del presidente Franco Ippolito
1. La democrazia non gode di buona salute, n in Italia, n in Europa e tanto meno nel resto mondo. E' il "paradosso del terzo millennio", che vede insieme l'espansione territoriale della democrazia e la sua contemporanea crisi sostanziale (Y. Mny).
Se non si sottilizza troppo sulla corrispondenza tra realtà e apparenza, il numero dei paesi democratici è aumentato nell'ultimo decennio. Ma se si analizza la qualità della democrazia e si assume come parametro di misura la capacità delle istituzioni e delle società democratiche di assicurare libertà e uguaglianza, e cioè di promuovere e garantire i diritti della persona, si costata che in molti paesi le cd. nuove democrazie sono soltanto una facciata e che nei paesi di pi antica democrazia sono in atto processi e dinamiche allarmanti, che incidono pesantemente sul nesso democrazia/diritti e sulla stessa effettività dei diritti (cfr. i pi recenti rapporti di Amnesty International e dell'UNDP).
Si deturpa e si snatura ogni idea di democrazia quando si teorizza e si pratica l'esportazione della democrazia con la guerra, e quando si usa il fosforo bianco contro i "combattenti nemici" (ritenendosi legittimati dalla mancata sottoscrizione del protocollo della Convenzione di Ginevra), e quando si praticano le torture per estorcere informazioni ai prigionieri o agli arrestati.
Per cogliere la crisi della democrazia è sufficiente considerare quanto è successo negli USA dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre 2001, dalle allarmanti previsioni del Patriot Act alle ordinanze presidenziali sui detenuti senza diritti e senza processo di Guantanamo ed al largo consenso popolare che ha accompagnato tali provvedimenti e che solo ora comincia finalmente a incrinarsi.
O quanto sta accadendo in Gran Bretagna, dove è vero che il Parlamento ha bocciato la proposta di Blair (che pretendeva di dare alla polizia il potere di fermare i sospettati fino a 90 giorni), ma il fermo immotivato -senza avvocati e senza giudice, in clamoroso contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo- è stato esteso da 14 a 28 giorni, senza significative reazioni da parte dell'opinione pubblica inglese o europea.
O quanto emerge dalle drammatiche rivolte delle periferie in Francia, che mette in discussione non soltanto modelli istituzionali (presunti o effettivi) di integrazione e di pari dignità delle persone, ma anche relazioni sociali e culturali tra cittadini di diversa provenienza etnica.
Per quanto riguarda la situazione in Italia, solo per fare qualche esempio, giustamente ci s'indigna che, con la legge cd "salvapreviti", si voleva creare l'ennesimo trattamento di favore per un imputato eccellente, ma si sottovaluta (o addirittura si condivide, anche nel centro sinistra) l'intollerabile classismo della stessa legge che, discriminando gli imputati e i condannati, mentre appresta trattamenti benevoli per chi ha la capacità di difendersi dal e nel processo, e realizza la "tolleranza zero" per gli autori di reati di strada, destinati sempre pi a riempire le galere, senza considerare che la situazione carceraria sta raggiungendo livelli di guardia (fra non molto avremo 70.000 detenuti!). Così come si copre con un velo di imbarazzato e vergognoso silenzio la consegna degli immigrati clandestini alla Libia senza alcuna seria e credibile garanzia di trattamento e destinazione.
2. Tutto questo c'entra molto con l'Europa-che-vogliamo: un'Europa non soltanto luogo di diritti e di pace, spazio effettivo di libertà-giustizia-sicurezza per i cittadini europei e per chiunque vi risieda, ma anche un'Europa capace essere un autorevole punto di riferimento mondiale per contrastare le derive imperiali che stanno mettendo a repentaglio la pace e il diritto intenzionale che si è sviluppato dopo la seconda guerra mondiale.
Il clima che oggi circola per il mondo e per i 25 paesi dell'UE non appare propizio alla realizzazione iniezioni di vitalità democratica, e tuttavia emergono spinte forti dal basso che vanno valorizzate e utilizzate.
