Civinini, Marini, Menditto, SalmŽ, Salvi
Parere sulla riforma della legge fallimentare
Problematiche connesse alla legge delega per la riforma del diritto fallimentare
- Premessa. La riforma della legge fallimentare attuata
con il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35, convertito in legge 14 maggio 2005
n. 80 - Il d.l. 14.3.05 n. 35, recante "disposizioni urgenti nell'ambito del
piano di azione per lo sviluppo economico" (c.d. decreto sulla
competitività) ha introdotto modifiche al codice di procedura civile ed alla
legge fallimentare. Con la legge 14.5.05 n. 80 il Parlamento, convertito il
decreto legge, ha, inoltre, delegato il Governo ad adottare decreti
legislativi per la ulteriore modifica del codice di procedura civile (in
materia di giudizio di cassazione e di arbitrato) e della legge
fallimentare. Tale ulteriore intervento, per le radicalità dell'intervento
adottato, assume la dimensione di vera e propria riforma.In data 23 settembre 2005 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri lo schema di
decreto delegato di riforma, che sarà sottoposto alle Commissioni
parlamentari che dovranno esprimere un parere entro 30 giorni; poi il testo
ritornerà al Consiglio dei Ministri.
Ne è risultata una riforma
parziale e (per quanto sarà detto in seguito) alquanto disorganica, attuata
attraverso le disposizioni di cui all'art. 2, c. 1, del decreto legge
convertito e l'art. 1, c. 6, della legge di conversione, mediante cioè un
doppio binario consistente nella modifica diretta di sette articoli della
legge fallimentare (gli artt. 67, 70, 160, 161, 177, 180, 181) e con
l'introduzione di un nuovo articolo (l'art. 182 bis) (decreto nel testo
convertito), ed attraverso la delega contenuta alle lett. a, b, e c del c. 6
dell'art. 1 della legge.
Circa tali modalità di produzione
normativa, la legge di conversione presenta anomalie rilevanti, evidenziate
dal Comitato per la legislazione della Camera dei Deputati (parere 5.5.05),
sintetizzabili in eterogeneità di contenuto, dubbi circa i presupposti di
necessità ed urgenza riguardo, in particolare, alla delega per la riforma
fallimentare così come a quella della procedura civile, genericità delle
disposizioni di delega, combinazione dell'uso contemporaneo del decreto
legge e maxiemendamento, il tutto amplificato dal ricorso alla fiducia. In
ogni caso, la premessa da cui muove il legislatore (premessa del decreto
legge) è l'esistenza di una straordinaria necessità ed urgenza "di adottare
misure atte a rilanciare lo sviluppo economico, sociale e territoriale" ed
altresì "di dotare l'ordinamento giuridico di adeguati strumenti coerenti
con le determinazioni del Piano d'azione europeo". Le novità legislative
possono essere così sintetizzate.
Modifiche apportate alla legge fallimentare, r.d. 16 marzo
1942 n. 267, dal d.l. 35/05, nel testo risultante dalla legge di conversione
- Gli interventi diretti sulla legge fallimentare possono essere individuati
in relazione all'istituto interessato dagli interventi del legislatore.
2.1 La revocatoria fallimentare - L'art. 2, c. 1, del decreto legge
35/05 modifica a fondo l'art. 67 della legge fallimentare che ne risulta
radicalmente modificato per quanto riguarda gli atti soggetti a revoca, in
quanto: a. viene dimezzata la fase temporale del cosiddetto periodo sospetto
(che viene ridotta da due anni ad un anno nelle ipotesi di cui ai numeri 1,
2 e 3 del c. 1 dell'art. 67 e da un anno a sei mesi nelle ipotesi di cui al
numero 4, ed al c. 2 dell'art. 67); b. viene specificato il termine di
valutazione dell'eccesso di valore modificando il dato normativo
genericamente descritto nel vecchio testo dell'art. 67 con la dizione
"sorpassano notevolmente" con la dizione "sorpassano di oltre un quarto".
Per quanto riguarda gli atti non soggetti a revoca, ai casi
fotografati dalla lett. a. alla lett. g. dell'art. 67 nuova formulazione si
aggiunge quello di cui al nuovo testo dell'art. 70. Il testo di questo
articolo, nonostante la rubrica continui ad essere intitolata con dizione
atecnica agli "effetti della revocazione", riguarda un caso di esenzione
dalla revocatoria riferito all'ipotesi dei pagamenti avvenuti tramite
intermediari specializzati, ove l'intermediario finanziario specializzato è
escluso dai soggetti contro i quali è esperibile la revocatoria anche in
relazione a quanto ricevuto dal debitore per l'operazione di
intermediazione.
