Decreto di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza - art. 20, commi 7 bis e 7 ter, d.lgs n. 30/2007.
Tribunale Genova - ordinanza 27 dicembre 2007 - giud. Mazza Galanti - ric. ****
1. La ricorrente, ****, cittadina rumena di 21 anni, è stata colpita da provvedimento di espulsione del Prefetto della Provincia di Genova, emesso in data 3 novembre 2007, e a lei notificato il successivo 7 novembre, con la motivazione che, avendo «pervicacemente» continuato a svolgere l'attività di meretricio nelle vie cittadine, «malgrado più volte invitata a desistere da tale attività", essa avrebbe creato "grave pregiudizio alla pubblica sicurezza, conseguente all'allarme sociale generato tra i residenti dell'area cittadina interessata». Nella motivazione del decreto si precisava che, nonostante le dichiarazioni «contrarie» rese dall'interessata alle Forze di Polizia, non si poteva escludere che la predetta fosse «sfruttata da suoi connazionali». In considerazione dei motivi esposti sussistevano, ad avviso del Prefetto, ra-gioni per affermare la «incompatibilità» della presenza della S. sul territorio nazionale «con la ordinaria convivenza per la palese compromissione della dignità umana», e ritenere dunque, ai sensi dell'art. 20 del decreto legislati-vo n. 30/2007 (e, specificamente, dei commi 7 bis e 7 ter, introdotti dal re-cente art. 1 del decreto legge 1 novembre 2007, n. 181) la sussistenza di «imperativi motivi di pubblica sicurezza», tali da dichiarare la «comprovata urgenza» del provvedimento, e ritenere che l'allontanamento della giovane dovesse essere «immediatamente eseguito dal Questore».
In esecuzione del citato provvedimento, la cittadina rumena veniva con-dotta avanti al giudice di pace per il giudizio di convalida del disposto ac-compagnamento alla frontiera. In sede di udienza la giovane dichiarava di essere in possesso di regolare passaporto, di trovarsi in Italia da circa tre mesi, di soggiornare in una pensione, di prostituirsi saltuariamente avendo «un bambino piccolo di 5 mesi e una madre malata», e di non avere «altra scelta al momento». Sentiti il difensore e il rappresentante della Questura, il giudice di pace non convalidava il provvedimento del Questore, non rite-nendo sussistere i requisiti di legge previsti dal decreto legge n. 181/2007, negando in particolare la sussistenza di una qualche pericolosità della citta-dina rumena, e affermando espressamente che, nell'ipotesi di una diversa interpretazione, sarebbero state violate le norme costituzionali a tutela della persona, nonché i principi della normativa comunitaria in tema di libera cir-colazione dei cittadini.
Nel prosieguo, la signora ****., con ricorso ex art. 22 decreto legge n. 30, si rivolgeva a questo Tribunale chiedendo l'annullamento, previa so-spensione, del citato provvedimento prefettizio, sottolineandone il difetto di motivazione, la violazione di legge e l'eccesso di potere. Ad avviso della ricorrente, al di là dell'amplissima discrezionalità conferita ai Prefetti dal decreto legge n. 181/2007, la prostituzione non potrebbe essere qualificata «attività pericolosa per la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità», né, con riguardo al caso in esame, tale attività sarebbe stata contrassegnata da modalità tali da integrare una qualche «pericolosità», motivo per cui il rife-rimento al presunto «allarme sociale», menzionato nel decreto impugnato, costituirebbe «una mera formula di stile». In sostanza, secondo la difesa di parte ricorrente, una volta esclusa la presenza di comportamenti tali da giu-stificare «una particolare vigilanza del soggetto da parte degli organi di pubblica sicurezza», doveva escludersi che la mera attività di prostituzione potesse integrare il concetto di «pericolosità sociale», e conseguentemente la suddetta attività non poteva neppure «comportare gravi turbative o peri-colo all'ordine e alla sicurezza pubblica». Ai fini poi del conseguimento della richiesta sospensiva, si evidenziava che, per le ragioni esposte, sussi-stevano i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, quanto a quest'ultimo tenuto conto del fatto che la ricorrente si era rivolta al Centro per l'Impiego al fine di ottenere una regolare attività lavorativa, ed era in attesa di una risposta.
2. Con provvedimento in data 30 novembre 2007 questo giudice conce-deva la richiesta sospensiva, e fissava per la comparizione delle parti e per la discussione l'udienza del 24 dicembre 2007. In occasione della menzio-nata udienza il difensore della ricorrente insisteva nei motivi di opposizione, mentre il delegato della Questura chiedeva la conferma del decreto prefetti-zio, sottolineando in sede di discussione la necessità di contestualizzare l'episodio in esame, nel senso di ricondurlo al clima di allarme sociale che si era diffuso nel ponente cittadino a fine ottobre, proprio per via delle mo-dalità con cui veniva svolta in zona l'attività di meretricio.
