Intervento di Vito d'Ambrosio


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di Vito D'Ambrosio

Carissimo Juanito, carissime/i colleghe e colleghi di MD,

approfitto volentieri della vostra cortesia politica ed accetto con molto piacere l' invito ad intervenire nei vostri lavori congressuali.

Vorrei iniziare questa mia piccola riflessione -la chiamerei piuttosto una raccolta di note a piè di pagina- facendovi i complimenti per il titolo che avete dato al congresso. Un titolo impegnativo, che credo ponga due obiettivi fondamentali all'impegno dei giudici, ma anche all'azione della politica. E sul punto tornerò più avanti.

Ma una riflessione sui temi del congresso deve partire da una proiezione del presente sul futuro, dalla costruzione di uno "scenario", come si usa dire.

E lo scenario del nostro futuro non è facile da disegnare. Finita la contrapposizione frontale tra la grande maggioranza della magistratura, non la totalità -perché non possiamo dimenticare che dietro le più preoccupanti iniziative ministeriali c'erano l'impegno e la collaborazione di magistrati, alcuni dei quali sono rimasti negli uffici di via Arenula nelle stesse posizioni di allora- e una maggioranza politica supinamente appiattita sulle più sguaiate posizioni anti magistratura del governo di centro destra, non assisteremo, temo, ad un trionfale lieto fine da film western, perché i nostri fanno una grande fatica ad arrivare, e perché non tutti i nostri possono essere iscritti nella categoria dei buoni.

Staremo perciò a vedere che destino avranno i propositi espressi a più riprese dal Ministro per la giustizia, nonché come e quando arriveranno all'approvazione parlamentare i progetti del Ministero in materia di ordinamento giudiziario: la partenza è abbastanza apprezzabile, ma non vorremmo essere ancora una volta delusi ( e il discorso investe anche gli spinosi e non più rinviabili aspetti della questione economico-retributiva).

Ma neppure tutti i nostri-nostri, cioè i colleghi, per dirla chiara, possono essere ricompresi tra gli innocenti.

Qui non voglio parlare dei pochi, per fortuna, "collaborazionisti" aperti, e neppure dei parecchi convinti seguaci del detto "tieni a posto le carte, e fregatene del resto", ma anche di quelli che hanno preferito e preferiscono dedicarsi alla cura del loro "particulare", spesso opponendo una resistenza sorda, ma terribilmente efficace, a tutto quello che può alterare il loro tranquillo tran-tran professionale, astutamente coperto dalla nobile bandiera della indipendenza e dell'autonomia, ma sostanzialmente immerso nella totale irresponsabilità.

Restano, ultimi ma non per importanza, i casi di quelli che si sono intiepiditi progressivamente verso i nostri tradizionali strumenti di "azione e presenza politica", cioè il circuito del governo autonomo e l'ambito dell'impegno associativo (vedi il risultato complessivo elettorale e il calo dei votanti alle ultime elezioni del CSM, nonché il crescere di una disaffezione miope e rabbiosa, ma da non demonizzare né trascurare, che ha portato alla Assemblea straordinaria del 26 novembre 2006, e che continua a serpeggiare nella nostre mailing list, con toni da sindacalismo quasi autonomo).

Su questo dobbiamo riflettere, con questo dobbiamo misurarci, specialmente adesso che il "nemico" non è più alle porte, e quindi possiamo tornare a ragionare senza l'assillo dell'emergenza.

Su questo vorrei fornire qualche spunto, da "vecchio" magistrato - quest'anno è il quarantesimo di toga per me- , che avendo avuto molto non ha più nulla da chiedere, e pensa di poter/dover portare il contributo di una ottica non soltanto autoreferenziale -dieci anni fuori ruolo al vertice di una giunta regionale mi hanno fatto conoscere prospettive assai diverse- ma nemmeno solo esterna -il mio primo intervento ad una assemblea dell'ANM risale al 1972,e da allora non ho mai smesso di occuparmi,oltre che di processi, anche di "politica della giustizia" in ambito associativo- così che, spero, nessuno potrà avere dubbi su mie eventuali riserve mentali.

La mia prima convinzione, ferreamente rafforzata dall'esperienza "esterna" è che l' indipendenza e l'autonomia della magistratura non soltanto sono valori strumentali, da finalizzare a determinati risultati, ma vengono percepiti fortemente come tali da tutti quelli, e sono la grande maggioranza dei cittadini, che non vogliono un giudice "soltanto" indipendente e autonomo, ma soprattutto un giudice -e un p.m.- che "serva", che cioè risolva i loro problemi con decisioni decenti, abbastanza prevedibili, ed emesse in tempi ragionevoli. Se poi questo giudice non si sente un padreterno, svincolato da ogni controllo, ma si comporta con sufficiente cortesia ed attenzione verso gli avvocati, i collaboratori, le parti, e i testimoni, siamo vicini al modello ideale per, ripeto, la grande maggioranza dei cittadini.

Può darsi che questa sia una visione "piccola", anzi minimalista, da"svolazzatori raso terra" per chi preferisce "volare alto", ma credo che da questo dobbiamo partire, se vogliamo
a) svolgere il compito affidatoci dalla nostra Costituzione
b) dare il nostro contributo al rafforzamento della democrazia e
c) crearci una robusta rete di alleanze, alla quale rivolgerci per una tutela solida e soprattutto non strumentale dei nostri interessi non (solo) corporativi.

Partendo da questo approccio, come possiamo/dobbiamo sviluppare la nostra azione, da singoli e da associati? Su quali rotte nuove avviare i "messaggi nella bottiglia" rappresentati dai nostri programmi? Come, dove e con chi progettare traiettorie diverse, che, ardite o meno, comunque servano a farci evitare gli ostacoli e raggiungere gli obiettivi?