A prescindere dal rilievo che la formulazione
oramai amplissima dei casi di esenzione rende difficile individuare quale
sia la regola e quale sia l'eccezione, deve osservarsi che l'obiettivo
dell'accelerazione della procedura fallimentare sotteso alla riforma non
sembra si possa ritenere realizzato attraverso il drastico ridimensionamento
della portata della revocatoria fallimentare (riducendo il "periodo
sospetto" da due a un anno ed ampliando i casi di esenzione) atteso che la
fase della ricostruzione dell'attivo fallimentare non passa solo attraverso
le revocatorie.
All' esito dell'esame analitico dell'art. 67,
comunque, le ipotesi di esenzione dalla revocatoria fallimentare possono
suddividersi in cinque categorie. Una prima categoria è caratterizzata da
esenzioni previste al fine di salvaguardare le procedure di crisi quali il
concordato preventivo, l'amministrazione controllata (che il Governo è
peraltro delegato ad abrogare), l'accordo omologato ai sensi dell'art. 182
bis ed il piano attestato (si tratta delle esenzioni di cui alle lett. d.,
e., e g. dell'art. 67). La seconda riguarda disposizioni che comportano una
tutela rafforzata del settore creditizio (si tratta delle esenzioni di cui
alla lett. b. dell'art. 67 ed all'art. 70). La terza riguarda l'esenzione
dalla revocatoria dei pagamenti ricevuti da dipendenti e collaboratori per
prestazioni di lavoro (lett. f.). La quarta riguarda dei soggetti estranei
alla procedura quali coloro che hanno acquistato immobili dall'imprenditore
poi fallito, per vendite a giusto prezzo d'immobili ad uso abitativo (lett.
c.). L'ultima esenzione è quella di cui alla lett. a., che ha carattere
residuale ed è definita dall'essere il pagamento effettuato nell'esercizio
dell'attività dell'impresa nei termini d'uso.
L'esame analitico di tali
fattispecie pone in luce, da un lato, il carattere esteso delle esenzioni e
dall'altro, considerata la non eterogeneità delle classi dei creditori
interessati dalla rimodulazione della revocatoria, la creazione di una
sostanziale carenza di parità di trattamento in danno di talune categorie di
creditori derivante dalla previsione dei casi di esenzione. Va, infatti,
evidenziata la posizione di coloro che, o perch esclusi dalle esenzioni di
revocatoria o perch penalizzati da una meno ampia ricostruzione dell'attivo
fallimentare, subiranno un contraccolpo negativo dalla riforma. E' il caso
dei creditori personali dell'imprenditore fallito o delle categorie di
creditori come i professionisti o i fornitori, i quali secondo i termini
d'uso non sono pagati immediatamente, o, ancora, degli enti previdenziali e
dell'erario, che, nonostante i privilegi di legge, subiranno l'effetto
negativo di una meno ampia ricostruzione dell'attivo fallimentare.
L'esclusione dell'azione revocatoria pone in dubbio il rispetto del
principio della parità di trattamento dei creditori e solleva dubbi circa la
permanenza di una tutela dei creditori concorsuali interna al sistema, dato
che i creditori potrebbero trovare pi utile, viste le esenzioni contenute
all'art. 67, ricorrere allo strumento della revocatoria ordinaria o
procrastinare la dichiarazione del fallimento per aggredire i beni fuori
della procedura concorsuale, non ritenendosi sufficientemente garantiti
dalla procedura che pure attraverso gli strumenti recuperatori dovrebbe
assicurare la tutela della par condicio. Per evitare questo incentivo
all'azione esecutiva potrebbe non bastare l'articolo 51 l.f. (pure non
toccato dalla riforma), dato che il divieto di esecuzioni individuali ivi
previsto scatta solo dopo la dichiarazione di fallimento.
Va rilevato che il
doppio strumento utilizzato, ovvero quello del decreto legge e della legge
delega nel medesimo contenitore della legge di conversione, ha determinato
alcune contraddizioni quali la ripetizione della riduzione del termine per
esperire la revocatoria, considerato che le disposizioni relative alla
riduzione del periodo sospetto sono vigenti dal 17 marzo 2005, la delega
alla riduzione di cui all'art. 1, punto 6, numero 6 non è probabilmente
ulteriore rispetto a quella di cui all'articolo 67 novellato e deve
considerarsi, dunque, una mera ripetizione del legislatore. Essa, comunque,
di fatto contiene una delega al governo ad operare riduzioni ulteriori.