3. Preliminarmente ritiene opportuno il giudicante segnalare che il prov-vedimento impugnato, pur caratterizzato da ampia e circostanziata motiva-zione, con specifico riferimento al nuovo assetto normativo voluto dal legi-slatore in forza della citata legislazione d'urgenza, è privo di qualunque ri-scontro di natura documentale, ciò nonostante che la Circolare ministeriale in materia (si v. Circ. Min. Int. in data 3 novembre 2007) faccia espresso riferimento all'espletamento da parte del personale preposto della necessaria istruttoria. E infatti nessuna relazione di servizio della Polizia di Stato, o di altra Autorità, è stato versato in atti al fine di documentare le modalità con cui la ricorrente svolgeva il meretricio, né sono stati in alcun modo docu-mentati i ripetuti «inviti» mediante i quali i pubblici ufficiali avrebbero sol-lecitato la giovane rumena a desistere dalla sua attività. Neppure, a prescin-dere dalla loro rilevanza, sono stati prodotti in atti quegli articoli di cronaca cittadina, richiamati in sede di discussione dal delegato della Questura, a-venti una qualche relazione con il fatto per cui si procede, o il clima sociale che si sarebbe sviluppato tra la fine del mese di ottobre e l'inizio del mese di novembre nel ponente cittadino. In definitiva l'unico elemento concreto che consente di ricondurre la ricorrente all'attività di prostituzione a lei contesta-ta, è la sua onesta dichiarazione (fornita, come si è visto avanti al Giudice di Pace) di svolgere, sia pur a suo dire saltuariamente, tale attività per le ragio-ni di necessità da lei sinteticamente esposte.
Tutto ciò premesso, per i motivi che saranno indicati nell'immediato prosieguo, ritiene il giudicante che sussistano fondati motivi per l'accogli-mento del ricorso in esame, dal che deriva l'annullamento del decreto di e-spulsione.
Va innanzi tutto considerato che non è dubbio il fatto che qualunque provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale di un cittadino comunitario si riverbera profondamente sul diritto alla libertà personale consacrato dalla nostra Carta costituzionale (art. 13) e sul diritto di libera circolazione delle persone nell'ambito dello spazio comunitario, solenne-mente sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 45). Tenuto conto di ciò è evidente che la compromissione, nei riguardi di un cittadino comunitario, di diritti della persona aventi rango costituzionale, può essere determinata solo in forza di motivi di ordine pubblico o di pub-blica sicurezza. E infatti l'art. 20 del decreto legislativo n. 30/2007 (poi, come si è anticipato, modificato dal citato decreto legge n. 181/2007) pre-vede espressamente che i limiti all'ingresso e al soggiorno dei cittadini del-l'Unione siano appunto correlati a «motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza». E ancora il comma 7 ter dell'art. 20 del citato decreto legislativo definisce «imperativi» i motivi di «pubblica sicurezza, quando i comporta-menti tenuti dal cittadino dell'Unione compromettono la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona umana, ovvero l'incolumità pubblica, rendendo la sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l'ordinaria convivenza». In argomento si è osservato, da almeno una parte degli interpreti, che la formula «motivi imperativi di pubblica sicurez-za», conseguenti all'avere posto in essere i «comportamenti» sopra richia-mati, appare di tutta evidenza assai restrittiva. Da ciò discende che, per la sua applicazione, occorre la prova di azioni specifiche le quali effettivamen-te, ledano o mettano in pericolo, la tutela della dignità umana, o compro-mettano effettivamente la tutela dei diritti fondamentali della persona uma-na. Si consideri, del resto, che l'art. 20, secondo comma, del decreto legisla-tivo menzionato prevede espressamente che i provvedimenti limitativi di cui si discute siano adottati «nel rispetto del principio della proporzionalità, e in relazione a comportamenti della persona che rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l'ordine pubblico e la sicurezza pub-blica», e che l'ultima parte di questa disposizione prevede significativamen-te che neppure l'esistenza di condanne penali «giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti».
In definitiva ci si trova di fronte a una normativa che, non solo non può consentire all'Amministrazione le (paventate) espulsioni di massa, ma la cui corretta interpretazione può (e deve) impedire anche espulsioni arbitrarie o, comunque, non giustificate da fatti molto gravi e concretamente individuati, fatti che, ad avviso di chi scrive, difficilmente, potranno non integrare un vero e proprio reato. Si condivide, pertanto, la valutazione in forza della quale la donna che si prostituisce (quanto meno in assenza di modalità tali da integrare fattispecie di reato, che, come si è detto, nel caso in esame non sono state minimamente dimostrate), non solo non pone in essere un'attività di per sé «pericolosa» per l'ordine pubblico o per pubblica sicurezza pubbli-ca, ma neppure tale da ledere o da compromettere la «dignità umana».
A fronte di tale assunto che, almeno allo stato degli atti appare inoppu-gnabile, «l'allarme sociale», richiamato dal decreto opposto, anche ove con-cretamente dimostrato, sarebbe privo di rilevanza giuridica ai fini che qui interessano. Per completezza si può rilevare che tale «allarme sociale», ge-nericamente inteso, nulla sembra avere a che vedere con quel bisogno di si-curezza del cittadino che, in quanto collegato ad una effettiva mancanza di sicurezza, intesa come paura di vedere violata la propria libertà e la propria incolumità, laddove si tratti di fenomeno reale e giustificato, è, in tale caso, davvero riconducibile a un diritto fondamentale della persona costituzio-nalmente garantito.
Per tutte le considerazioni che si sono fin qui esposte l'interpretazione della normativa sottesa al decreto prefettizio impugnato appare del tutto er-ronea (oltre che non conforme alla ratio che aveva indotto il legislatore ad emettere il recente decreto legge n. 181/2007), e tali da inficiare tale prov-vedimento sotto il profilo della violazione di legge, e dell'eccesso di potere.
Il tenore della presente decisione e, dunque, il pieno accoglimento del ricorso e delle tesi di parte ricorrente, comporta la condanna della parte soc-combente alla spese del procedimento che si liquidano come da dispositivo.
per questi motivi
dichiara l'illegittimità del decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Genova in data 3 novembre 2007 nei confronti di ****.
Condanna la Pubblica Amministrazione al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 800,00 comprensivi di onorari e diritti, oltre agli oneri di legge.