capi degli uffici a tutti i magistrati) si faccia carico dell’esigenza di credibilità e di massima trasparenza del mondo giudiziario, tanto più nel momento in cui è impegnato ad assolvere ad un ruolo delicato e importante nella vita istituzionale ed economica del paese.
Le frequentazioni contaminanti, le consorterie affaristiche, me anche le leggerezze, i burocratismi, le violazioni di regole nella distribuzione delle indagini, e gli accomodamenti, i rinvii, i tentativi di guadagnar tempo e far passare la tempesta, sempre disdicevoli nell’attività delle istituzioni giudiziarie, oggi sono inaccettabili non solo per chi subisce l’incidenza di inchieste e di provvedimenti giudiziari, ma per qualsiasi cittadino onesto che attende dalle istituzioni pronta e rigorosa risposta di verità e di giustizia e per ogni magistrato impegnato nel difendere il modello costituzionale di autogoverno disegnato dalla Costituzione.
Ed è intollerabile che, mentre invia un’altra ispezione alla Procura di Milano, peraltro incaricando un ispettore che fino all’altro giorno veniva indicato come candidato elettorale di un partito della maggioranza politica, il Ministro della giustizia non abbia un sussulto disciplinare a carico di magistrati il cui nome è da mesi sulle prime pagine delle cronache affaristiche e finanziarie.
Il magistrato, che ha un ruolo che incide nella vita del paese e nella vita delle persone deve assumere a modello di comportamento lo stile di vita del tribuno Livio Druso raccontato da Plutarco: la sua casa aveva molte parti esposte alla vista dei vicini e un artigiano gli garantiva che per soli 5 talenti avrebbe provveduto a orientarle diversamente e a modificarne la disposizione. “Ne avrai 10 invece – fu la risposta – se renderai trasparente la mia casa, perché tutti i cittadini possano vedere come vivo”.
6. Noi siamo qui per riallacciare un dialogo con chiunque voglia prendere sul serio i diritti e la giustizia e per assumere i nostri impegni con i cittadini, con le organizzazione di cittadini, con la politica. Un impegno serio, fatto di chiarezza, di lealtà, di autonomia nell’ambito delle proprie rispettive competenze, senza confusioni, senza interferenze.
Ci accuseranno di politicizzazione. E’ un ritornello che ci segue da 40 anni, al quale non abbiamo da replicare se non con il nostro impegno culturale e propositivo e con il nostro quotidiano lavoro, indipendente e imparziale, negli uffici giudiziari. La storia di questi anni è il miglior metro di valutazione delle nostre scelte e delle nostre opzioni.
Abbiano ascoltato recentemente autorevoli esponenti dell’associazionismo giudiziario che invitavano i magistrati a “non spaventare la politica, a rassicurarla”.
Non sappiamo ancora se siamo in presenza di una teorizzazione di un nuovo, compiacente, rapporto auspicato tra politica e giustizia o di una rassicurazione che la magistratura farà un passo indietro.
Noi crediamo che il rapporto tra politica e giurisdizione sia ben delineato dalla Carta costituzionale, che individua nei diritti fondamentali gli ambiti vitali della persona come limiti e vincoli ad ogni potere, anche a quello della politica e delle maggioranze politiche; e nella giurisdizione l’istituzione di promozione e garanzia di tali diritti, anche contro le maggioranze politiche che non rispettano i limiti e i vincoli costituzionali, e di controllo di liceità sull’esercizio di ogni potere, pubblico e privato.
In questo ruolo, delineato e delimitato dallo Stato costituzionale, non c’è da fare alcun passo indietro né c’è da dare rassicurazioni ad alcuno, né a destra, né a centro, né a sinistra.
Continueremo il nostro percorso, coerentemente ancorato ai valori e ai compiti costituzionali, ovviamente accettando il rischio di accuse di politicizzazione, che costituiscono soltanto il soggettivo strumentale rifiuto del ruolo proprio del giudice indipendente e garante dei diritti previsti dalla Costituzione.
Sottolineiamo piuttosto l’uso distorto che spesso si fa della categoria della politicizzazione, usata come clava per delegittimare attività giurisdizionale sgradita, contro Procure o Tribunali, contro le Sezioni unite della Cassazione, contro la Corte costituzionale.
Qualsiasi cosa di scomodo facciano i giudici in materie politicamente sensibili -scriveva qualche decennio fa il relatore speciale delle NU per la giustizia, Sighvi- saranno sempre e inevitabilmente accusati di politicizzazione.
A volte ciò è inevitabile, ma altre volte l’accusa non è connessa ad eccesso o esorbitanza (pretesa o reale) dei giudici, ma a limiti, incapacità o carenze di altri funzioni istituzionali.
Se, dopo mesi di polemiche, è il Governatore della Banca d’Italia si dimette per effetto indiretto di un’inchiesta giudiziaria, non è la magistratura che esorbita, ma altre istituzioni che sono assenti o carenti.
Se la politica chiede al giudice di decidere a chi spetta la carica di segretario o il simbolo di un partito politico, è poco comprensibile lamentarsi del ruolo che il giudiziario assume nella vita politica.
E ancora, se si chiede, pur legittimamente, al giudice di decidere se un attacco giornalistico abbia esorbitato dalla polemica politica per entrare nel codice penale, è difficile che quel magistrato, pur rigoroso e corretto, possa sottrarsi ad accuse o sospetti dall’una o dall’altra parte politica risultata soccombente.
La coerenza tra le dichiarazioni sulla separazione tra politica e magistratura si misureranno, tra qualche settimana, nella preparazione delle liste elettorali.
Noi ci siamo mai accodati alle tendenze dell’antipolitica, che sono spesso la nuova faccia del qualunquismo che periodocamente percorre il paese, sotto l’influenza di campagne politicamente pilotate. Anzi, da sempre abbiamo esaltato la valenza democratica e repubblicana dell’invito rivolto nel 1944 dal liberale Arangio Ruiz ai magistrati a non far mancare il loro impegno nella vita parlamentare.
Ma abbiamo anche chiaro il quadro lacunoso e insostenibile dell’attuale legislazione che consente condidature di magistrati nel luogo in cui essi, fino al giorno prima, hanno esercitato le loro funzioni.
Il disegno di legge, che vieta tale possibilità, difficilmente potrà essere tradotto tempestivamente in legge. Vedremo quali partiti non vorranno attenersi a tale opportuno principio negativo (non ancora giuridicamente vincolante) offriranno candidature a magistrati, utilizzando la notorietà derivante dall’esercizio di funzioni o da cariche rappresentative di magistrati, tanto più in presenza di un’incredibile nuova legge elettorale a lista senza preferenze, che assegna praticamente alla direzione dei partiti la decisione di chi debba sedere sui banchi parlamentari.
Vedremo e valuteremo, in pena libertà ed autonomia, senza veli e condizionamenti di alcun genere.
Roma, 10 gennaio 2006 Franco Ippolito