Cassazione - Sezione seconda penale n.35580/2007


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occupazione abusiva e stato di indigenza

 

Cassazione - Sezione seconda penale - sentenza 27 giugno - 26 settembre 2007, n. 35580 Presidente Morelli - Relatore Zappia Pm Monetti - conforme - Ricorrente D'a.

Motivi della decisione

Con sentenza del 4.2.2005 il Tribunale di Roma condannava D'A., concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 600,00 di multa, avendola ritenuta responsabile del reato di occupazione abusiva di immobile di proprietà dell'Iacp. Con sentenza dell'1.12.2006 la Corte di Appello di Roma confermava la decisione impugnata.

Avverso tale sentenza l'imputata propone ricorso per cassazione lamentando la violazione di legge sotto diversi profili.

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione dell'art. 606, co. 1, lett. d) ed e), c.p.p. rilevando la mancanza di motivazione in ordine al primo e terzo motivo dell'appello proposto, nonché il carattere solo apparente di tale motivazione in relazione alle questioni di merito poste; e rileva altresì la mancata assunzione di una prova decisiva richiesta ai sensi dell'art. 603 c.p.p. Osserva in particolare la ricorrente che la Corte di Appello aveva escluso lo stato di necessità dedotto da essa imputata in relazione alla contestata occupazione di immobile, senza svolgere alcuna indagine specifica in ordine alle effettive condizioni dell'imputata, alla esigenza di tutela del figlio minore, alla minaccia dell'integrità fisica degli stessi, al carattere assolutamente transitorio del ricorso ai servizi sociali; e rileva inoltre che la Corte suddetta non aveva assolutamente motivato in ordine al mancato accoglimento della richiesta di nuova audizione della teste P. (operante di P.G,. che aveva effettuato il sopralluogo), che avrebbe consentito un esame esaustivo della fattispecie concreta.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione dell'art. 606, co. 1, lett. b) ed e), c.p.p. rilevando la inconsistenza della motivazione in ordine alla non applicazione dell'art. 54 c.p., quantomeno in relazione all'art. 59 dello stesso codice. In particolare rileva la ricorrente che la Corte territoriale non aveva adeguatamente valutato la sussistenza dello stato di necessità, rilevante non solo con riferimento al diritto all'abitazione ma anche con riferimento al diritto alla salvaguardia della salute del figlio, diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, non potendosi omettere di evidenziare che lo stato di pericolo per la ricorrente e per il proprio figlio non era imputabile ad una condotta alla stessa riferibile, non era altrimenti evitabile non avendo l'interessata alcuna possibilità di rivolgersi al mercato libero degli alloggi, e che il fatto commesso era proporzionato al pericolo che lo stesso era destinato scongiurare. Ed ha quindi concluso evidenziando che, se pur nel caso di specie la sussistenza dello stato di necessità non poteva essere affermata con obiettiva certezza stante la carenza nell'istruttoria dibattimentale, tuttavia non poteva nemmeno essere ragionevolmente esclusa, di talché si imponeva l'annullamento dell'impugnata sentenza.

Il ricorso è fondato.

Sul punto ritiene il Collegio di dover innanzi tutto evidenziare che, ai fini della sussistenza dell'esimente dello stato di necessità previsto dall'art. 54 c.p., rientrano nel concetto di "danno grave alla persona" non solo la lesione della vita o dell'integrità fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, secondo la previsione contenuta nell'art. 2 della Costituzione; e pertanto rientrano in tale previsione anche quelle situazioni che minacciano solo indirettamente l'integrità fisica del soggetto in quanto si riferiscono alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, fra i quali deve essere ricompresso il diritto all'abitazione in quanto l'esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona.

Tale interpretazione estensiva del concetto di danno grave alla persona fa sì peraltro, siccome evidenziato da questa Corte (Cass. sez. II, 19.3.2003 n. 24290), che "più attenta e penetrante deve essere l'indagine giudiziaria diretta a circoscrivere la sfera di azione dell'esimente ai soli casi in cui siano indiscutibili gli elementi costitutivi della stessa - necessità e inevitabilità - non potendo i diritti dei terzi essere compressi se non in condizioni eccezionali, chiaramente comprovate".

Nel caso di specie è stata per contro totalmente omessa qualsiasi indagine sia al fine di verificare le effettive condizioni dell'imputata, l'esigenza di tutela del figlio minore, la minaccia dell'integrità fisica degli stessi, sia al fine di verificare la sussistenza sotto il profilo obiettivo dei requisiti delle necessità ed inevitabilità che, unitamente agli altri elementi richiesti dall'art. 54 c.p., consentono di ritenere la sussistenza dell'esimente in parola.

Alla stregua di quanto sopra si impone l'annullamento dell'impugnata sentenza, rimanendo in tale pronuncia assorbiti gli ulteriori rilievi sollevati dalla ricorrente, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

PQM

La Corte annulla l'impugnata sentenza e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

 

01 10 2007
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