Intervento di Giuseppe Bronzini - XXIX Congresso ANM


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Il giudice italiano come giudice europeo: profili organizzativi

 

Giuseppe Bronzini

 

Vorrei riprendere alcuni punti dell'importante documento che ha portato da circa un anno al varo di un " gruppo Europa" dell'ANM. Si sottolineava in quel documento una sorta di " esplosione" del tema del ruolo del giudice come organo giudiziario " di base" nel cosiddetto sistema multilivello continentale di tutela dei diritti fondamentali. Venivano usate espressioni forti ed impegnate, forse ancora non compiutamente socializzate tra i magistrati italiani e certamente ancora lontane dal trovare una ricaduta pratica nel loro ius dicere quotidiano, ma che nell'aprire un " cantiere culturale" e nel prefigurare un cammino comune ed una complessa agenda di iniziative e di richieste istituzionali, si ponevano all'altezza della sfida da compiere. Tre passaggi di questo documento sono ancor oggi preziosi: a) l'esigenza di formare una nuova sensibilità ermeneutica ed applicativa dei giudici nazionali, alla luce dei principi dei Trattati, della Cedu e delle indicazioni giurisprudenziali delle due Corti sovranazionali b) l'obbligo di conformazione e di adeguamento del sistema nel suo complesso alla sentenze emesse da tali Corti si da evitare la stigmatizzazione, e nel lungo periodo, la marginalizzazione, in ambito europeo del nostro paese ( nonché sonore condanne di tipo risarcitorio) 3) si affermava infine- assumendo immagini dottrinarie molto coraggiose ( e all'avanguardia nell'abbandono della obsoleta metodologia " nazionalistica" di ricostruzione del sistema delle fonti) - che" l'incidenza del diritto comunitario e della giurisprudenza dei diritti dell'uomo non può più essere considerata una variabile eccezionale e marginale e il nuovo quadro che ne deriva attraversa oggi- trasversalmente- l'intero sistema del diritto, divenuto non solo policentrico e reticolare ma soggetto anche ad una sorta di contaminazione reciproca tra livelli e contesti normativi diversi".

E' bastato solo per anno perché questa situazione risultato di dinamiche di lungo periodo ( dall'inesorabile crescere delle competenze comunitarie e con esse della connotazione sempre di più di tipo quasi-costituzionale delle decisioni della Corte di giustizia da un lato- e della parallela ascesa della Corte di Strasburgo che negli ultimi anni sembra vivere una fase eroica che la induce ad inseguire gli Stati nei loro doveri di ottemperanza " in positivo" e a volere, in tendenza , superare lo stesso carattere rimediale della sua tutela dall'altro lato) si imponga con una evidenza ancor più netta; perché la contraddizione tra l'intensificazione delle zone di esposizione della giurisdizione ordinaria all'influenza del diritto a matrice europea- e l'inadeguatezza delle misure organizzative - in senso lato- perché questo contagio sia governato con piena soddisfazione - anche sul piano professionale- per coloro che devono reperire una soluzione " giusta, efficace, tempestiva" emerga in modo ancor più plateale. Il giudice nazionale è ancora troppo solo in questa sfida, è come il giudice Hercules descritto da Ronald Dworkin in Law's empire, ma all'ennesima potenza. Hercules riesce eroicamente a ricostruire la catena narrativa dei precedenti di natura costituzionale in modo da valorizzare ed attualizzare gli impegni presi dai founders ed offrire la garanzia massima possibile dei diritti dei cittadini ( prendendoli cioè sul serio), ma è ancora un giudice nazionale che si muove nell'orizzonte della propria Carta fondamentale.

Che si fa o si può fare nell'immediato, insomma, per attrezzare il giudice italiano come un giudice davvero europeo ?

Prima di passare a qualche proposta vorrei ricordare come questo impegno sia prioritario per fornire un " servizio" non solo giusto, ma anche efficiente. Le due Corti in un crescendo rossiniano di decisioni tendono ad annullare ogni discrezionalità statale nell'adeguamento alle loro decisioni: dalle decisioni del Lussemburgo come Traghetti del mediterraneo e Lucchini alle numerose sentenze e di Strasburgo che spingono di fatto alla riapertura dei processi ( come misura positiva adeguata a rimuovere un caso di violazione del diritto ad un giusto processo) . Neppure il giudicato interno sembra fare velo all'incidenza del diritto sovranazionale e le Corti europee mostrano di essere sempre meno disposte a tollerare interpretazioni che non siano coerenti con le loro indicazioni.

Si stringe l'Europa dei diritti perché al giudice nazionale è richiesta una corretta informazione sugli orientamenti interpretativi delle due Corti, perché le deviazioni sono fonte di responsabilità ( forse anche di carattere disciplinare), perché lo Stato è comunque sottoposto a sorveglianza sino a che non provvede ad imporre una" soluzione " europea e a ristorare il danno provocato.

