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Documento congressuale 2007

Il
XVI Congresso nazionale di Magistratura Democratica è stato convocato
dopo che gli avvenimenti, interni ed esterni alla magistratura,
verificatisi nel corso del 2006 ci hanno imposto di rimettere in
discussione il profilo complessivo del gruppo, le scelte organizzative,
le linee generali dell'azione politica.

Nel
corso dell'estate, a distanza di pochi giorni dalla grande vittoria nel
referendum costituzionale del 25 e 26 giugno, un risultato
straordinario per l'intera società italiana al quale Magistratura
Democratica ha contribuito in modo significativo entrando a far parte
del Comitato promotore del referendum e partecipando attivamente alla
campagna referendaria, è seguito un risultato pesantemente negativo
alle elezioni dei componenti del CSM.

Il
succedersi a brevissima distanza di tempo di questi due avvenimenti
esprime simbolicamente, e non solo, il nodo che oggi Md è chiamata ad
affrontare: il soggetto collettivo che, per usare le parole di Giovanni
Palombarini, "utilizzando le sue competenze specifiche ed insieme
valorizzando una complessiva cultura politico-istituzionale persegue
l'obiettivo della difesa dei diritti e delle garanzie" continua ad
operare efficacemente nella società civile, resta protagonista delle
battaglie a tutela dei valori costituzionali, dei diritti dei più
deboli ed indifesi, continua a svolgere il suo ruolo di critica del
diritto dall'interno dell'istituzione, di affermazione di una cultura
garantista e di una proposta di cambiamento, ma fatica a rapportarsi
con una parte importante della magistratura italiana, ed in
particolare, ma non solo, con le generazioni più giovani di magistrati.

Questa
difficoltà - che non incide solo sulla presenza di Md nei luoghi
dell'autogoverno e dell'associazionismo (eravamo in grado di
determinarne in modo importante le scelte anche quando avevamo un
consenso elettorale molto più limitato), ma rischia di ridurre la
capacità di essere ancora un soggetto (forse il soggetto) del
cambiamento della istituzione giudiziaria - non nasce ora ed è
espressione di una insufficiente capacità di interrogarsi sulle
dinamiche in atto nella magistratura, di rapportarsi ad esse, di
comprenderle, di governarle.

Non
vi è in questa sede lo spazio per un approfondito approccio analitico.
Tuttavia è indispensabile chiarire un aspetto decisivo e vistoso: MD
non ha tematizzato che il nodo centrale della questione
democrazia/giurisdizione nell'Italia di questi anni è rappresentato
dalla sostanziale incapacità del sistema di offrire una risposta
sufficiente - in termini qualitativi e quantitativi - alla richiesta
sociale di giustizia.

Processi
con tempi interminabili, talvolta trattati in modo sciatto e
trascurato, sono solo la ricaduta di un sistema gestito in modo
totalmente autoreferenziale, burocratico e corporativo, mediamente
governato con regole arcaiche da magistrati privi delle pur minime
nozioni di carattere organizzativo, complessivamente insensibili
all'esigenza di graduare gli obbiettivi del servizio secondo un uso
razionale delle risorse (naturalmente non si deve confondere questa
esigenza con il diverso ed assai più delicato tema delle scelte di
priorità nella trattazione dei processi). In molti uffici giudiziari la
gestione è incentrata sulla spesso difficile esigenza di garantire (in
condizioni sempre più proibitive e talvolta apparentemente
insostenibili) il quieto vivere della corporazione ed è sostanzialmente
disinteressata al dovere di offrire risposte adeguate e
qualitativamente decenti alla domanda sociale di giustizia.

Anche
per queste ragioni, il quotidiano esercizio della giurisdizione in
molte realtà, piccole e grandi, è caratterizzato da difficoltà
organizzative e materiali, dalla carenza di strutture personali e
materiali in cui versano gli uffici, dalla corsa (troppo spesso non
solo non avversata ma promossa ed incoraggiata), ai numeri statistici,
alla produzione quantitativa, che porta ad occuparsi non dei casi più
rilevanti o più meritevoli di sollecita trattazione, ma di quelli di
più spedita trattazione.

