di Giovanni Palombarini
Verso il congresso: la giurisdizione di fronte alla crisi del sistema politico
1.
Il congresso costituisce un momento di riflessione necessario e per i caratteri in continua modificazione di una fase particolarmente difficile e per i problemi che si pongono a un gruppo che, pur volendo continuare a operare mantenendo ferma la sua originaria scelta di campo, incontra limiti e difficoltà molto rilevanti alla sua iniziativa. A ben guardare, i caratteri della fase e le difficoltà di Md sono strettamente connessi.
Siamo innanzitutto sollecitati a una specie di bilancio a proposito dell'attuale condizione dei diritti di libertà e delle garanzie, con particolare riferimento alla repressione penale ma non solo. Peraltro l'analisi degli aspetti negativi della situazione, che abbiamo già ampiamente fatto in questi anni, a questo punto non basta. Occorre capire le ragioni della tendenza, cioè è necessario un esame approfondito e spregiudicato sui caratteri della fase e sui suoi protagonisti politici, e un ragionamento sul che fare per mantenere la rotta fin qui percorsa in attesa che la fase cambi.
Da un lato un bilancio, sintetizzo, che è sostanzialmente la presa d'atto di una sconfitta. D'altro lato, un ragionamento che in conclusione vede Md costretta sostanzialmente sulla difensiva, in materia di diritti e garanzie, in un momento storico caratterizzato da una grande difficoltà politica di fondo il cui superamento non dipende certamente da noi.
Non mi soffermo sui caratteri della sconfitta, che del resto emerge da una serie di analisi che Md ha svolto negli ultimi anni e anche dalle cose che in questa sede vengono dette a proposito di costituzione, libertà, diritti e garanzie. Intanto, che ne è stato della costituzione. Non è necessario fare lunghi discorsi. In generale già da tempo, in nome della modernizzazione, si è messo all'ordine del giorno il tema di una sua radicale revisione. Non sono pi di attualità quelle che una volta venivano chiamate le "riforme di struttura" finalizzate alla sua attuazione, bensì la sua revisione in senso autoritario. Il senso di un'operazione del genere è stato illustrato soprattutto per quel che concerne gli aspetti istituzionali da parte nostra, fra l'altro, con il numero speciale di Questione Giustizia dedicato ai lavori della bicamerale e poi con una serie di interventi di vario tipo sostanzialmente convergenti.
A ciò si lega molto strettamente una serie di provvedimenti legislativi adottati per via ordinaria, dalla legge Gasparri fino, per quanto ci riguarda pi da vicino, alla controriforma dell'ordinamento giudiziario: il controllo dei mezzi d'informazione e la riduzione dei livelli d'indipendenza della magistratura, e in particolare la ristrutturazione del pubblico ministero - Md lo ha illustrato in pi sedi e in vari modi - sono evidentemente funzionali agli obiettivi che con la revisione della costituzione si vogliono raggiungere. Tra l'altro, la sterzata a destra della costituzione materiale ha comportato anche l'abbandono del ripudio della guerra.
Ma poi, cosa ne è stato, qual è la condizione delle libertà dei moderni, dall'informazione alla libertà personale, dalla libertà di associazione a quella di riunione? Lo sappiamo. Si tratta di analisi e valutazioni che abbiamo fatto e sentito fare tante volte.
Le relazioni industriali, il diritto del lavoro e i diritti dei lavoratori subordinati, compresi quelli che vengono definiti autonomi, qui tutto è in arretramento ormai da anni, già da prima della vittoria delle destre alle elezioni politiche del 2001.
Per quel che concerne poi il sistema penale la situazione sta andando davvero in direzione opposta a quella da sempre auspicata da Md. Mentre si è attenuata la repressione sul fronte del falso in bilancio, si è intensificata quella nei confronti dei migranti; e pi in generale si sta prospettando, non solo nel nostro paese, quella che alcuni studiosi chiamano il diritto penale del nemico (non solo la Lega muove i sentimenti e le paure che sono alla base di una simile prospettiva), dove il nemico è costituito non solo dal terrorismo ma da qualsiasi forma di marginalità o di opposizione sociale radicale.