Spinte univoche verso un adeguamento rapido a questi prepotenti processi in corso provengono anche dalla nostra Corte costituzionale ( piuttosto prudente in passato). Questo è stato l'anno del "disgelo": le due storiche decisioni ( le sentenze nn. 348 e 349 del 2007 seguite dalla n. 39\08) anche se non hanno confermato quel principio di controllo di convenzionalità diffusa cui una parte della magistratura italiana si era orientata ( compresa la Cassazione) danno comunque un rilievo altissimo non solo alla Cedu, ma al "diritto vivente" Cedu come interpretato da Strasburgo; inoltre il primo rinvio pregiudiziale della Corte ( ordinanza n. 103\08) integra questo segnale di apertura al dialogo tra Corti ed allo scambio tra sistemi giudiziari nazionali e sovranazionali. Anche la Cassazione sembra muoversi con molto più coraggio, a cominciare da casi difficili come quello del diritto ad una morte dignitosa che è stato affrontato a partire da una ricognizione compiuta delle fonti e delle esperienze " europee" . Siamo vicini a cambiamenti che approfondiranno ulteriormente questa esposizione rischiosa a fonti e a correnti interpretative non interne: con il Trattato di Lisbona si avrà la formale obbligatorietà della Carta di Nizza ( anticipata dalla Corte di Giustizia in ben sette sentenze); dobbiamo prepararci, auspicabilmente, ad un uso diffuso del Bill of ritghs europeo le cui norme avranno lo stesso legal value di quelle dei Trattati . La sfera di applicabilità della Carta ex art. 51 dovrebbe essere enorme posto che per "applicazione nazionale del diritto comunitario" si deve intendere - seguendo la migliore dottrina-ogni situazione nella quale la regolamentazione interna entra nel cono d'ombra della disciplina europea; in ogni caso la Carta di Nizza come Testo che elenca i valori di base dell'Unione opera da fonte di ispirazione interpretativa senza limiti di sorta. Ancora la UE aderirà alla Cedu, in una direzione di unificazione ulteriore del diritto comunitario e delle fonti del Consiglio d'Europa, opzione questa le cui conseguenze sono tutte da valutare. Infine anche il cosiddetto terzo pilastro sarà comunitarizzato, anche se la Corte di giustizia. ha già anticipato molti degli effetti della parificazione tra pilastri.

Il cuore del sistema ( v. le indicazioni anche della nostra Corte) sarà necessariamente l'interpretazione conforme del giudice comune, vero cemento di costruzione di una comune cultura dei diritti fondamentali sotto la regia delle due Corti europee.

Insomma i tempi per un " piano europeo" per i giudici italiani sono molto stretti. Ognuno deve fare la sua parte e certamente i magistrati italiani sono pronti a fare la loro e non a prendere come scusa per atteggiamenti conservatori il fatto che in generale il grado di ottemperanza istituzionale agli impegni europei è molto bassa: l'Italia è settima per cause pendenti alla Corte di Strasburgo ( ma è prima tra i 15 paesi aderenti all'UE sino all'allargamento); è tra gli ultimi nella ricezione delle direttive ( mancano ancora moltissimi atti di ricezione di atti internazionali di rilievo primario come la Convenzione sulla tortura), e tra le prime nei procedimenti di infrazione; a ciò si aggiungono inadempienze più a carattere politico-sociale, essendo come noto l'Italia l'ultimo paese ( nell'UE a 27) nel raggiungimento degli obiettivi della Lisbon agenda. Sebbene questi deficit di sistema siano gravissimi, sono convinto che i giudici italiani aspirino comunque a mettersi all'avanguardia nel processo di costruzione di un circuito unitario costituzionale a livello continentale, recependo le indicazioni che provengono dalla nostra società civile che è tra le più favorevoli- secondo i dati dell'eurobarometro- ad una integrazione sempre più stretta tra i paesi dell'Unione, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei diritti fondamentali. Ma perché si possa esercitare questo ruolo- di avanguardia nella giurisdizione europea ordinaria- sono necessari alcuni pre-requisiti di carattere organizzativo, formativo, istituzionale.

1.1. Il meta-presupposto, ma di questo parleranno tanti altri, è ovviamente l'esistenza di filtri energici per evitare che il giudice sia sommerso in un lavoro quotidiano distruttivo di ogni velleità di approfondimento. E' mai possibile darsi- per riprendere una espressione del Primo Presidente. della Cassazione- "un respiro ed un passo europeo" in una sistema che veicola più cause civili di Gran Bretagna, Spagna e Germania messe insieme?