La
vita del singolo giudice è andata complicandosi: già chiamato a gestire
un carico di lavoro giurisdizionale di cui chi ha oggi più di venti
anni di servizio non ha memoria , nel suo quotidiano lavorativo alle
attività giurisdizionali se ne sono aggiunte via via tante altre, con
gravi effetti sulla qualità del lavoro giurisdizionale , sulle motivazioni dei singoli , sulla consapevolezza che i magistrati hanno di sé .

Costretto
a confrontarsi ogni giorno con tanti piccoli problemi logistici e
materiali, il magistrato anche per questa via si sente sempre più non
il titolare di un potere costituzionale diffuso ma un travet con i problemi di un Fantozzi
: trovare la carta e chi gli aggiusta la stampante per fare un lavoro
la cui qualità sembra non interessare davvero a nessuno. A ciò si
aggiunge la difficoltà ad organizzare le proprie prospettive di vita,
in relazione ad un sistema di trasferimenti (da un ufficio all'altro
e/o da una sede all'altra o interni ai singoli uffici) lungo e
farraginoso che comporta permanenze lunghissime in sedi lontane dal
centro della propria vita, dei propri affetti.

Tutto
questo avviene mentre il percorso di accesso alla magistratura è
divenuto lungo e complicato: in passato molti riuscivano a superare il
concorso più o meno a 25-26 anni ora sono pochi i magistrati che
riescono ad entrare in servizio prima dei trent'anni. E si tratta di
una generazione di magistrati cresciuta non nella stagione delle grandi
trasformazioni democratiche ma in quella degli attacchi costanti,
continui e reiterati alla politicità ed alla assunta parzialità
dell'intera magistratura e di Md in particolare.

La
tentazione verso una deriva burocratica, l'emergere di una magistratura
attenta quasi esclusivamente a mantenere quelli che una campagna di
disinformazione generalizzata disegna come "privilegi di categoria", si
è accompagnata ad una tendenza verso quello che efficacemente Juanito
Patrone ha definito "un autogoverno di protezione,
rappresentativo di esigenze locali, di sottogruppi professionali e
persino generazionali" e contestualmente impotente a fronteggiare la
deriva che sta subendo la qualità della giurisdizione.

Sebbene
modellato da regole "sulla carta" spesso condivisibili, nella sua
operatività effettiva il CSM è oramai palesemente inadeguato ad
assolvere in modo sufficiente alcuni tra i compiti più delicati. I
magistrati nominati agli uffici direttivi e semidirettivi (vero asse
portante della giurisdizione "reale") sono sovente di spessore mediocre
e talvolta addirittura di una pochezza imbarazzante; il sistema
tabellare è oramai sotto il limite dell'efficacia minima e sta perdendo
significato; non si colgono reazioni tempestive ed efficaci alle troppo
frequenti cadute deontologiche. E' sempre più diffusa l'opinione che
l'autogoverno non riesca ad affrancarsi da comportamenti che troppo
spesso alludono ad indebite intromissioni di logiche correntizie nelle
decisioni istituzionali. L'effetto, oramai vistoso, è che, nei fatti,
nelle decisioni concrete (non certo nelle motivazioni scritte...) risulta
premiato un modello di magistrato furbo, attento al proprio tornaconto,
abile a governare le proprie statistiche e le proprie frequentazioni
associative assai più che ad offrire un contributo efficace e
disinteressato al servizio. Non "public servant" ma "traffichino" o, al
meglio, impiegato disinteressato. Si tratta di un fenomeno devastante
per la tenuta democratica della magistratura: a fronte di molti
colleghi che, pur in questo contesto, con abnegazione ed impegno
cercano faticosamente (e spesso invano) di sopperire alle carenze di un
sistema, altri si autodifendono con il disimpegno, la sciatteria, la
ricerca di protezioni corporative.