Se pretendessi di fornire risposte nel vostro congresso sarei non solo scortese, ma anche scioccamente presuntuoso, perché una risposta alle domande appena poste non è facile, e probabilmente le risposte vanno cercate più sul piano del metodo che su quello del merito. Provo comunque ad accennare alcuni temi di riflessione.

Il primo porta ad una scelta secca tra raggiungimento di obiettivi e ricerca del consenso: le due cose non sono necessariamente e sempre incompatibili, ma spesso si presentano fortemente divaricate. In quei casi bisogna avere il coraggio di imboccare una strada, ricordando che ,qualche volta, la più impervia alla fine si dimostra quella giusta. Si tratterà, allora, di avere la pazienza di spiegare i motivi della scelta, di aspettare che i nostri interlocutori decidano di essere nostri compagni di viaggio, di -per usare termini alla moda- farla diventare "scelta dal basso" e non "imporla dall'alto". Una scelta condivisa e compresa porta (spesso) consenso, purché sia limpida anche nelle sue finalità.

Identico metodo andrebbe seguito nella strategia delle alleanze. E qui non penso più all'alleanza cardine, tra, semplificando al massimo, "magistratura responsabile" e "pubblica opinione democratica", della quale ho fatto già cenno. Adesso mi riferisco all' alleanza, dentro la magistratura, tra "magistrati responsabili", i quali, in estrema sintesi, siano convinti che rendere giustizia debba diventare un "servizio pubblico", un paragrafo fondamentale del patto di cittadinanza sul quale si fonda la nostra democrazia.

Anche qui, pazienza e saggezza. La saggezza di capire che i fatti valgono più delle parole, specie di quelle scritte sui programmi politici, e la pazienza di sceglierci i compagni di strada che vanno effettivamente nella nostra stessa direzione, non che dicono soltanto di farlo. La saggezza di non limitare la scelta soltanto ai "gruppi organizzati" ma di allargarla anche a tutti i "turisti disorganizzati" e perfino ai "turisti per caso" ; viaggiare fuori dai gruppi ci sottrae da regole troppo rigide, ma viaggiare nei gruppi ci fa fare più strada, con maggiore sicurezza (verità ovvia e non facile, da illustrare con tenacia in questi momenti di deriva anticorrentizia, che non si può solo squalificare come demagogica) .E la pazienza di ascoltare tutti sulla strada migliore da fare per raggiungere la meta, strada scelta in modo chiaro e condiviso, respingendo nettamente, fin dall'inizio, la tentazione di ricorrere a scorciatoie (spero che la metafora turistica sia chiara).

Non so se, e quanto, queste mie noterelle possano servire anche come contributo sul tema, molto delicato, del risultato elettorale non positivo di MD alle recenti elezioni del CSM. Qui davvero non mi azzardo ad entrare, non soltanto per correttezza ma anche per scarsa conoscenza dei molteplici profili del problema. Vorrei semplicemente osservare che le numerose diagnosi, tutte lucide ed appassionate, lette sulla vostra lista, mi sembrano non alternative, ma piuttosto in gran parte complementari, e quindi spetterà alla capacità di lettura complessiva di chi ne avrà la responsabilità di giungere ad una sintesi utile.

Sempre sul piano del metodo, ma stavolta entrando più nel merito, nel merito specifico di MD, non sarà facile trovare le coordinate di un'azione, di un modo di essere della magistratura che respinga il tentativo di appiattirla su interpretazioni burocratiche del ruolo, ma resista alla tentazione di costruire un giudice demiurgo, che non si limiti solo ad interpretare il diritto, ampliandone i limiti all'estremo, ma lo crei anche. Il tema è particolarmente delicato, in questa sede, ed io entro in punta di piedi, per far notare che, comunque,

* la legge viene prima del giudice;
* la legge buona si applica (per fortuna) anche fuori delle aule giudiziarie;
* anche la bella e ricca relazione introduttiva di Juanito -che ho avuto la fortuna di conoscere ed apprezzare al mio ritorno in toga, e che mi piace annoverare tra i miei non molti veri amici - auspica più volte un intervento del legislatore per porre rimedio a lacune dell'ordinamento non ovviabili solo per via interpretativa (cosa ben diversa dalla tesi molto discutibile, recentemente adottata in un caso famoso, della impossibilità di intervento in ipotesi di riconoscimento di diritti, senza previsione di loro azionabilità) .

La strada da fare è lunga, come si vede.

Ma non tocca soltanto ad MD incamminarsi.

Tutti quelli che, dentro e fuori la magistratura, si preoccupano della pessima condizione del "servizio pubblico" giustizia, debbono assumersi la loro parte di responsabilità, per il degrado del passato e per il progetto del futuro.

Una speranza forte, infine, per chi, come me, pur con una chiara appartenenza, non parla a nome di nessuno, ma si illude di interpretare alcune convinzioni diffuse nel panorama variegato dello schieramento progressista, dentro e fuori della magistratura.

La speranza è che MD viva e costruisca questo suo difficile congresso come momento significativo di recupero e rafforzamento della sua identità.

Solo chi ha coordinate sicure di riferimento può mettersi in gioco "per il bene della causa", sicuro che non farà confusione tra mezzi e fini, saprà distinguere l'adattamento necessario dallo snaturamento inaccettabile e riuscirà a partecipare pienamente ad una alleanza leale tra soggetti di pari dignità.

Buon lavoro a tutti voi, e arrivederci a molto presto.

Vito D'Ambrosio

17 07 2007
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