Prendere atto di una sconfitta allora vuol dire, in estrema sintesi, comprendere che una certa linea di politica del diritto, e tutta una serie di prospettive e di obiettivi che ci eravamo prefissi già nel momento in cui proponemmo il tema di quale giustizia, e per i quali abbiamo poi a lungo lavorato, per decenni, con l'arrivo del nuovo secolo, nella transizione infinita alla seconda repubblica, sembrano essersi chiusi.
Basta guardarsi intorno, mi riferisco per esemplificare solo al penale. Se qualcuno, ancora oggi convinto della bontà delle ragioni dell'ostilità di Md alla legislazione dell'emergenza, compreso il decreto Cossiga del dicembre 1979, il primo provvedimento legislativo a stabilire un premio per i pentiti (si trattava peraltro di una semplice attenuante); o delle prese di posizione successive a proposito del dilagare della normativa premiale, contro il quale si schierò il congresso di Sorrento del gennaio 1984; o del contrasto espresso all'istituzione della superprocura antimafia all'inizio dello scorso decennio, anche per la convinzione, una volta fra noi diffusa, della pericolosità comunque connessa al concentrarsi di uffici del pubblico ministero; o convinto anche della necessità della prospettiva del diritto penale minimo, comprensiva del ridimensionamento e dell'articolazione delle pene, a partire dall'abolizione dell'ergastolo; se quel qualcuno oggi avesse il coraggio di riproporre quelle ragioni, non troverebbe nessun ascolto, non solo nel ceto politico di governo e in larga parte di quello di opposizione, ma neppure fra tanti avvocati e magistrati. Verrebbe anzi duramente contestato.
Dunque, partendo dal giudizio largamente condiviso sui caratteri negativi della situazione, a proposito dei ragionamenti che si devono fare per il futuro, in estrema sintesi mi limito ad alcune affermazioni, proponendo alla comune riflessione un quesito, un tentativo di analisi e alcune considerazioni ulteriori.
2.
Il quesito è il seguente. Premesso che è pienamente condivisibile tutto ciò che è stato detto anche di recente, anche in convegni organizzati da Md, su tutta una serie di temi, dall'arretramento dei diritti sociali e del lavoro alla messa in disparte di norme fondamentali dell'organizzazione statuale (si pensi all'articolo 11 della costituzione sulla guerra), fino alle ragioni delle controriforme attraverso le quali si vogliono contemporaneamente ristrutturare la costituzione e gli equilibri istituzionali, e lo stesso ordinamento giudiziario, tuttavia è necessario chiedersi se non vi sia qualcosa di pi, una qualche ragione "strutturale" che dà forza a questa complessiva iniziativa e come si possa giustificare il fatto che anche alcuni settori intellettuali vicini ai partiti di opposizione sono indotti a criticarla in termini moderati o perplessi, a riconoscere anzi una certa razionalità in alcuni interventi. Insomma, occorre chiedersi se non vi sia un qualcosa in pi che spieghi perch in relazione ad alcuni aspetti della complessiva controriforma in atto già ai tempi del governi di centrosinistra e della bicamerale si siano fatti dei passi nella stessa direzione; e che aiuti a comprendere le ragioni dell'oggettiva debolezza, in termini di risultati, di chi come Md difende, con le forme istituzionali, le libertà e i diritti.
Proviamo a vedere, partendo da un'osservazione di Danilo Zolo (il principato democratico, 1996) secondo cui in presenza di una molteplicità agonistica di aspettative sociali il sistema politico sceglie imperativamente in virt di una mera decisione, di un comando politico. Certo, è così. E però a chi governa, a chi deve appunto scegliere e decidere, il consenso politico di un insieme maggioritario di ceti portatori di interessi anche divergenti, ottenuto attraverso opportune mediazioni, in un sistema democratico quale quello configurato dall'attuale costituzione, quel consenso è assolutamente necessario. Questo è avvenuto, nella democrazia costituzionale italiana fatta di regole condivise, per lungo tempo, anche nella stagione in cui, fino a metà degli anni settanta, le opposizioni di sinistra e il sindacato operavano, interpretando le spinte provenienti dal conflitto sociale, per cambiare i rapporti di potere. In virt di quel consenso coalizioni di governo, anche diverse pur essendo sempre espressione di ceti forti, anche quando dovevano far fronte alla richiesta che veniva da sinistra di realizzazione delle promesse costituzionali, hanno potuto durare, mediando e scegliendo e decidendo, per decenni, sino alla fine degli anni ottanta.