Questa
situazione è estremamente allarmante. Certamente trae origine da molti
fattori. Tuttavia serietà impone di riconoscere che un fattore
importante è rappresentato dalla difficoltà della magistratura
associata nel farsi carico di questa grave questione. Ci sono
naturalmente molte serie attenuanti, prima fra tutte la priorità
giustamente attribuita alla necessità di difendere l'autonomia e
l'indipendenza della magistratura dai progetti di controriforma della
destra. Ma mentre l'ANM necessariamente teneva su una linea di
resistenza (peraltro, grazie alla nostra delegazione, con toni
tutt'altro che conservatori) è mancata la proposta non solo
resistenziale, ma riformatrice, che doveva venire da MD. Da parte del
gruppo più coerente e consapevole della magistratura si esige una
risposta non solo culturale (analisi e dibattiti sulla rivista e nei
gruppi di lavoro, convegni, etc.) ma soprattutto politica:
l'elaborazione culturale deve innervare l'iniziativa politica, non
surrogarla. E una risposta politica che la fase richiede deve
connotarsi per pragmatismo e radicalità di approccio, rifuggendo da
tentazioni moralisteggianti e da approcci ideologici od elitari.
Perché, se veramente vogliamo cambiare la magistratura e la
giurisdizione, e non limitarci ad un ruolo di testimonianza,
dobbiamo costruire un progetto che sia in grado di coinvolgere la
maggioranza dei magistrati. Su questo conviene essere chiari.
Dobbiamo superare definitivamente ogni tentazione di minoritarismo:
assumere posizioni astrattamente "giuste" ma estranee al vissuto della
maggioranza dei magistrati (e pertanto inidonee ad interloquire con le
rappresentazioni che di questo vissuto si fanno i magistrati) è
altrettanto sbagliato che assumere posizioni opportunistiche pur di
compiacere il corpo profondo della magistratura. A meno che non
anteponiamo il bisogno della testimonianza alle esigenze della
politica. Per questo, in occasione delle recenti elezioni del CSM,
sarebbe stato necessario affiancare una proposta politica forte alla
bandiera del 4+1, nella quale, nel modo in cui è stata proposta, non
era difficile cogliere tratti di ideologismo e che troppo facilmente si
prestava ad accuse di strumentalizzazione. Non si tratta affatto di
rinnegare, in sé, quella scelta; e men che meno di suggerire
ripiegamenti ‘tattici' sulla questione di genere, che deve invece
rimanere centrale nella politica del gruppo; si tratta, piuttosto di
fare uno sforzo per tematizzare la questione di genere su contenuti che
hanno a che fare con l'idea democratica di magistratura e di
giurisdizione; partendo da concetti ("responsabilità" anche del singolo
magistrato e "autogoverno dal basso") che vengono anche
dall'elaborazione delle donne di Magistratura Democratica, ma che
debbono necessariamente incontrare la sensibilità e la riflessione di
tutto il gruppo.

Si trattava allora - e si tratta almeno ora - di segnare una svolta nella nostra iniziativa politica,
elaborando una piattaforma programmatica di forte innovazione
democratica della magistratura e della giurisdizione. Il messaggio che
occorre lanciare è quello di un nuovo autogoverno e di una
giurisdizione di qualità al servizio dei diritti del cittadino: un
cambiamento che si sviluppa intorno ai temi dell'ordinamento
giudiziario e dell'autogoverno, della organizzazione degli uffici, del
rapporto con il potere esecutivo ma che investe fatalmente anche la
struttura del gruppo dirigente che deve uscire dal congresso.

Il primo profilo è, quindi, quello dell'autogoverno.

