Magistratura democratica e Movimento per la giustizia
1.
Il sistema dei diritti sta attraversando una stagione molto critica.
Da un lato, si assiste in settori importanti per la vita del paese
alla sua progressiva erosione, attraverso interventi normativi e
scelte amministrative, che rimettono in discussione l'astratto
riconoscimento di principi fondamentali che pure sembravano
acquisiti; e sembra inarrestabile la rincorsa ad un progressivo
svuotamento dei valori riconosciuti dalla Costituzione. Nel contempo,
“quegli stessi diritti stentano a trovare una tutela effettiva
nelle aule giudiziarie, a causa delle gravi difficoltà
manifestate dal servizio giustizia".
Per uscire da questa situazione occorre
dare risposte socialmente accettabili, adeguate alle nuove domande di
tutela, all'emersione delle nuove frontiere di diritti che richiedono
il rispetto delle condizioni di indipendenza della giurisdizione e
dei suoi attori all'interno del sistema istituzionale.
2.
Con il funzionamento della giustizia nulla hanno a che fare le
torsioni dell’assetto costituzionale della magistratura, che
non risolvono uno soltanto dei problemi della giustizia mentre
aggravano le esigenze di pieno adeguamento dell’ordinamento
giudiziario a cui continua inutilmente a far rinvio la disposizione
transitoria della Costituzione..
Al funzionamento della giustizia
neppure giovano riforme che continuano a porre al centro dei suoi
problemi le norme processuali, ma servono - come la
magistratura associata ha continuato a ripetere inutilmente per tanti
anni – interventi che incidano sulle risorse e quindi
servono:
a) uffici giudiziari razionalmente distribuiti sul
territorio, dimensionati nell’organico in modo da consentirne
autonomia di funzionamento ed effettiva possibilità di
gestione, presidiati da tecnologie informatiche corrispondenti alle
necessità di un processo moderno e di un’organizzazione
dinamicamente rivolta ai bisogni di giustizia, integrati da un
circuito di giudici di pace professionalmente adeguati e con uffici a
loro volta razionalmente distribuiti sul territorio;
b) serve che non si lascino trascorrere anni prima
di dare attuazione alla legge sull’aumento dell’organico
della magistratura o di ricoprire ed adeguare l’organico del
personale amministrativo e degli ufficiali giudiziari;
c) serve che siano ridisegnati e valorizzati nella
cornice della Costituzione e nella logica complessiva del servizio,
compiti e funzioni della magistratura onoraria, oltre che facendo
crescere nei fatti, con un serio sostegno di mezzi e di strumenti e
non solo declamandoli a parole, strumenti conciliativi capaci di
favorire il superamento e la composizione dei conflitti senza
necessità di ricorrere al giudice;
d) serve l’insieme
di misure necessarie a far sì che il processo possa costituire
per tutti, abbienti e meno abbienti, un luogo accessibile ed
effettivo di tutela.
Tutto ciò comporta per il
bilancio dello Stato spese e costi. Ma la democrazia è
complessa, implica che si investa e che si spenda, ed immettere mezzi
e risorse è l’unica scelta consentita dall’art.
110 della Costituzione.
3. Il corretto funzionamento della giustizia impone,
in secondo luogo, un radicale mutamento sul modo di concepire
l’organizzazione all’interno degli uffici giudiziari
superando quella duplice scissione per cui, da un lato il magistrato
continua a restare indifferente “alle questioni, considerate
sempre un “altro da sé” dei tempi e durata dei
processi, delle priorità e della migliore combinazione delle
risorse e dei “fattori della produzione”, e
dall’altro si assiste ad “un’organizzazione
amministrativa nel comparto giustizia (con relative dinamiche
contrattuali del personale amministrativo, ampliamento di ruolo della
dirigenza amministrativa, introduzione massiccia delle nuove risorse
tecnologiche con problemi assolutamente inediti di gestione e
finalizzazione) letteralmente “separato” e spesso del
tutto avulso dai reali e prioritari bisogni della giurisdizione”.