Dall'inizio degli anni novanta si è però determinata una situazione nuova, si è cioè determinata quella che appare una crisi del sistema politico. Per ragioni varie la difficoltà per i ceti sociali forti a determinare convergenze e a rappresentare aspettative diverse, a trovare cioè il consenso necessario per governare, si è fatta intensa: non a caso si sono determinate le sconfitte elettorali di tutti i governi, di qualsiasi composizione, che si sono succeduti da allora fino a oggi. Dunque, è la difficoltà crescente di ottenere un sufficiente consenso politico rispondendo a un arco ampio di aspettative sociali diverse, o se si vuole, è la difficoltà a riuscire a coagulare dietro di s un blocco sociale, è a questa difficoltà che si cerca una risposta.
Fino a oggi le risposte che si sono configurate non hanno avuto caratteri di sinistra. Su questo versante, riprenderò il tema pi avanti a proposito delle ragioni di ciò, è mancato un progetto attualizzato di realizzazione di prospettive e valori contemplati dalla costituzione; e poi è assente ogni idea di modifica della costituzione in funzione del rafforzamento e dell'ampliamento dei diritti. L'egemonia anche culturale è stata di altri. Di fronte al tentativo dei partiti di destra di superare la difficoltà ampliando i confini del conflitto politico nel senso di ricomprendervi anche quelle regole del gioco - i ruoli costituzionali, gli equilibri istituzionali - che fino a quindici anni fa erano considerate pacifiche per tutti, i partiti moderati dell'Ulivo hanno oscillato tra l'accettazione di un'agenda stabilita dagli altri e una difesa dell'esistente, su basi etiche pi che politiche, senza autonomi contenuti significativi di proposta. E quanto esiste di sinistra nella società civile non è riuscito ad andare al di là della protesta.
Già l'adozione, per consenso assai ampio e trasversale, del sistema maggioritario, è stato un primo momento di questo tipo di soluzione del problema. La logica di fondo è che per governare il consenso non deve pi necessariamente essere maggioritario, e che chi è chiamato a scegliere non dev'essere eccessivamente condizionato da controlli vari, a cominciare da quello del parlamento per finire a quello di legalità. L'azione di governo dev'essere facile (la prossima volta, dice a volte l'attuale presidente del consiglio, correrò da solo per vincere e realizzare finalmente i programmi: e in effetti sta costringendo i suoi alleati a identificarsi nella sua leadership). Questa è la soluzione del problema alla quale s'è pensato, non solo a destra. Di qui l'insorgere del conflitto sulle istituzioni, aperto dai partiti di destra e imposto a quelli moderati: all'interno di quelle che erano le regole condivise lo spazio per la mediazione politica è diventato troppo ristretto. Così, dal momento in cui sono diventate oggetto di scontro politico, le istituzioni non sono state pi prospettate e pensate come neutre. Si ritiene che la loro nuova definizione determinerà lo spazio politico praticabile per formare un nuovo blocco sociale o, comunque, almeno per governare.
Tutto ciò, si dice, è richiesto anche dalle caratteristiche del mercato globalizzato.
Si trovano qui le ragioni di fondo di una serie di cose. Del maggioritario ma anche di una serie di proposte che in tema di istituzioni sono passate attraverso la bicamerale, della controriforma in atto della costituzione e di quella dell'ordinamento giudiziario, dell'abbassamento continuo del ruolo del parlamento e della parallela valorizzazione del ruolo dell'esecutivo e del suo capo. E, ovviamente, dell'arretramento delle libertà, dei diritti e delle garanzie, destinati a essere sacrificati, ogni volta che sia necessario, a fronte delle esigenze del mercato o degli interessi dei ceti forti che trovano la loro naturale rappresentanza nei soggetti portatori di quel tipo di proposta di soluzione del problema della governabilità. Le regole nuove già prodotte e quelle in cantiere sono destinate a produrre la marginalizzazione, del resto già in atto, dei ceti sottoprotetti e del complesso di meccanismi potenzialmente idonei a difenderne gli interessi. La stessa logica secondo cui con il sistema maggioritario la vittoria elettorale va cercata al centro, rende non pi rappresentabili una serie di interessi ritenuti marginali e non decisivi.