Nel
progetto della Carta Costituzionale , e nella storia degli ultimi
decenni, l'autogoverno è stato l'ambito nel quale i magistrati hanno
preso sempre maggiore coscienza di essere Istituzione e non corpo
burocratico, magistrati e non funzionari. Tuttavia, per le ragioni più
sopra tratteggiate, un numero crescente di magistrati ha perso fiducia
nel circuito dell'autogoverno. Benché sia certamente ingenerosa e
superficiale l'opinione, pur largamente diffusa, che il comportamento
di MD sia in fondo assimilabile a quello degli altri gruppi, ogni
proclamazione di diversità sarà vana se non radicata su un progetto
visibile di trasformazione. Un progetto che muova dal
riconoscimento delle carenze reali e non da una difesa, oramai
politicamente perdente, dei pur non insignificanti meriti che anche
questo autogoverno può comunque vantare.

E' quindi indispensabile una forte e visibile discontinuità di approccio

In
questi anni si è cercato di fronteggiare le pratiche clientelari ed i
favoritismi dei gruppi che nel Consiglio hanno avuto più o meno
stabilmente la maggioranza introducendo un sistema di controlli ed una
regolamentazione minuziosa delle scelte consiliari; questa opzione non
ha dato i suoi frutti poiché le norme sono state interpretate dai
gruppi di maggioranza in un modo o in un modo opposto a seconda degli
interessi particolari da perseguire, offendo anzi talora appigli
capziosi per coprire scelte faziose. Nel contempo, la moltiplicazione
di regole è stata sentita dai colleghi solo come un fastidioso vincolo
burocratico, che finiva, paradossalmente, per ostacolare la percezione
dei comportamenti incoerenti tenuti in Consiglio dai rappresentanti di
Unità per la Costituzione e di Magistratura Indipendente.

Vi è, quindi, l'esigenza di una ridefinizione e semplificazione delle procedure
che portano alle scelte principali in tema di designazione dei capi
degli uffici, di trasferimenti, di procedimenti disciplinari e di
incompatibilità: la ricerca parossistica di regolare ogni caso
possibile in via preventiva ed astratta segnala una tendenza alla
deresponsabilizzazione tanto preoccupante quanto improduttiva di
effetti, se l'effetto deve essere, come noi riteniamo, quello della
gestione corretta, regolata e trasparente degli uffici giudiziari. Ma
vi è anche la necessità di un effettivo decentramento dell'autogoverno
attraverso il rafforzamento dei poteri dei consigli giudiziari. Questa
è l'unica soluzione possibile non solo perché il CSM non è in grado da
solo di far fronte alla complessità dell'autogoverno se non
sostanzialmente abdicando al proprio ruolo, ma perché è questo l'organo
più vicino al territorio ed in grado di effettuare valutazioni aderenti
alla realtà, con il contributo anche di altri soggetti.

Nella scelta dei titolari degli uffici un primo obiettivo è quello dell'abolizione dell'anzianità
come criterio di selezione. Il nuovo sistema di selezione dovrà essere
caratterizzato da criteri calibrati sulle competenze richieste per
l'esercizio della funzione direttiva ed in relazione alla tipologia
d'ufficio che si aspira a dirigere. La battaglia per un drastico
svecchiamento della dirigenza degli uffici deve essere un punto
centrale del programma di MD : che un cinquantenne possa essere posto
al vertice di una struttura organizzativa complessa composta anche da
persone più anziane è la regola ovunque: deve divenirlo anche nella
magistratura, mentre ora è un'eccezione.

Un ulteriore ed imprescindibile obiettivo è quello della temporaneità delle funzioni direttive con la previsione di strumenti di sorveglianza sull'operato dei dirigenti e di una formazione obbligatoria dopo la nomina.

