Costituzione e sistema politico


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di Mario Dogliani

OBIETTIVO: UN'ALTRA COSTITUZIONE?

COSTITUZIONE E SISTEMA POLITICO
(appunti a margine del tentativo di riscrivere la Carta del 1947)

di Mario Dogliani

Argomentarne oggi le buone ragioni della Carta fondamentale del 1947, mentre sta entrando nella fase decisiva il progetto di riscriverne gran parte del testo, è necessario e possibile. Ma rischia di essere sterile se non si riparte dalla riflessione intorno al fondamento della validità della Costituzione, al rapporto tra essa e il suo oggetto, e cioè l'insieme di quelle che sinteticamente possono essere chiamale le "strutture fondamentali" della società.

1. Il senso del procedimento di revisione costituzionale in corso può essere meglio compreso alla luce delle precedenti fasi della nostra storia costituzionale: l'armistizio fragile (1943 - 1955), l'armistizio consolidato (1956 - 1968), il disgelo (1969 - 1978), la nuova glaciazione (1979 - 1993), il passaggio dalla lotta sulla costituzione alla lotta per la costituzione (1994 - 2001).
Questa periodizzazione è, ovviamente, molto discutibile, ma non vuole avere altro scopo che quello di evidenziare le diverse modalità con cui la Costituzione è stata percepita.
L'armistizio fragile definisce gli anni in cui -malgrado l'idem sentire che rese possibile la concordia costituente - la situazione geo-politica era aperta ad evoluzioni armate, interne ed esterne, della guerra fredda. In quegli anni la Costituzione venne attuata solo nelle parti che disciplinano lo "scheletro" della democrazia: le regole di coesistenza che rendevano possibile il non ricorso alla guerra civile.
L'armistizio consolidato fa riferimento agli anni successivi, in cui le prime attuazioni della Costituzione testimoniano che non è pi in gioco la sua revoca. Il completamento parziale e selettivo del quadro istituzionale è sintomo del fatto che il consolidamento della Costituzione avvenne attraverso il suo congelamento nella condizione, appunto, di "cornice" (non di "motore") della politica. La parte "non minima" della Costituzione (il suo disegno riformatore) era riconosciuta solo come orizzonte di valori, non di programmi; come insieme di fini, non di mezzi. E tuttavia il "gelo costituzionale" fu gelo sì, ma non proposito di rovesciamento, se non da frange minoritarie che furono dette, appunto, "eversive".
Il disgelo comprende gli anni in cui quell'idem sentire che aveva ispirato la scrittura della costituzione (nei suoi protagonisti pi riflessivi, al di là del crudo armistizio strategico) riacquista forza, e si fa consenso intorno a un disegno di sviluppo sociale e (con meno chiarezza) di sviluppo politico. L'attuazione della Costituzione si pone come problema di attuazione di un insieme di politiche e di progressivo abbandono della conventio ad excludendum. I partiti dell'arco costituzionale vedono nella Costituzione non pi solo un insieme di regole armistiziali sullo svolgimento della lotta politica, ma un modello complessivo di società (sono gli anni che vanno dalla riforma pensionistica, dallo statuto dei lavoratori e dall'attuazione delle regioni alla realizzazione del servizio sanitario nazionale). Anche in questo periodo l'eversione fu forte e feroce, ma il sistema politico, nella sua parte assolutamente maggioritaria, continuò - almeno pubblicamente - a tenere rigorosamente separato il problema della difesa dell'ordine costituzionale da quello di un suo cambiamento.
Ma i giudizi sul decennio erano divaricati, e il tarlo dell'"eccesso di democrazia", o dell'eccesso di complessità, stava lavorando. La nuova glaciazione si è diffusa quando nel nostro sistema politico hanno trovato radici le suggestioni della rivoluzione passiva reganiana e thatcheriana e le parallele suggestioni maggioritarie e leaderistiche. Le une in polemica con il modello di welfare tardivamente realizzato nel decennio precedente; e le altre (la grande riforma craxiana) in polemica con l'evoluzione parlamentare del medesimo decennio, che avrebbe inevitabilmente portato in modo stabile il Pci nell'area delle forze di governo. Questa seconda glaciazione - che può essere collocata tra il ristabilimento della conventio ad excludendum, con il cosiddetto "preambolo", e il referendum sul sistema proporzionale: il boomerang che colpì gli autori di quella chiusura - ha fatto regredire il riconoscimento della costituzione del 1947 oltre i limiti ai quali si era fermata la prima. Non solo non si è pi visto nella Costituzione un programma politico da attuare in funzione dello stabilimento di un modello di società attualmente condiviso, ma non si è pi neppure accettato che la Costituzione rappresentasse un quadro soddisfacente di fini proiettati sul futuro; e soprattutto si sono messe in discussione le regole sulle forme della lotta politica e sulla forma della democrazia (da democrazia organizzata, fondata sulla mediazione dei partiti, a democrazia individualistica, fondata sul rapporto immediato tra singoli e rappresentanti). Con quest'ultimo passaggio - giunto a piena maturazione col referendum predetto, ma perfettamente presente già nella "grande riforma" - si è sancito che la Costituzione del '47 aveva cessato di rappresentare lo strumento essenziale di un equilibrio strategico vitale. Con questa ammissione si può dire che la costituzione materiale formatasi nel periodo del CLN sia finita.
I confini tra questa fase e quella successiva sono labili. Infatti, se la "lotta sulla Costituzione" è il fisiologico, per quanto aspro, conflitto che ha per posta il prevalere di una o di un'altra sua interpretazione, e se la "lotta per la Costituzione" è invece il patologico conflitto tra chi ne difende l'attuale validità e chi ne afferma invece interpretazioni svalutative, al limite della desuetudine, invocando discontinuità sostanziali (e dunque l'instaurazione, di fatto o di diritto, di un nuovo ordinamento), è evidente che profili di "lotta per la Costituzione" erano già presenti negli anni Ottanta. Ciò che è cambiato è il rapporto di forza, in quanto i fautori di una permanente validità della Costituzione del 1947, e della permanente normatività della cultura politica che l'ha ispirata, sono divenuti sempre pi deboli. Sono assolutamente minoritari tra le forze politiche organizzate, e sopravvivono essenzialmente in "movimenti" spontanei e in settori della cultura giuridica e degli organi giurisdizionali. In questo senso si può dire che nell'attuale legislatura e in quella precedente la lotta sulla Costituzione sia stata sostituita dalla lotta per la Costituzione (che assume sempre pi i connotati di una "resistenza": come tale sparsa e minoritaria).