Qui è possibile leggere anche la spiegazione di fondo della continua, crescente, in qualche caso selvaggia opera di delegittimazione della magistratura. Autonomia e indipendenza della giurisdizione costituiscono un fattore di "rigidità" - un po' come lo statuto dei diritti dei lavoratori - che contrasta con il progetto in atto, che non contempla meccanismi di tutela piena di garanzie e di diritti vecchi e nuovi. Anche il ruolo del giudice va ricondotto, con mezzi vari, nell'ambito delle compatibilità.
Dunque la destra è da tempo all'attacco, con un proprio progetto, mentre i partiti moderati operano una difesa senza prospettiva. Contemporaneamente oggi manca una rappresentanza politica generale del lavoro subordinato tradizionale, del precariato, del panorama dei lavoratori cosiddetti autonomi ma in realtà eterodiretti e sfruttati come tutti gli altri, della nuova realtà dei lavoratori immigrati, delle fasce di lavoratori intellettuali non solo della scuola che non si riconoscono nello stato delle cose presenti, anche se da anni si parla della ricostruzione di una sinistra nuova.
E' un'assenza che si fa sentire. Perch solo la presenza attiva di una rappresentanza politica di questo tipo potrebbe elaborare una risposta alternativa alla difficoltà di governo che si è determinata; e quindi una resistenza pi convinta, e in prospettiva costruttiva e vincente, alle controriforme e al sacrificio di diritti e garanzie. Solo una rappresentanza politica di questo tipo potrebbe essere portatrice dell'idea forte che, ove alla costituzione repubblicana dovessero essere apportati ritocchi per rinnovare il sistema politico o per estendere i diritti, ciò potrebbe avvenire solo partendo dalla convinzione che la costituzione vigente rappresenta il punto pi avanzato di regolazione degli assetti sociali, il risultato migliore che quanto a configurazione delle forme dello Stato hanno conseguito le lotte popolari e democratiche nel nostro paese.
3.
Qui è il punto di crisi che inevitabilmente ci coinvolge e che costringe Md ormai da anni a una posizione difensiva, che fino a un certo punto è stata la difesa della costituzione e del complesso dei suoi valori di fondo, e da qualche tempo - con un arretramento imposto dalle cose, essendo cresciuta l'iniziativa delle destre - settore per settore, di garanzie e principi fondamentali messi di volta in volta in discussione dalle scelte della maggioranza di governo e non adeguatamente contrastate a livello politico: quasi una guerra di trincea, si pensi a ciò che Md ha dovuto fare sul fronte dell'immigrazione. Non a caso, tutto ciò.
Il fatto è che ormai da molti anni, dall'inizio degli anni ottanta, è stata abbandonata in modo sempre pi intenso dalle organizzazioni storiche del movimento operaio - con conseguente mutazione della loro natura - l'originaria lettura della costituzione, secondo la quale in un'ampia fase temporale di transizione si dovrebbe o si sarebbe dovuto lavorare per una trasformazione democratica nella prospettiva indicata nella norma fondamentale del patto, data dalla combinazione del primo e del secondo comma dell'articolo 3, la difesa dei valori della rivoluzione liberale insieme all'impegno per la democrazia progressiva. Una lettura giustificata dalle caratteristiche originali della costituzione del 1948, che implicavano il riconoscimento della dinamicità costante del rapporto fra masse e potere, destinata a fare crescere nel tempo i contenuti sostanziali della democrazia. In quest'ambito, coloro che pensavano a possibili modifiche costituzionali - se vi pensavano - avevano in mente la possibilità di adeguamenti formali all'avanzamento, già conquistato, di contenuti sostanziali.
Con il progressivo abbandono di quella prospettiva - dall'inizio degli anni novanta non se n'è parlato pi - è rimasto interamente scoperto il destino di un mondo, quello dei ceti sottoprotetti e dei loro interessi. Nessuna strategia alternativa è stata elaborata. Si sono così accettati tutti i discorsi che venivano sui costi e sui guasti del welfare: con tutto ciò che ne consegue. E' prevalsa invece, con l'accettazione piena del mercato e delle sue logiche, l'attenzione alle forme e l'adesione a una concezione della democrazia che giustamente è stata definita "senza qualità". Si è passati dal riferimento all'art. 3 della costituzione all'esigenza di sviluppo dell'economia da garantire con la stabilità dei governi; si è passati dalla partecipazione alla delega.
