di Marisa Acagnino
E' difficile essere magistrati in Sicilia!
Io ho sempre fatto il magistrato in quella regione e, confrontandomi con colleghi di tutte le parti d'Italia, posso dire che si tratta di una realtà assolutamente unica, sebbene ricca di sfaccettature.
La Sicilia è l'unica regione in cui ci sono ben quattro distretti di corte d'appello ed una miriade di Tribunali, grandi e piccoli, ma molti Tribunali ed almeno una corte d'appello, quella di Caltanissetta, sono uffici quasi interamente coperti da magistrati pendolari che stanno in ufficio il meno possibile, concentrando le udienze in pochi giorni al mese e svolgendo il resto della loro attività a casa in un'altra città.
La scelta improvvida di mantenere in vita piccoli uffici, spesso solo per ragioni campanilistiche, comporta l'evanescenza del rapporto dei magistrati con le sedi di lavoro ed incide sull'esercizio della funzione giurisdizionale.
Anzi si è deciso, anche recentemente, di istituire nuovi tribunali, con l'illusione che questo possa essere un presidio dello Stato contro la criminalità organizzata: niente di pi falso, sono solo operazioni demagogiche se non accompagnate da investimenti in strutture e servizi che servano da volano all'economia e all'occupazione.
Anzi, la realtà dei piccoli tribunali periferici e mal collegati con le sedi pi grandi (n Gela n Barcellona, ad esempio, sono servite da autostrade e, tanto meno, da un efficiente servizio ferroviario, da sempre carente in tutta l'isola) rende impossibile il confronto con i colleghi pi anziani e impedisce, così, ai giovani magistrati di scegliere dei modelli di riferimento, con il rischio di rimanere coinvolti in una progressiva burocratizzazione della magistratura, di essere sempre pi intimiditi e meno motivati, anche prima della riforma dell'ordinamento giudiziario.
Non sono da trascurare gli effetti perversi che il prolungamento dell'età pensionabile ha avuto sulla gestione di questi uffici spesso diretti, con criteri poco trasparenti, da magistrati molto anziani che non si danno la pena di applicare le circolari del C.S.M. e che non trovano alcun limite al loro potere, data l'inesperienza dei colleghi che compongono l'ufficio.
Ed è proprio la realtà dei pi giovani magistrati quella che è drammatica in Sicilia.
Da diversi anni ormai, le sedi siciliane vengono coperte prevalentemente con uditori giudiziari, spesso provenienti da altre regioni e che vivono la loro destinazione in Sicilia come una sorta di deportazione, che deve durare il meno possibile per tornare nei luoghi d'origine.
Molti, naturalmente, si impegnano lo stesso al massimo nel loro lavoro, ma è inevitabile che la prospettiva di andarsene presto incida sull'esercizio della funzione giurisdizionale, sul programma di lavoro futuro, sulla voglia di investire nella migliore organizzazione delle funzioni.
Tranne i pochi "protetti", che riescono ad ottenere assegnazioni a vario titolo al Ministero della Giustizia, la maggior parte resta quindi in attesa di un trasferimento che, negli ultimi anni, è diventato sempre pi difficile.
Ed è stata destabilizzante in proposito la riforma che ha eliminato la possibilità, per coloro che hanno prestato servizio in sedi disagiate, di essere preferiti ad altri, dopo un periodo minimo di permanenza. La cd. prescelta, anche indipendentemente dalle interpretazioni estensive che ne sono state date, aveva assicurato in questi anni agli uffici periferici un minimo di stabilità, dando ai colleghi un po' di tranquillità con riguardo al proprio futuro, che consentiva loro di impegnarsi nella programmazione del lavoro per un certo numero di anni, con vantaggi per l'efficienza del servizio.
Ma, come spesso accade, senza che ciò fosse preceduto da una consultazione della categoria interessata alla modifica e senza un'apparente ragione, la prescelta è stata eliminata rendendo non solo sempre meno appetibile la scelta di coloro che ricoprono gli uffici pi difficili, ma abbreviando ulteriormente i tempi di permanenza degli uditori in tali sedi, con gli evidenti conseguenti disagi.