La revocatoria è, inoltre, destinata a subire ulteriori limitazioni
per effetto del principio delega di cui al n. 5, lett. a., c. 6 dell'art. 1
relativo all'effettivo destinatario della prestazione, ma una disposizione
in tal senso è già contenuta all'art. 2, n.1 lett. b).
Il c. 2
dell'art. 70, inserito dall'art. 2, c. 1, lett. b. del d.l. 35/2005
costituisce ulteriore anomalia, poich la disposizione presenta contenuto
identico a quello di cui all'art. 71, non modificato.
I casi di
esenzione dalla revocatoria di cui alle lett. e. e g. dell'art. 67 novellato
contengono il richiamo ad atti, pagamenti e garanzie posti in essere in
esecuzione dell'amministrazione controllata quando nella medesima legge di
conversione, al punto 14 lett. a, è conferita la delega al Governo per
l'abrogazione di tale procedura. Riguardo alla riforma della
revocatoria fallimentare va evidenziato che ulteriore contraddizione del
sistema è costituita dal fatto che l'istituto della revocatoria ordinaria
permane inalterato e, secondo giurisprudenza e dottrina sul punto costanti,
la dichiarazione di fallimento non impedisce al curatore di esperire
l'azione revocatoria ordinaria, così che in considerazione delle esenzioni
potrebbe ritenersi conveniente esperire l'azione revocatoria ordinaria .
2.2 Il concordato preventivo - Le disposizioni di cui all'art. 2
lett. d. hanno modificato gli artt. 160, 161, 163, 177 e 180, innovando
l'istituto del concordato preventivo.
La "riforma" è stata attuata
attraverso la trasformazione della procedura tradizionale da procedura
dell'insolvenza a procedura di crisi, con l'eliminazione delle condizioni
soggettive di ammissione, in primis della "meritevolezza", la
atipicizzazione della modalità attuativa della ristrutturazione e
soddisfazione dei creditori, l'eliminazione della soglia di soddisfazione
dei chirografari ed infine la drastica riduzione dei poteri del giudice in
ordine al controllo di ammissibilità e riguardo al controllo circa la
convenienza.
Il riformatore sottrae al giudice il potere di verifica
circa l'ammissibilità della domanda e rinvia alla relazione di un
professionista avente i requisiti di cui all'art. 28 l.f. (ovvero i
requisiti per la nomina a curatore) "che attesti la veridicità dei dati
aziendali e la fattibilità del piano" (art. 161, c. 3, nuovo testo). Tale
attestazione non è, peraltro, fornita di oggettiva affidabilità ed il
soggetto al quale è demandata l'attestazione si caratterizza solo per essere
professionista nel pieno possesso delle proprie capacità e non interessato,
almeno nelle forme tipiche menzionate nell'articolo 28. Egli non è titolare
di poteri certificatori, n è tenuto a particolari oneri deontologici,
espressamente sanzionati in ragione della delicatezza del compito ricoperto.
N viene introdotta alcuna norma sanzionatrice che prevenga possibili abusi
per falsità in tali attestazioni, introdotte senza alcun contrappeso in
chiave di responsabilità: il che induce a ritenere plausibile sia un
contenzioso esterno al processo concorsuale, ove alle attestazioni segua il
riscontro della loro non corrispondenza a veridicità, sia una tensione
interna alla procedura.In considerazione degli interessi coinvolti nella
procedura di concordato preventivo, il costo della procedura stessa, i
rischi di dispersione determinati dall' interruzione di tutte le procedure
esecutive (l'articolo 168 l.f. non è stato modificato), l'irrevocabilità
degli atti sancita dalle disposizioni del riformato articolo 67 lett. e. e
g., va sottolineata l'estrema delicatezza della soluzione cui giunge il
combinato disposto della normativa, ove il concordato non trova pi origine
nel giudizio di ammissibilità del tribunale (dato che il nuovo art. 163
rimette al giudice solo la verifica di "completezza e regolarità della
documentazione"), ma esclusivamente nella relazione del professionista, cui
è lasciata ogni determinazione circa la fattibilità del piano e, quindi,
circa l'ammissibilità della proposta.Sintomo pi evidente del vero e
proprio passaggio della materia dalla giurisdizione alla disponibilità delle
parti debitrice e creditrice e, del resto, la circostanza che il decreto di
apertura della procedura, per espressa previsione normativa (art. 163, c. 1,
non è soggetto a reclamo.2.3 Gli accordi di ristrutturazione - La
legge di conversione del decreto 35/05 ha introdotto nella legge
fallimentare la nuova figura degli "accordi di ristrutturazione", con il
nuovo art. 182 bis.Gli accordi di ristrutturazione si inquadrano
nell'ambito delle procedure di crisi aventi l'obiettivo del salvataggio
delle imprese, e danno luogo ad un istituto del tutto nuovo definito anche
"concordato preventivo semplificato" sul modello della prepackaged
bankruptcy americana. Secondo lo schema adottato dalla riforma, tali accordi
vanno ad inquadrarsi nello schema del concordato preventivo, della cui
proposta rappresentano un rafforzamento.L'art. 182 bis, c. 1, prevede che
assieme alla documentazione del concordato preventivo il debitore possa
depositare un accordo "di ristrutturazione dei debiti" da lui stipulato con
i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti.