Lo straordinario successo delle "primarie" del centrosinistra testimonia che la situazione è complessa e ambivalente: da un lato, vi è un netto calo dell'attenzione pubblica ai diritti delle persone, soprattutto dei pi deboli ed emarginati (sembrano lontanissimi i giorni della manifestazioni romana per i diritti, a cui parteciparono milioni di cittadini); dall'altro, è molto forte la domanda di partecipazione che può rivitalizzare le istituzioni e la dinamica democratica, che può (come ha scritto A. Manzella) democratizzare la democrazia.
Democratizzare l'Europa, sottrarla il pi possibile all'ipoteca tecnocratica e a quella intergovernativa, attribuendo maggiori poteri al Parlamento europeo e coinvolgendo maggiormente i cittadini e le loro organizzazioni e associazioni, è una delle linee portanti di chi non si rassegna alla situazione di stallo determinata dall'esito referendario in Francia e in Olanda.
Ma abbiamo imparato che il coinvolgimento dei cittadini, la spinta dal basso, non basta a determinare una democrazia di qualità, una democrazia attenta ai bisogni e alle esigenze delle persone, anche di quanti sono estranei alle maggioranze (sociali, culturali, religiose..), tanto pi oggi, in cui tra consenso e regole e principi emergono tensioni anche forti.
Ricordando la distinzione tra democrazia e pluralismo, N. Bobbio sottolineava che "la democrazia di uno stato moderno non può che essere la democrazia pluralistica": non basta cioè la pur indispensabile legittimazione del potere dal basso, soprattutto quando, come nella fase che oggi vivono i paesi occidentali, il rischio maggiore non è costituito tanto dal prevalere di istanze antidemocratiche, quanto dal diffondersi di spinte antipluralistiche e maggioritarie, spinte di esclusione.
Questo significa che non ci può bastare un'Europa democratica, è necessaria un'Europa costituzionale.
Per un'Europa spazio effettivo di libertà sicurezza e giustizia, luogo dei diritti umani, fattore di pace nel mondo, è urgente e necessaria la Costituzione, intesa come insieme di principi e di regole per limitare ogni potere, anche quello delle maggioranze, la Costituzione nel senso descritto e prescritto dell'art. 16 della Costituzione del 1791, che statuisca cioè separazione dei poteri e previsione dei diritti.
3. E' questo l'obiettivo. Allo stato, è difficile prevedere quando sarà possibile rimettere in moto il processo per una vera Costituzione europea. Non sarà comunque un percorso breve n facile e richiederà l'impegno deciso e convinto di grandi forze culturali, politiche e sindacali di dimensione europea.
Nell'attuale situazione di stallo e di arretramento prodotto dall'esito referendario francese e olandese, appare conveniente proporsi scadenze graduali e successive, individuando come prima tappa da cui ricominciare quella che oggi appare pi urgente, quasi un presupposto per dare nuovo inizio e rinnovata spinta al processo europeo: l'assegnazione del pieno valore giuridico alla Carta dei diritti fondamentali.
Sulle luci e sulle ombre e limiti della Carta di Nizza, di cui la valutazione complessivamente positiva s'impone a chiunque non abbia gli occhi offuscati dal pregiudizio, mi limito a rinviare a quanto ha scritto Stefano Rodotà, così come su quanto con la Carta (pur senza formale assegnazione di vigore giuridico) si è fatto e si può fare da parte dei giuristi rinvio alle analisi di Giuseppe Bronzini.
Mi preme sottolineare che, per governare la globalizzazione e per contrastare il predominio del mercato e dei mercanti, è certamente necessario superare l'ormai angusta e inadeguata dimensione nazionale, ma ciò ha un senso a condizione che la dimensione sopranazionale abbia la stessa attenzione per la dignità e i diritti degli individui che hanno avute le Costituzioni nazionali, ciò che può essere formalmente sancito dal riconoscimento esplicito e formalizzato del valore giuridico della Carta da parte dei membri dell'Unione.
Quello del formale riconoscimento giuridico della Carta appare un primo obiettivo, pi agevole e raggiungibile in tempi pi veloci rispetto alla Costituzione generale. Chi ha approvato la Carta a Nizza non può decentemente tirarsi indietro; coloro che sono entrati nell'Unione successivamente avrebbero difficoltà a rifiutare il riconoscimento giuridico a quel documento, dopo che lo standard di attuazione dei diritti è stato utilizzato come parametro della loro di adesione.