Va osservato, fra l'altro, che i posti di magistrato distrettuale, non assegnati giustamente agli uditori, in Sicilia non vengono mai coperti, in quanto nessuno è disposto a svolgere un lavoro di supplenza quando, nella stessa sede, si può lavorare con un ruolo ordinario, che consente sia una maggiore gratificazione che un servizio pi efficiente.
Pertanto la condizione degli uditori in Sicilia si prospetta sempre pi difficile; spesso sono assegnati a piccoli tribunali, dove le occasioni d'incontro con i colleghi sono scarse, dove è difficile, se non pericoloso, intrattenere rapporti sociali per non apparire legati a soggetti che potrebbero essere parti nei processi o addirittura in odore di mafia. Ciò comporta anche la difficoltà di conoscere la realtà che si dovrà giudicare, se non attraverso il filtro astratto degli incartamenti processuali: è veramente troppo poco!
A ciò si aggiunga, in questa fase d'incertezza sulla disciplina dell'ordinamento giudiziario, la necessità per gli uditori di fare i conti con la prospettiva della separazione delle carriere e la difficoltà quindi di scegliere la sede. Molti saranno spinti probabilmente a scegliere funzioni giudicanti, soprattutto per i timori di gerarchizzazione degli uffici e di separazione dalla giurisdizione, anche se lontane dal luogo in cui vivono.
Non si può omettere un riferimento all'esplosiva situazione degli uffici messinesi.
Messina, fino a pochi anni fa assolutamente marginale, soprattutto sotto il profilo economico, si è scoperta essere importante crocevia delle cosche mafiose siciliane e calabresi, e, purtroppo, di fronte all'emergenza criminalità, la magistratura non si è trovata tutta schierata dalla parte dello Stato. Alcuni magistrati sono stati indagati, anche sottoposti a misure cautelari, e ciò la dice lunga, indipendentemente dagli accertamenti di responsabilità penali, sul sistema di connivenze e collusioni che, ancora oggi, lega il potere legale a quello mafioso.
A tale proposito faccio un appello: se chiediamo giustamente rigore ai partiti politici nello scegliere i candidati, a maggior ragione, per la delicatezza e l'importanza delle funzioni che svolgiamo, dobbiamo pretendere ancora maggior rigore dall'organo di autogoverno nel censurare le condotte di contiguità dei magistrati con la mafia.
Per finire voglio richiamare il problema delle condizioni di lavoro e della sicurezza soprattutto dei magistrati destinati a funzioni che li espongono alle aggressioni della mafia.
A Palermo e a Caltanissetta le auto di servizio sono insufficienti e inadeguate, a Catania i magistrati della D.D.A sono costretti ad anticipare i soldi della benzina, a Messina i gip lavorano negli scantinati, in compagnia dei topi (ma forse è proprio quello il luogo in cui si vuole confinare la giustizia, perch nessuno la veda).
Solo per una fortunata coincidenza, non dovuta alle misure adottate dallo Stato, non abbiamo dovuto piangere l'ennesima vittima di attentati mafiosi e Ottavio Sferlazza può ancora oggi continuare a svolgere, col coraggio e l'abnegazione di sempre, il suo lavoro di giudice a Caltanissetta.
Cosa ci resta da dire? Viviamo e amministriamo giustizia in uno Stato in cui il ricordo delle stragi di Palermo si va affievolendo, per consentire alla mafia di oggi di acquisire un volto pi mite, in qualche modo accettabile, se la violenza viene mantenuta entro certi limiti.
E' il volto dell'imprenditoria mafiosa, apparentemente pulito che risponde all'esigenza di riciclare denaro sporco e conservarlo a vantaggio di malavitosi, incidendo, con metodi e risorse illegali, sulla libera concorrenza e danneggiando così l'intera economia.
A cosa è servito il sacrificio di uomini come Falcone, Borsellino, Livatino, Saetta, per citarne solo alcuni? a inaugurare lapidi e monumenti che qualcuno ormai non si vergogna d'imbrattare?
Voglio rispondere di no, che ancora oggi ci sono magistrati giovani e meno giovani che credono nella giustizia e che sono convinti che, anche in terra di mafia, si possa e si debba lavorare per garantire i diritti di tutti, in modo eguale.