L'accordo deve essere corredato da una relazione, redatta da un esperto,
sull'attualità dell'accordo stesso con particolare riferimento alla sua
"idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei crediti"..L'accordo è
soggetto a pubblicazione nel registro delle imprese ed è soggetto ad
opposizione, sulla quale il tribunale decide prima di omologare l'accordo
con decreto, a sua volta reclamabile in corte di appello. L'accordo acquista
efficacia dal giorno della sua pubblicazione. La ristrutturazione
consensuale dei debiti assume, pertanto, una connotazione pi direttamente
giurisdizionale (soprattutto nel caso di opposizioni). Tale carattere,
tuttavia, è limitato alla fase dell'omologazione e non anche a quella del
controllo dell'attuazione dell'accordo. Anche in questo istituto appare
strategica la funzione dell'esperto, al quale, nella sostanza viene affidato
un giudizio prognostico circa la rispondenza dell'accordo allo scopo sul
quale deve fondarsi soprattutto il giudizio di omologazione. Proprio per
questo va sottolineato che tale funzione del professionista avrebbe forse
meritato una strumentazione sanzionatoria per il caso di relazione non
veritiera.Dato che l'opposizione del creditore al giudice va proposta entro
il termine di trenta giorni dal deposito dell'accordo presso il registro
delle imprese (art. 182 bis, c. 2), va osservato che la disposizione
relativa al termine di decorrenza dell'opposizione si pone in contrasto con
i principi affermati dalla Corte costituzionale a tutela del diritto di
difesa in quanto il termine di opposizione dovrebbe decorrere dall'effettiva
conoscenza dell'accordo e non dalla conoscenza meramente presuntiva, quale
quella garantita dalla pubblicazione nel registro delle imprese.2.4
Il piano attestato dal professionista - Attraverso l'introduzione
dell'ipotesi di esonero dalla revocatoria di cui all'art. 67, c. 3, lett.
d., con il decreto legge 35/05 è stata introdotta un'ulteriore procedura di
crisi, consistente nella presentazione da parte del debitore di un piano
"che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria
dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione
finanziaria", sottoscritto da un esperto che attesta la ragionevolezza del
piano. Ove i pagamenti avvengano in esecuzione di tale piano è previsto
l'esonero dalla revocatoria.Nella sostanza viene introdotto un ulteriore
strumento di composizione della crisi, questa volta proveniente da atto
unilaterale del debitore in relazione al quale non è prevista alcuna
partecipazione dei creditori. L'unico momento di controllo è costituito dal
giudizio sulla revocatoria fallimentare, giudizio ovviamente eventuale in
quanto dipendente dall'esito negativo dell'accordo, ed altresì
dall'esperimento dell'azione revocatoria nonostante la generica previsione
di esenzione di cui alla lett. d). Fuori da tale ipotesi i creditori sono
esclusi dalla possibilità di azionare un controllo sulla validità del piano
da parte degli organi giurisdizionali, salvo, in ogni caso, la possibilità
che venga fatto ricorso al giudice per la dichiarazione di fallimento. In
questo caso, infatti in sede di istruttoria prefallimentare il giudice
potrebbe controllare se il mancato adempimento sia giustificato o meno dal
piano attestato.La mera indicazione dell'idoneità e ragionevolezza del
piano, in mancanza di ulteriori requisiti specifici o scansioni temporali,
comprensibile ove si tenga conto che obiettivo del legislatore è solo quello
di introdurre una nuova causa di esonero dalla revocatoria, comporta in ogni
caso una compressione eccessiva della sfera del credito in capo per i
soggetti eventualmente non contemplati nel piano e non beneficiari di esso i
quali potrebbero accorgersi dell'esistenza dello stesso solo dopo la
dichiarazione di fallimento e quando il piano di ristrutturazione si sia
rilevato in concreto inidoneo.