 

In tale prospettiva dobbiamo inoltre investire sulla responsabilizzazione dei capi degli uffici,
che, con riferimento in particolare alla organizzazione del servizio,
debbono essere indotti a lavorare per obiettivi calibrati in modo
programmato sulle risorse disponibili. Questo esige si riconosca che
oggi il profilo più serio e preoccupante non è rappresentato dalla
gestione autoritaria dell'ufficio da parte dei dirigenti (fenomeno
certamente da combattere con ogni convinzione, ma sostanzialmente
residuale), ma dal burocratismo paternalistico, dalla trascuratezza,
dal disinteresse per la qualità del servizio e per il perseguimento dei
fini istituzionali, dalla incompetenza ed arretratezza culturale, dalla
pratica costante dei piccoli favoritismi che alimenta la filosofia del
"quieto vivere".

In
questo quadro è indispensabile avviare una campagna politica per
marcare una netta distinzione tra merito delle scelte giurisdizionali e
gestione del servizio: questo consentirebbe di premere per introdurre meccanismi di valutazione democratica del servizio,
aprendo la strada alla interlocuzione della cittadinanza e della
società civile e superando la concezione, al fondo corporativa, che
solo alla magistratura competono le scelte "gestionali" degli uffici
giudiziari.

Un problema quotidianamente sentito da moltissimi magistrati è quello dei trasferimenti;
si deve dare certezza alle regole, ai criteri di formazione delle
graduatorie ed a quelli di scelta dei posti da pubblicare ed ai tempi
entro i quali le delibere vanno altrettanto inderogabilmente prese; ciò
significa dare certezze agli uffici sugli organici e consentire di
pianificare le attività giurisdizionali e l'organizzazione dei servizi
e dare certezze ai magistrati ed alle loro famiglie sui tempi dei
possibili trasferimenti, ma anche eliminare uno dei maggiori fattori di
percezione, nei magistrati, della possibilità, in Consiglio, di manovre
a proprio danno, uno dei maggiori fattori di delegittimazione del
Consiglio stesso, uno dei maggiori fattori della burocratica ricerca di
"protezione" non nelle regole ma in ambiti clientelari.

Occorre poi rendere più rapido ed efficace il controllo sulla organizzazione degli uffici attraverso il sistema tabellare.
Oggi vi è una sostanziale impossibilità ad opporsi alle decisioni
illegittime o inopportune o comunque ritenute dannose. Se l'interessato
"impugna" la decisione che lo danneggia (magari illegittimamente resa
dal capo provvisoriamente esecutiva ) trascorrono molti mesi o anni
prima che il CSM possa decidere e la decisione arriva quando l'atto
impugnato ha maturato effetti in genere irreversibili con la
conseguente convinzione nei magistrati dell'ufficio interessato di non
avere alcuna effettiva tutela e che l'unica via per evitare danni sia
quella "preventiva" di conformarsi a direttive e regole imposte da chi
dirige. A mero titolo di esempio, si potrebbe prevedere che
l'approvazione delle tabelle sia effettuata dai Consigli Giudiziari e
che (di ufficio o su richiesta di anche un solo magistrato) il CG possa
rimettere singole questioni al CSM se lo decide anche una minoranza
qualificata (es. un terzo dei componenti).

Deve,
inoltre, proseguire il lavoro sulla riforma delle valutazioni di
professionalità ( incentrate non solo sulla quantità ma anche sulla
qualità del lavoro giurisdizionale). Non dovremmo accettare alcuna
proposta di valutazione della professionalità che abbia come
prevedibile esito tassi di valutazione positiva dell'ordine del 99%.
Si tratterebbe fatalmente di proposte poco serie. Parimenti occorre
avviare una campagna per la reintroduzione di strumenti di controllo
affini a quelli dell'abrogato art. 2.