Per Md gli spazi sono diventati sempre pi stretti. Intanto l'impegno per la difesa dell'indipendenza è diventato sempre pi intenso. Ma poi la costituzione, che era il meccanismo che consentiva di interpretare in avanti tutte le leggi, è tornata a essere, all'antica, un insieme statico di norme che, come tale, può essere cambiata per ragioni di funzionalità. Dei diritti si fanno elenchi, sempre sottolineando la necessità del rispetto delle compatibilità, e il "capitalismo compassionevole" contempla che quando vengono violati si protesti pi o meno intensamente; ma a realizzarli compiutamente non pensa pi nessuno. La condizione dei migranti è davvero paradigmatica in proposito.
Va riconosciuto sotto questo profilo il successo della proposta politica elaborata in quella stagione da Bettino Craxi. Alla metà degli anni ottanta era normale sentire dire nell'area che ne riconosceva la leadership che "la società si cambia da sola" e che l'esigenza prima era quella di governarne lo sviluppo. Gli slogan fatti propri progressivamente anche da soggetti politici diversi dal Psi - la modernizzazione, la governabilità, la stabilità e poi l'alternanza (non l'alternativa) - hanno nella sostanza coperto e progressivamente emarginato ogni discorso di cambiamento, di ruolo propulsivo del conflitto, di controllo sociale dei mezzi di produzione, di partecipazione con annesso controllo "da dentro" del funzionamento delle istituzioni, insomma di realizzazione di una "repubblica democratica fondata sul lavoro".
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. S'è aggregato un grande fronte delle destre, che intende cambiare lo stato in senso autoritario. Contemporaneamente è in corso il processo, certo non lineare e anzi difficile, di costruzione di un grande partito riformista, sostanzialmente di centro, le cui componenti sono quelle - del centro democratico e della sinistra riformista - che nell'ultimo decennio hanno già per conto loro avviato non trascurabili processi di precarizzazione nelle relazioni industriali, che in un modo o nell'altro hanno approvato le guerre, che già all'inizio dello scorso decennio hanno impostato un lavoro importante per cambiare la costituzione, che pi di una volta, anche loro, hanno espresso l'auspicio "che la magistratura faccia un passo indietro". Un'aggregazione di centro la cui opposizione alle scelte del governo Berlusconi, certo apprezzabile, non si pone mai in termini di radicale alternativa.
Con le varie Bicamerali, l'ultima presieduta da un leader della sinistra storica, si sono progettati interventi di ingegneria costituzionali finalizzati esplicitamente a un adeguamento dell'organizzazione statale a esigenze di efficienza garantite da un rafforzamento dei poteri del governo e dalla sua stabilità, con la parallela riduzione dei poteri delle assemblee elettive e del ruolo delle altre istituzioni, anche di quelle di garanzia. Con l'adozione del sistema elettorale maggioritario si sono escluse dalle assemblee elettive le minoranze, rappresentanti dei ceti socialmente sottoprotetti, portatrici di elementi sostanziosi di conflitto sociale. Lo scontro fra i poli sembra avere spento la dialettica in termini di reale alternativa, e questa è affidata a soggetti sociali che a livello politico generale hanno scarsa voce.
Per questo, per Md, oggi, in questa fase, lo spazio politico praticabile può essere soltanto quello degli interventi settoriali, della difesa dei diritti di volta in volta messi in discussione, con i soggetti che di volta in volta ci stanno, anche utilizzando gli spazi che possono aprirsi a livello di costituzione europea, sapendo che la costituzione materiale, prima ancora di quella formale, ha già pesantemente sterzato a destra.
Tutto questo, concretamente, può riflettersi, sulla giurisprudenza? Certamente si, specialmente per quel che concerne il settore penale, uno snodo attraverso il quale rischia di passare in nome di esigenze securitarie la repressione di lotte sociali e l'accentuazione di fenomeni di marginalizzazione sociale. Sul versante del penale, proprio nell'ottica della difesa di diritti e garanzie, sarà necessario ricominciare a parlare di garantismo, di reati associativi e di pentiti, di legalità di arresti e fermi, di carcere. Ma, appunto, qui si apre un altro discorso.
Giovanni Palombarini