I principi della delega alla riforma della legge
fallimentare di cui all'art. 1 punto 6, legge 80/05 - La riforma della legge
fallimentare è per il resto rimessa al Governo con delega, contenuta
all'art. 1, c. 6 della l. 14 maggio 2005, da esercitare entro 180 giorni.Tale delega, come già rilevato, è stata introdotta in via autonoma dalla
legge di conversione, assieme a quelle per la modifica del codice civile in
materia di giudizio di cassazione e di arbitrato, ed è mossa dall'intento di
semplificare e accelerare la definizione delle procedure concorsuali. La
semplificazione della disciplina (articolo 1, c. 6, n. 1 legge 80/05) prende
le mosse da un'estensione della categoria dei soggetti esonerati
dall'applicazione della procedura fallimentare. Sul piano strettamente
giudiziario, tale estensione, se da un lato comporterà una diminuzione delle
sopravvenienze degli uffici fallimentari, provocherà parallelamente un
aggravio di altri uffici, in quanto è evidente che l'innalzamento della
soglia di fallibilità attraverso l'allargamento della definizione di piccolo
imprenditore avrà la conseguenza che i creditori, per realizzare il loro
credito, saranno costretti a percorrere la via della procedura esecutiva
ordinaria.La ridefinizione della nozione di "piccolo imprenditore",
tuttavia, non darà luogo solo ad una redistribuzione dei carichi di lavoro
giudiziari, ma anche ad effetti funzionali collaterali, indirettamente
nascenti dalla nuova struttura della tutela giurisdizionale. Il ricorso alla
procedura esecutiva come unico strumento di realizzazione del credito
nell'area di esenzione dal fallimento, da un lato farà venire meno la
garanzia della par condicio tra i creditori (che può essere assicurata solo
dalla dichiarazione di fallimento), e, parallelamente comporterà
l'attenuazione della possibilità di salvataggio della unità produttiva,
atteso che la pluralità delle azioni esecutive conseguente all'aggressione
individuale dei beni aziendali, renderà pi probabile la disgregazione del
patrimonio aziendale e ridurrà ancora di pi le residue possibilità di
accesso agli strumenti di salvataggio previsti per l'imprenditore
commerciale dalla legge fallimentare, quali le procedure di crisi o,
nell'ambito delle procedure dell'insolvenza, l'istituto dell'esercizio
provvisorio.Questa delimitazione soggettiva, in ogni caso, dovrebbe
costituire l'occasione per il coordinamento della disciplina dello statuto
dell'imprenditore commerciale (sottoposto al fallimento) e di quella
dell'imprenditore artigiano (che ne è esonerato), onde superare le oscurità
definitorie delle due categorie che attualmente non poche incertezze
determinano all'atto dell'individuazione dei soggetti sottoposti al
fallimento. Sul piano pi generale la delega si muove secondo un modello,
peraltro già ampiamente ravvisabile nei primi interventi disposti con il
decreto legge, che mira a rivedere la funzione svolta dagli organi preposti
alla procedura fallimentare. Tale revisione può esemplificarsi come segue:
a) ridimensionamento del ruolo del giudice delegato, di cui si circoscrive
la funzione di gestione della procedura per accrescerne il ruolo di soggetto
controllore della legalità delle procedura stessa; b) incremento dei poteri
riservati ai creditori (sia singolarmente intesi, sia in forma associata
quali componenti del comitato dei creditori); c) innovazione della figura
del curatore, di cui viene evidenziata la funzione c.d. gestionale, accanto
a quella pi tipicamente tecnico-giuridica.Procedendo all'esame di questo
modello e destinando al capo successivo ogni valutazione a proposito del
nuovo ruolo disegnato per il giudice, sulla base delle scansioni dettate
dalla legge delega possono effettuarsi le seguenti valutazioni.3.1 Il ruolo dei creditori della procedura concorsuale -
Quanto ai nuovi poteri riconosciuti ai creditori deve valutarsi
l'ampliamento delle competenze del comitato dei creditori, derivante dalla
previsione (articolo 1, c. 6, n. 2, legge 80/05) di una sua maggiore
partecipazione alla gestione della crisi dell'impresa, deve rilevarsi come
la incrementata funzione del comitato, soprattutto se sostitutiva
dell'attuale ruolo valutativo ed autorizzatorio del giudice delegato,
richiede una intensa partecipazione alle decisioni operative del curatore.