Si
deve, poi, proseguire nella strada della maggiore valorizzazione del
lavoro giurisdizionale rispetto a quello lontano dalle aule di
giustizia. Tra i magistrati si è diffusa la convinzione che per avere
gli incarichi più qualificati sia preferibile lavorare "fuori ruolo" o,
al più, come addetto al massimario della Cassazione. Non sarebbe giusto
disconoscere l'importanza, anche formativa, di molti incarichi fuori
ruolo e certamente MD non può che riconoscere la necessità che, anche
mediante questo strumento, si favorisca l'apertura della magistratura.
Tuttavia è vistosa la deriva che ha portato a concepire determinati
incarichi fuori ruolo come strumento privilegiato di carriere "in
vitro", deriva che contribuisce al più generale e preoccupante fenomeno
di una "fuga dalla giurisdizione di merito". Occorrono, su questo
terreno, scelte limpide e leggibili in modo inequivoco, onde evitare la
percezione, sempre più diffusa, di una indebita assimilazione con le
pratiche deteriori di altri gruppi. Se Magistratura Democratica crede
nella giurisdizione, deve impegnarsi con i fatti e con le decisioni concrete
a convincere i magistrati dell'importanza del lavoro giudiziario, della
giurisprudenza e della attività giurisdizionale "di tutti i giorni".

Negli uffici, è poi necessario promuovere forme di autogoverno dal basso,
fondate su riunioni di ufficio, organizzative come di dibattito
giurisprudenziale, nelle quali vi possa essere un confronto critico ed
informato tra i colleghi; la periodica organizzazione di assemblee con
la partecipazione dei consiglieri del CSM ed i componenti dei Consigli
Giudiziari è, poi, uno strumento utile per realizzare un contatto tra i
magistrati ed i nostri rappresentanti negli organi di autogoverno.

Un ulteriore problema è quello della mobilità interna,
con particolare riferimento ai grandi uffici . Si tratta anche qui di
migliorare le regole consiliari su un punto che ha a che fare con le
aspirazioni professionali e le prospettive di qualificazione e
specializzazione dei singoli. La situazione attuale crea ambiti di
arbitrio per i Dirigenti, e l'arbitrio è il fertile terreno su cui
nascono i favori al posto dei diritti , oltre che le
inefficienze, se il Dirigente non è all'altezza. E' poi necessario,
soprattutto a tutela degli uditori arrivati alla prima sede, prevedere
che l'anzianità di ruolo o peggio ancora nell'ufficio non possa essere
fonte di iniqua distribuzione dei carichi di lavoro, di iniqua
organizzazione dei turni esterni nelle Procure o negli uffici GIP-GUP,
di iniqua e squilibrata organizzazione delle Tabelle feriali prevedendo
sanzioni di carriera per il Dirigente che non si adegui a tali
principi.

Un profilo di estrema importanza è quello della organizzazione degli uffici.

Si
tratta di un punto assai delicato. In modo del tutto incoerente, al
continuo incremento dei procedimenti, penali e civili, ha fatto da
contrappunto una drastica riduzione delle risorse che ha colpito mezzi
e personale. Tuttavia la sacrosanta richiesta di ottenere risorse
adeguate deve essere accompagnata dalla serrata denunzia delle carenze
organizzative: come cittadini, prima ancora che come magistrati, non
possiamo accettare che risorse preziose e comunque pubbliche vengano
convogliate in contesti talmente disorganizzati da render vano
qualsiasi investimento. Nessun progetto di rilancio della
giurisdizione può fare a meno di adeguati investimenti economici, ma le
risorse di per sé non miglirano la qualità del servizio. Occorre
quindi aprire una vertenza con il governo perché vi sia un'appropriata
politica della spesa, accompagnata sia da un intervento sulle
circoscrizioni e sulla dimensione degli uffici giudiziari, sia da
verifiche effettive sull'utilizzo delle risorse, sulla qualità della
direzione degli uffici e sulla formazione del personale. Gli uffici
devono essere dimensionati in modo tale da avere una reale autonomia di
funzionamento, devono essere forniti di adeguate tecnologie
informatiche e di presidi statistici che consentano una effettiva
conoscenza dell‘andamento del servizio in ogni sua articolazione.