 

1) Il primo punto concerne l'informazione e investe in primis la vexata quaestio della traduzione e diffusione delle sentenze della Corte di Strasburgo, come indicato da plurime raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, dalla Commissione europea per l'efficienza della giustizia , dal connesso Comitato di esperti per l'attuazione delle procedure per la protezione dei diritti umani, dai pareri del Comitato consultivo dei giudici europei.

Qualcosa è stato tentato da più istituzioni ( la Cassazione - che almeno traduce le massime-, il Parlamento etc. senza raggiungere talvolta neppure una intesa per evitare più traduzioni di una medesima decisione), ma l'obiettivo di fornire ad ogni magistrato celermente una traduzione delle sentenze emesse contro il nostro paese non si è realizzato. Ovviamente anche questo obiettivo è insufficiente: lo sviluppo della giurisprudenza di Strasburgo e del sistema nel suo complesso ha rotto da tempo la correlazione tra principi affermati nella decisione e stato destinatario del provvedimento: la giurisprudenza tutti i paesi per quanto riguarda i principi affermati e quindi la traduzione e diffusione deve riguardare almeno i leading cases ( mi ha fatto impressione leggere sentenze britanniche che applicavano i principi di Saady v. Italy due giorni dopo la sentenza).

La lingua dell'Europa è, per dirla con Le Goff, la traduzione.

Inoltre quando e come questi indirizzi sono stati recepiti dall'altra Corte? La raccolta e sistematizzazione unitaria è maggiormente disponibile ( soprattutto grazie alle Università) per la giurisprudenza comunitaria, ma raramente coinvolge la magistratura e quasi mai è integrata con quella del Consiglio d'Europa, sotto il profilo pratico della risoluzione di casi in concreto. Infine è impossibile trovare un luogo ove figurino le sentenze nazionali che recepiscono principi, norme o indirizzi giurisprudenziali europei. Non si capisce come, in assenza di questa informazione anche orizzontale, si possa cementare una comune cultura giuridica e un mentalità condivisa dei giudici europei nella tutela dei diritti fondamentali quali sanciti nelle due Carte ( ricordo che un accordo di cooperazione del maggio 2007 tra UE e Consiglio d'Europa pone entrambe le Carte come la base di un dialogo e di una cooperazione nella materia dei diritti umani, in una sorta di appassionante progetto di fusione di orizzonti tra culture e tradizioni del vecchio continente). Saggiamente sono state lanciate proposte di hand book di indirizzo, ed ancora di task force permanenti che studino l'evoluzione della situazione, soprattutto per quanto riguarda l'impatto sulle diverse realtà nazionali. I "principi" vincolanti della giurisprudenza delle due Corti vanno infatti ricostruiti estraendoli dal contesto del caso concreto e della legislazione interessata ( basterà pensare a quei giudizi di bilanciamento e di valutazione di proporzionalità delle misure statali che sono in genere il cuore di moltissime sentenze delle due Corti), vanno sublimati identificando il " nucleo duro" argomentativo riproponibile anche per altre situazioni. Ma allora oltre alla decisione a monte, è di straordinario interesse studiare e verificare come la stessa è stata recepita in altri contesti. Il Progetto del portale unico delle reti delle Corti supreme europee va nella giusta direzione, anche se ancora in via sperimentale, sottoposto ad un irrazionale accesso limitato ed escludente proprio le decisioni di merito che forse hanno qualcosa in più da dirci.

2) Come partecipano i giudici italiani ai forum europei, ai luoghi ove l'Europa dei diritti è sottoposta a verifiche e a pubblico confronto? In realtà quel che richiede ai giudici ordinari non è la meccanica trasposizione di criteri europei nelle decisioni di ogni giorno; questo orientamento risponderebbe ad una vetusta logica gerarchica e piramidale che omette di riconoscere il ruolo creativo, attivo e partecipe che il giudice europeo svolge nel processo di integrazione tra ordinamenti, In Europa la parola d'ordine è "leale cooperazione" e "sussidiarietà" : in sostanza dialogo e comunicazione tra Corti ad ogni livello, fusione di orizzonti più che diktat anche se provenienti da Corti europee . Pensiamo allo strumento del rinvio pregiudiziale; la regola è costruita anche dal giudice rimettente e poi è destinata a vivere in una applicazione " conforme" nella quale l'universalismo dei principi e la particolarità nazionale sono destinati a convivere. L'espressione che meglio rende questa prospettiva è quella della cross fertlisation tra sistemi giudiziari, che presuppone circolarità ed orizzontalità di risposte piuttosto che progettazione dall'alto e adozione di superate metodologie burocratiche. Se questo è vero i meccanismi di governance , cioè di circuiti di discussione più ampi e più diffusi di quelli legati al processo legislativo vero e proprio, sono determinanti. Chi sa che proprio quest'anno è stato lanciato un Forum sulla giustizia che aggrega magistrati, avvocati ,esperti , Accademia, ONG per valutare l'uso degli strumenti UE nella giustizia, avviare una condivisione delle conoscenze, accertare l'impatto delle legislazione comunitaria e valutarne le eventuali lacune etc. in collaborazione con il Consiglio d'Europa ? Certamente qualcuno ( per l'ANM o per altre associazioni di categoria) già sta partecipando a questa iniziativa, ma mi interessa come queste riunioni verranno socializzate, come si potrà consentire ad ogni magistrato di dare il proprio contributo e di rappresentare le proprie esigenze ( o anche di presentare studi ed osservazioni). Questo è solo un esempio, ma la partecipazione strutturata ed organizzata agli spazi di dialogo orizzontale europeo è elemento decisivo perché la dimensione europea sia riappropriata dal sistema giudiziario nel loro complesso: quanti sono i forum permanenti dell'UE che interessano il pianeta giustizia senza parlare dei forum dei vari Green o White papers ? Così come molto poco condivisa è la partecipazione dei magistrati italiani alle reti consultive del Consiglio d'Europa. ( ed alla stesura di questionari che poi hanno un rilievo notevole nell'elaborazione delle strategie per promuovere la Cedu)