Il risultato di tale riconoscimento, e gli effetti che ne deriverebbero, sarebbero immediatamente rilevanti in termini di identità dell'Europa, di diritto comunitario, di innesco di una nuova dinamica virtuosa verso una un'Europa davvero costituzionale.
Dare piena e indiscussa efficacia giuridica alla Carta significa introdurre e far pesare, nelle concrete politiche dell'Unione, la logica dei diritti per contrastare e per bilanciare la logica dei poteri, di tutti i poteri (economici, politici, sociali, giuridici e di fatto), anche di quelli democratici. Va da s che non bastano le norme, occorre anche costruire forti contropoteri (il potere si arresta con il potere, scriveva Montesquieu) e, perciò, bisognerà pensare a ristrutturazioni anche del sistema giudiziario europeo, giacch, se forse sottovaluta l'importanza della proclamazione di diritti vecchi e nuovi, Weiler certamente ha ragione nel sottolineare che per accrescere la tutela dei diritti umani nell'UE, è necessaria "la creazione di organismi e servizi volti specificamente a tutelare quei diritti sul piano operativo".
E' importante che la Carta diventi, indiscutibilmente per chiunque, il parametro di legittimità dell'azione (legislativa, amministrativa, economica) di tutti gli organi dell'UE e, in particolare, della legislazione comunitaria e delle legislazioni nazionali d'attuazione.
In tal modo, nell'attesa della introduzione e del pieno dispiegamento di controlli democratici (essenziali per incidere efficacemente nell'azione quotidiana del governo dell'Unione e dei suoi membri) controlli connessi al riequilibrio ed alla separazione dei poteri, diventerebbe intanto pi pregnante lâ€èœesercizio del controllo di legalità, un controllo alto, costituzionale, che avrebbe la sua ricaduta, diretta e indiretta, su tutto il diritto dell'Unione e degli Stati membri.
Infine, non va trascurato che, se il rispetto dei diritti è il parametro per decidere dell'ammissibilità di nuove adesioni, con il riconoscimento della Carta il livello di attuazione dei diritti in ciascun paese membro non sarebbe indifferente per tutta l'Unione: non è pi sopportabile che l'Unione metta sotto esame Erdogan e la Turchia, ma non abbia nulla da dire sul programma esposto da Blair al parlamento inglese, dopo gli attentati e le stragi del luglio scorso. E questo vale anche per le modalità sbrigative usate recentemente da Sarkozy in Francia, per l'uso delle armi della polizia spagnola contro gli immigrati che premono alla frontiera in terra africana o per l'intollerabile ipocrisia italiana di negare l'esistenza di condizioni disumane di trattamento nei CPT sol perch non ci sono denunce da parte delle vittime.
Questa prospettiva, essenziale per ogni europeo, è indispensabile per noi italiani. Senza voler cercare rifugio in Europa per non impegnarci, qui e ora, a superare le nostre specifiche difficoltà, un'Europa costituzionale costituirà il miglior ancoraggio per metterci al riparo dai rischi innescati dal processo di decostituzionalizzazione, avviato irresponsabilmente dal centro-destra con il voto del Senato del 16 novembre scorso.
Tutte le forze idealmente rappresentate in questo incontro parteciperanno di certo attivamente alla mobilitazione culturale, politica e civile, che deve iniziare immediatamente in vista del referendum: per essere culturalmente e politicamente vincenti, non bisogna solo difendere la Costituzione della Repubblica italiana, ma occorre sapere trasformare il referendum da strumento di difesa democratica in una straordinaria occasione per rilanciare la Costituzione come valore generale, come insieme di principi e di regole che limitano ogni potere, e per riaffermare i diritti della persona, "senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
Una grande e diffusa mobilitazione popolare darà nuova legittimazione a quel patto fondamentale di convivenza e di civiltà che è la nostra Costituzione e costituirà una spinta formidabile per la costruzione di un'Europa costituzionale.
(Intervento svolto al Convegno internazionale "Per un'Europa costituzionale", organizzato dalla Fondazione Basso il 18 novembre 2005 a Roma, presso la sede del Parlamento europeo)