Tale ruolo postula una competenza tecnico-professionale non sempre
riscontrabile nelle procedure concorsuali, salvo che nei fallimenti pi
importanti nei quali i creditori, in considerazione delle dimensioni del
loro credito, ritengono opportuno assumersi gli oneri economici, ad esempio,
di farsi assistere da professionisti che li rappresentino nel comitato. Per
il resto l'allargamento delle competenze, in mancanza di corrispondente
interesse e competenza, rischia di rimanere una mera affermazione di
principio.La previsione dell'esdebitazione (ovvero la "liberazione del
debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori
concorsuali non soddisfatti", art. 1, comma 6, n. 13, legge 80/05) è una
delle maggiori novità della novella, soprattutto se con i decreti
legislativi di attuazione si riuscirà veramente a renderla strumento di
stimolo all'emersione dello stato di insolvenza, dando adeguato risalto al
requisito, indicato al punto 13.2, del "non aver [l'imprenditore]
contribuito a ritardare la procedura". Dovrebbero essere previsti meccanismi
atti a dar modo di verificare, in concreto, il ritardo con definizione
specifica della nozione e parametri concreti per la qualificazione della
condotta cooperante. Nella pratica, sarà importante non consentire,
tuttavia, che l'esdebitazione diventi un beneficio generalizzato per tutti i
falliti, per evitare che essa perda il suo carattere di stimolo
all'emersione della crisi e alla correttezza comportamentale; come, invece,
provocherebbe un'indifferenziata concessione del beneficio. In altre parole,
il beneficio ha un costo per i creditori al quale necessariamente deve
corrispondere un vantaggio per il processo fallimentare; questo vantaggio,
tuttavia, non sarebbe perseguito ove il beneficio stesso venisse concesso al
di fuori di una rigorosa sussistenza dei parametri previsti.3.2 Il curatore - La figura del curatore è stata oggetto di profondi interventi.
Per quanto riguarda il piano soggettivo, la previsione di ammettere studi
professionali associati a ricoprire l'incarico (articolo 1, comma 6, n. 3
legge 80/05) sembra contrastare con le disposizioni relative alla
responsabilità penale del curatore che presuppongono la determinatezza della
persona e la personalità della responsabilità conseguente. Sul piano
strettamente funzionale la possibilità di nomina a curatore di "soggetti con
comprovate capacità imprenditoriali" suscita perplessità, in quanto la
disposizione sembra far riferimento soprattutto alle competenze necessarie
nelle procedure in cui il curatore deve dare prova di capacità gestionale
(si pensi all'ipotesi dell'esercizio provvisorio), senza, però, tenere in
considerazione che nella generalità dei casi a detta capacità deve essere
associata competenza tecnica anche di carattere giuridico-commerciale.Pari
perplessità suscita la direttiva che attribuisce alla maggioranza dei
creditori ammessi "il potere di confermare o chiedere la sostituzione del
curatore indicando al giudice un nuovo nominativo" (articolo 1, comma 6, n.
9 legge 80/35), atteso che l'attuazione di tale direttiva, puntuale ma
disomogenea rispetto agli enunciati di semplificazione ed accelerazione
delle procedure, rischia di mettere in dubbio la conformità del nuovo
processo fallimentare al principio del giusto processo.Il giusto processo
si realizza, infatti, non soltanto attraverso la terzietà, l'imparzialità e
l'indipendenza del giudice, ma anche attraverso la terzietà, l'imparzialità
e l'indipendenza degli ausiliari, consulenti ed incaricati del giudice che
debbono svolgere la loro attività super partes nel processo. Se nell'ambito
della procedura fallimentare è auspicabile l'intervento attivo di un organo
quale il comitato dei creditori, portatore degli interessi dei creditori pi
rappresentativi in relazione all'ammontare complessivo del credito,
suscitano perplessità le circostanze che proprio il curatore, ovvero
l'organo al quale è demandata la cura indifferenziata di tutti gli interessi
coinvolti nel fallimento, pubblico ufficiale ai sensi dell'articolo 30 l.f.,
venga confermato dai destinatari dei suoi atti e che dello stesso possa
essere richiesta dagli stessi creditori la sostituzione nominativa. Il
soggetto che viene indicato e che potrebbe assumere l'incarico di curatore,
seppure indirettamente si presenta come esponente degli interessi dei
creditori che costituiscono la maggioranza dei crediti ammessi.Non può,
dunque, ignorasi la possibilità di uno sbilanciamento dei poteri, ove si
consideri che il curatore anzich terzo e rispettoso delle sole direttive
del giudice delegato potrebbe essere indotto ad una maggiore
accondiscendenza verso i maggiori creditori, che sono in grado di
condizionare le scelte della maggioranza, a scapito di altri, per evitare il
rischio della non conferma.