Si
deve richiedere al Governo di mantenere l'impegno di realizzazione
dell'"Ufficio per il processo", che non comporti un semplice
cambiamento di etichette ma la previsione di una struttura che accanto
alle attività amministrative, di gestione del fascicolo e di rapporti
con il pubblico, curi l'attività di aggiornamento della base
informativa e documentale, la ricerca dottrinale e giurisprudenziale e la predisposizione dei provvedimenti.

Questo impegno deve essere accompagnato dalla
riqualificazione del personale amministrativo, dalla predisposizione
degli strumenti per il Processo Civile Telematico, dalla introduzione
di specifiche figure professionali di supporto all'attività organizzativa e decisoria del giudice.

Si
tratta di un presupposto necessario per poter realizzare in maniera
diffusa quel processo di ripensamento ed auto organizzazione del lavoro
giudiziario che è iniziato in alcune realtà e che costituisce uno
strumento prezioso di crescita individuale e collettiva. Le cosiddette
"prassi virtuose" hanno fatto crescere interi settori della
giurisdizione, con confronti e contrapposizioni anche aspre, ma
coinvolgendo tanti magistrati in un rapporto dialettico ed in una
riflessione comune che ha dato a molti il senso di un lavoro
collettivo, aiutandoli a superare l'isolamento e rendendo meno gravosa
e più stimolante l'esperienza individuale.

La
individuazione di luoghi anche telematici di incontro con i colleghi e
con gli operatori esterni (in primo luogo avvocati e personale di
cancelleria) deve essere perseguito come strumento essenziale per
realizzare un confronto di esperienze ed il formarsi di una
giurisprudenza avanzata ed attenta ai valori ed ai principi
costituzionali.

Sotto
questo profilo l'esperienza degli Osservatori sulla giustizia civile (
che ormai sono presenti in 20 sedi giudiziarie tra le quali Roma,
Milano, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari, Palermo) e degli Osservatori
sulla giustizia penale, alla quale Magistratura Democratica ha
contribuito in modo determinante, costituisce un esempio di come si
possano concordemente perseguire obiettivi di buona organizzazione
"mettendosi insieme attorno a un tavolo" ed individuando regole
concordate

di condotta e di buona amministrazione della giustizia.

La
realizzazione del programma di Magistratura Democratica passa
necessariamente attraverso la riorganizzazione delle strutture
dirigenti, In questi anni l'attività di Magistratura Democratica si è
svolta su molti piani. Vi è stata sicuramente una difficoltà di
presenza attiva in molte sezioni, anche di sedi importanti, legata ad
una scarsa partecipazione di colleghi o a situazioni locali
contingenti. Vi è stato qualche problema anche nell'attività
dell'esecutivo che ha comportato un sovraccarico, ingiustificato e
difficilmente sostenibile, di impegni e di ruoli per il segretario
generale ed una scarsa attività di alcuni componenti. I compiti che il
prossimo esecutivo si troverà ad affrontare richiedono la formazione di
una compagine che sia espressione delle diverse sensibilità del gruppo
ma che abbia soprattutto la capacità di lavorare collettivamente. E'
necessario che, intorno al segretario, l'organizzazione del comitato
esecutivo preveda l'attribuzione a ciascuno di compiti (e
responsabilità) specifiche, che vi siano componenti incaricati di
curare i rapporti con la stampa ed i media, con la politica e le
istituzioni, con le sezioni ed in particolare con quelle meridionali,
con il Consiglio Superiore e l'Associazione Nazionale Magistrati, con i
gruppi di lavoro. Solo in questo modo si potrà perseguire una modalità
di lavoro che consenta a tutti, donne e uomini, di contribuire con pari
dignità e pari opportunità alla vita ed alla elaborazione di
Magistratura Democratica, quello "strano animale", costituito da gruppo
di magistrati che orgogliosamente e testardamente da quaranta anni
persegue il progetto di una giurisdizione che realizzi realmente i
diritti e le esigenze di giustizia della società civile.

17 07 2007
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