2. Che sia viva questa resistenza non deve consolare i giuristi pi di tanto; e soprattutto non può nascondere il fatto che il progressivo sfarinamento della Costituzione sotto i colpi di culture politiche ostili non è stato al centro di una sostanziosa riflessione incentrata sui rapporti tra la Costituzione e il suo oggetto, e cioè l'insieme di quelle che sinteticamente possono essere chiamale le "strutture fondamentali" della società. Anzi, questa stessa distinzione, questa reciproca irriducibilità, con la conseguente necessità di elaborare il dover essere a partire da una conoscenza solida - per quanto autonoma, iuxta propria principia - dalle questioni poste dall'essere, non è stata pressoch praticata, a causa della perdurante frattura tra diritto costituzionale e scienze sociali. Non si tratta di rimettere in discussione la distinzione tra diritto e fatto, tra validità ed effettività, ma, al contrario, di criticare l'assenza di un "parallelismo delle conoscenze" che sarebbe stato prezioso.
La crisi della Costituzione è infatti stata occultata dall'atteggiamento, diffuso nella gran parte degli studiosi delle ultime generazioni, che considera obsoleto il problema del fondamento della validità della Costituzione in termini politici complessivi, che richiedano il concorso delle forze sociali, e delle culture politiche, dominanti. L'escamotage - che consente di continuare a stare chiusi dentro le confortanti barriere disciplinari, sempre pi micro-tecnicizzate - consiste nel ritenere che - dopo la fine delle grandi narrazioni, delle ideologie, della lotta di classe, dell'azione collettiva, dei partiti di massa, del governo (che viene surrogato dalla governance), della politica (che si pluralizza nelle politics e nelle policies), della storia, della scalata al cielo " - la Costituzione si fondi direttamente sulla società, anzi sui singoli cittadini, che trovano in essa la carta dei "loro" diritti. Con il che, il problema della validità sarebbe risolto, in termini che potrebbero sembrare accettabili anche dal punto di vista di una teoria realistica, essendo ben possibile che alla Costituzione dei partiti, alla Costituzione dell'armistizio tra forze organizzate, succeda, con il diffondersi dell'area dell'overlapping consensus, la Costituzione fondata su una cultura politica diffusa, sul diretto "dialogo" dei singoli con i principi costituzionali.
Se non che questo modello finisce per restringere il ruolo della Costituzione pressoch esclusivamente nel circuito Corte costituzionale-giudice-individui, dunque nel circuito delle garanzie, presumendo che il problema dell'integrazione, o della costruzione dell'unità politica, o della politica costituzionale, o come altro si voglia designare il problema cardine dell'artificialismo antico e moderno, sia risolto e scontato. Se la Costituzione è la garanzia di un insieme di "pretese", che cosa "costituisce" il contesto entro il quale quelle pretese possano trovare soddisfazione? Come si può vedere solo nei giudici e nella Corte i portatori e gli attuatori della Costituzione? Il perfezionamento - dovuto all'introduzione della giustizia costituzionale - della tutela dei diritti "naturali" non può far dimenticare il problema di come "le leggi di natura " divengano effettivamente leggi" (Hobbes, Leviatano, par. XXVI).