3.3 Valutazioni di carattere generale -
Sul piano pi generale può affermarsi quanto segue.Meramente dichiarativa
si rivela l'abrogazione dell'ormai desueto procedimento sommario (articolo
1, c. 6, n. 14, legge 80/35). L'abrogazione dell'amministrazione controllata
determinata dalla trasformazione del concordato preventivo in procedura di
crisi (articolo 1, c. 6, lett. b, legge 80/05) è conseguentemente coerente
alle disposizioni di cui al decreto legge. Corretto appare il riconoscimento
del privilegio ai crediti di rivalsa verso il cessionario (articolo 1, comma
6, lett. c, della legge 80/05). La delega non innova la disciplina dei
rapporti pendenti (articolo 1, c. 6, n. 7, legge 80/05) destinata, comunque,
a seguire il solco della disciplina del r.d. 267/42, analogamente a quanto
prospettato riguardo all'esercizio provvisorio (articolo 1, comma 6, n. 8,
legge 80/05), il quale dipende non già dalla normazione quanto, piuttosto,
dall'effettiva sussistenza dei mezzi finanziari idonei a consentire la
prosecuzione dell'esercizio dell'impresa.Vengono introdotte le classi di
creditori ma senza una omogenea scrittura di raccordo con l'istituto quale
già vigente per l'amministrazione straordinaria di cui al d.l. 347/2003 (ove
senz'altro ricomprendono anche i creditori privilegiati) rispetto al
concordato fallimentare (che sembra sul punto parzialmente modificabile) ed
il concordato preventivo (dai pi ritenuto conforme a tradizione, ove i
privilegiati non votano e dunque vanno pagati per intero).Quanto alla
modificazione della disciplina di ripartizione dell'attivo, deve senz'altro
concordarsi con l'obiettivo di abbreviare i tempi della procedura, ma deve
rilevarsi l'assenza di direttive specifiche, se si esclude quella, piuttosto
generica, di "semplificare le modalità di presentazione delle relative
domande di ammissione" (articolo 1, c. 6, n. 9, legge 80/05).E' sicuramente
apprezzabile la modifica degli effetti personali derivanti dalla
dichiarazione di fallimento mediante l'eliminazione delle sanzioni personali
(iscrizione nel registro di falliti) e delle restrizioni alla libertà di
movimento e alla riservatezza della corrispondenza, non funzionali alle
esigenze della procedura (articolo 1, comma 6, n. 4, legge 80/05).Infine,
va segnalata la disposizione dell'art. 1, c. 6, n. 12, che prevede la
possibilità nel concordato fallimentare di suddividere i creditori per
classi e di riservare agli stessi trattamenti differenziati in ragione
dell'appartenenza a classi diverse. Tale norma richiama la disposizione
introdotta dall'art. 4 bis del d.l. 23.12.03 n. 347 (convertito dalla l.
18.2.04 n. 39) a proposito della ristrutturazione delle grandi imprese in
crisi, che, appunto, prevede che nella procedura di amministrazione
straordinaria il commissario possa soddisfare i creditori con un concordato,
con il quale i crediti sono soddisfatti non singolarmente, ma per classi,
ovvero "secondo interessi economici omogenei".