3) Occorrono poi riunioni periodiche tra giudici europei che facciano il punto sullo stato dell'arte. La cooperazione nel settore civile ed in quello penale sono settori in prepotente espansione e pongono problemi gravi di spaesamento e di preoccupazione . Quanti di noi sono in grado di muoversi in questo campo con sufficiente prontezza e razionalità , se non pressati da urgenze e emergenze? Sembra imprescindibile un monitoraggio orientato al controllo di effettività delle reti di supporto alla cooperazione vista l'enorme responsabilità che investe direttamente il magistrato ( la sentenza n, 143 della nostra Corte costituzionale sul MAE ricorda che in questa materia non vi è cooperazione interstatale, ma direttamente tra uffici giudiziari) Insomma serve sia la promozione di uno scambio permanente culturale ed organizzativo tra magistrati di diversi paesi ( orizzontale) sia un esame comune di progetti pilota che possa far emergere le migliori pratiche di pronta reazione agli imput europei. Che cosa chiediamo, alla fine, ai capi degli Uffici per facilitarci in quest'opera di adeguamento professionale ?

4) se ne parlerà credo nella sezione professionalità, ma la formazione di base, nonostante gli eccezionali e ammirevoli sforzi del CSM in questa direzione ( e gli importanti progressi con la Rete europea di formazione e quella dei Consigli superiori) è ancora insufficiente. Gli articoli 81 e 82 del trattato di Lisbona rendono la formazione dei magistrati in chiave europea un dovere primario, riconosciuto dal Patto fondativo tra europei . Mi pare che innanzitutto sia urgente la creazione di qualche stabile organismo di studio ed approfondimento ad hoc che fornisca orientamenti, metodologie, strategie di adattamento ( quindi orientati anche alla prassi giurisdizionale quotidiana) , frutto della cooperazione tra vari organi, dal CSM ( ovviamente un domani anche la futura Scuola) , al Ministero, ai rami del Parlamento, alle rappresentanze dell'UE etc. L'attuale frammentazione nelle competenze sui diritti fondamentali disperse in vari Ministeri è dannosa e incoerente; per rispondere all'Europa occorrerebbe che il principio di leale cooperazione operasse innanzitutto a livello nazionale. Se a Gennaio la Carta diventerà obbligatoria, ad esempio che iniziative in grande stile verranno prese?

5) L' ufficio del giudice ( o della giustizia) è, forse, da ripensare anche in questa dimensione. Può essere e un centro che promuove un rapporto di scambio con i colleghi europei e che raccoglie informazioni su giurisprudenza e legislazione sopranazionale?

Si tratta , in definitiva, di proposte che non sembrano inarrivabili né sembrano comportare costi inavvicinabili, che in parte razionalizzano l'esistente e accolgono le sollecitazioni di Bruxelles ( e quindi dovrebbero intercettarne anche i finanziamenti) .

"Se un giorno potremmo dire cives europeus sum., ciò avverrà perché sarà stato possibile prima dire iudex europeus sum." Ed ancora "un'Europa che riconosce eguali diritti a tutti i cittadini, resta flatus voci se non riconosce una tutela giurisdizionale tendenzialmente omogenea da parte di tutti i suoi giudici". Sono le espressioni impegnate del Primo Presidente della Cassazione , ma perché queste diventino le linee guida di un programma realmente operativo (nel nostro paese) occorrono misure urgenti, anche di natura organizzativa, delle quali purtroppo si parla ancora troppo poco.

 

10 06 2008
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