3. Se non si prende la scorciatoia della "Costituzione dei diritti", resta il problema di come adeguatamente rifondare la validità della Costituzione nel suo complesso (per definire la quale, in contrapposizione alle letture riduttive, potrebbe essere utile tornare ad utilizzare la desueta espressione di "Costituzione politica"). Per far ciò non è sufficiente (per quanto assolutamente necessario) utilizzarla - e chiedere che sia utilizzata, da parte dei titolari di tutti gli organi costituzionale - come perfettamente valida, contro il dilagare dei giudizi, e dei comportamenti, svalutativi. Occorre tornare continuamente ad argomentarne le buone ragioni.
Ma con questo si viene al problema della definizione della fase attuale: è questo un compito ragionevolmente possibile, mentre sta entrando nella fase decisiva il progetto di riscrivere gran parte del testo della Carta del 1947?
Dipende dalle forze politiche. Se finirà il grossolano equivoco di vedere nella difesa della Costituzione un atteggiamento politicamente conservatore ed intellettualmente inerte (equivoco dovuto all'ignoranza di chi non sa che i grandi sistemi normativi sono divenuti tali solo perch hanno beneficiato di interpretazioni e revisioni rispettose e costruttive) la deriva potrà essere contrastata, e forse arrestata. Il che produrrebbe un gran bene per il sistema politico nel suo complesso, anche per l'attuale maggioranza, perch un tale arresto potrebbe segnare un nuovo armistizio, un nuovo gesto di politica costituzionale nel senso pi alto del termine.
Se ciò non avverrà, si potrebbe temere - anche senza un'eccessiva dose di pessimismo - che la fase attuale sia destinata a configurarsi come quella dell'incubazione del "nemico interno". Sconfitte le residue forze che sostengono l'ispirazione dell'attuale Costituzione, posto il problema costituzionale non come problema di armistizio tra chi c'è per il solo fatto che c'è (a prescindere dalle sue credenziali "morali") ma come problema di vittoria del bene sul male, che cosa potrebbe impedire che un progressivo squilibrio nei rapporti di forza - accompagnato da gravi crisi internazionali - porti a vedere nella minoranza un nemico, secondo un copione che i nostri paesi conoscono benissimo? Tutto ciò potrebbe apparire esagerato, ma il diffondersi di fondamentalismi identitari (e la fragilità dell'economia complessiva) fornisce forse qualche rassicurante garanzia? In ogni caso è bene tenerlo a mente: altro è la lotta tra parti politiche contrapposte ed in reciproco equilibrio (che può "sublimarsi" kelsenianamente nella democrazia), altro è la lotta contro una parte debole ed esclusa da un paradigma identitario che si sia fatto dominante. Purtroppo qualche segnale comincia a intravedersi.

21 03 2005
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