La "degiurisdizionalizzazione" delle procedure concorsuali
- Dalla riforma attuata con il decreto legge 35/05, dai principi contenuti
nella legge delega nonchè dallo schema di d.lgs. approvato in consiglio dei
Ministri il 23 settembre 2005 emerge la tendenza ad attenuare fortemente il
carattere giurisdizionale delle procedure concorsuali.E' questa la
conseguenza pi evidente del modello adottato dal legislatore nella riforma
del diritto concorsuale, in cui al sistema precedente, basato sul rigoroso
controllo della procedura da parte del tribunale fallimentare e del giudice
delegato, si sostituisce un sistema di carattere pi propriamente negoziale
(non a caso definito "contrattualistico") in cui viene lasciato largo spazio
(peraltro non esclusivo) agli accordi tra debitore e creditori, sia con
attenuazione (anche cospicua) del ruolo del giudice, sia con esclusione di
questo controllo, con la possibilità di regolare i rapporti
dell'imprenditore in stato di insolvenza con una procedura interamente
stragiudiziale.Un esempio pi evidente di questo modello è costituito dal
"nuovo" concordato preventivo, ove il giudice interviene solo per verificare
la mera regolarità degli atti allegati alla proposta ed anche in caso di
opposizione dei creditori dissenzienti può solo verificarne la regolarità
senza poter controllare nel merito o la convenienza del concordato.
Analogamente, nell'accordo di ristrutturazione il giudice interviene solo
per iniziativa del creditore che propone opposizione entro trenta giorni
dalla conoscenza presuntiva del piano; nel caso del piano attestato
interviene solo in sede di revocatoria, ovvero quando il piano attestato ha
già rilevato in concreto la propria inidoneità.A prescindere dalle già
segnalate conseguenze negative che potrebbero derivare ai creditori meno
garantiti o, pi semplicemente, a coloro che meno incidono quantitativamente
sull'entità del passivo, deve essere evidenziata la ricaduta che sul piano
pi generale può derivare da questa impostazione nell'ambito della
collettività. I sistemi di accordi stragiudiziali fondano la loro disciplina
sulle esenzioni dalla revocatoria così che in assenza di controlli
giurisdizionali, sia in ordine alla meritevolezza soggettiva, sia circa la
verifica della fattibilità del piano, rischiano di essere stimolate condotte
non condivisibili sul fronte della correttezza imprenditoriale che tuttavia,
potrebbero non risultare giuridicamente tali, in quanto non in grado di
essere rilevate e, quindi, destinate a non emergere.Le esenzioni di cui
all'art. 67, secondo comma, rischiano di incentivare pagamenti preferenziali
e legittimare la disparità di trattamento dei creditori a fronte della quale
i creditori pi deboli non hanno la possibilità di ricorrere ad alcun riparo
in quanto rimane intatto il principio di cui all'art. 51 della legge
fallimentare secondo il quale solo il fallimento apre il concorso dei
creditori sul patrimonio del fallito.La degiurisdizionalizzazione della
procedura di concordato preventivo, la previsione dell'eliminazione
dell'amministrazione controllata tra i principi direttivi della delega e
l'assenza di direzione giudiziale degli accordi di ristrutturazione e del
piano attestato si pongono in contrasto con la tendenza che si registra in
altri paesi, ove si tende a ricondurre la crisi d'impresa (dal caso Enron al
caso Kirch o a Vivendi) in alveo giudiziale, con un giudice di riferimento,
i cui poteri si incrementano a mano a mano che cresce la necessità di scelte
tempestive e di sacrifici all'autonomia privata.
La tutela penale - Durante i lavori parlamentari che hanno
condotto alla conversione del d.l. .35/05 ed alla promulgazione della legge
delega 80/05 fu presa in esame anche un indirizzo di delega che prevedeva la
riforma dei reati fallimentari (lett. d del c.d. maxi emendamento). Il
confronto derivatone a livello politico sul punto della fissazione dei
limiti di pena per il reato di bancarotta, convinse i proponenti a rinviare
ad altro momento tale punto della riforma e ad escludere, quindi, ogni
riferimento alla tutela penale della delega.Questa soluzione rappresenta
indubbiamente una carenza dell'intervento legislativo, non solo perch non
chiarisce sul piano penale la tipologia dei comportamenti dell'imprenditore
incompatibili con una corretta nozione del concetto di "rischio d'impresa",
come tali sanzionati dalla legge, ma soprattutto perch manca di definire i
comportamenti vietati e le relative sanzioni per quei soggetti che sono
chiamati ad operare nell'ambito della procedura concorsuale senza il
preventivo controllo del giudice.L'elaborazione di un nuovo modello di
procedura fallimentare, come evidenziato in precedenza, non può prescindere
da un adeguato supporto della legge penale.