All’immagine frammentata e disarticolata dell’organizzazione
giudiziaria, che ha fatto parlare di un sistema in cui “ciascuno
è responsabile di una singola fase del “processo
produttivo” ma nessuno è responsabile del risultato
finale”, occorre sostituire una visione ed una pratica capaci
di attuare il coinvolgimento di tutti i soggetti (magistrati
dirigenti, dirigenza amministrativa, singoli magistrati, cancellerie,
avvocati, ordini professionali) nella preventiva elaborazione di un
progetto, nella concreta applicazione di esso e nel suo monitoraggio
periodico e costante. E’ questa anche la premessa per
ridisegnare professionalità e competenze avendo in mente un
modello operativo fondato non sugli aumenti indiscriminati degli
organici, sulle immissioni in massa nei ruoli della magistratura (sia
pure “onoraria” o “di complemento”) e sulla
moltiplicazione di nuove figure, ma sull’impiego ottimale e sul
completamento delle risorse umane, tecniche e materiali esistenti.
Si tratta di dar luogo a un vero e proprio modulo
operativo sintetizzabile nella formula “ufficio per il
processo”, mediante:
a) l’organizzazione degli uffici
giudiziari secondo un metodo partecipativo che valga a
trasformare le tabelle in piano d’azione collettivo, da
elaborare per il tramite del preventivo confronto con gli utenti
“esterni” (l’avvocatura, le associazioni che
operano nel campo della promozione dei diritti, gli enti locali a cui
si chiede di contribuire alla funzionalità del servizio) e la
successiva definizione del programma di concerto sia con la dirigenza
amministrativa sia con le unità organizzative intermedie
(sezioni dell’ufficio), che debbono diventare il centro
propulsivo della nuova organizzazione;
b) la creazione di
uffici statistici, anche su base distrettuale, idonei a
consentire la rilevazione dei flussi, la tipologia e l’entità
della domanda, l’analisi anche comparata dell’andamento
dei ruoli individuali e sezionali in modo da verificare lo stato di
attuazione dei programmi organizzativi e da consentire l’adozione
dei conseguenti rimedi e correttivi;
c) la dotazione delle singole sezioni
di assistenti di studio per la ricerca dei materiali
giurisprudenziali e la catalogazione e trattamento informatico dei
precedenti ai fini della loro successiva socializzazione, assistenti
di udienza cui affidare, oltre a compiti di verbalizzazione, la
cura del fascicolo prima dell’udienza e la registrazione degli
esiti di questa anche con l’impiego di nuove tecniche di
archiviazione, ed assistenti amministrativi per la
collaborazione nella stesura di minute di provvedimenti aventi
carattere di routinarietà, nel quadro delle istruzioni
impartite dal titolare del fascicolo;
d) l’attuazione e
lo sviluppo del Processo Civile Telematico, nella triplice
direzione della comunicazione tra i soggetti del processo, della
conduzione dell'udienza "informatizzata" e della dotazione
a giudici e cancellerie di strumenti di analisi dei ruoli per la più
consapevole ed efficace gestione del contenzioso.
La valorizzazione delle risorse telematiche,
liberando energie oggi malamente o impropriamente utilizzate
costituiscono anche la premessa di un generale processo di
riqualificazione professionale, nel cui ambito potrebbe essere presa
in considerazione anche l’ipotesi della delega a funzionari
amministrativi di eventuali compiti di natura paragiurisdizionale,
alla stregua di quanto già accade in ambito europeo;
e)
l’appropriata utilizzazione della magistratura onoraria,
uscendo – per quanto concerne i g.o.t. – dalla caotica
situazione attuale e disegnando con chiarezza le funzioni che ad essi
si ritiene di poter attribuire, con la previsione di un organico ex
lege che fissi per ciascun ufficio un tetto numerico al fine di
arginare l’indiscriminato aumento cui neppure il CSM è
riuscito a porre un freno a causa delle pressioni provenienti dalle
diverse sedi. In una prospettiva tesa a recuperare la funzione
conciliativa come metodo di risoluzione dei conflitti, e nel contesto
di un ufficio adeguatamente organizzato per lo svolgimento dei
relativi compiti, non appare astratto considerare l’ipotesi di
un impiego dei g.o.t. in questa direzione; né appare esclusa
la possibilità di fondare su questa figura un supporto per
l’attività di udienza del magistrato togato in funzione
di presidio per determinati snodi costituiti dal carico di lavoro o
in rapporto a progetti di smaltimento del contenzioso, sempre
nell’ambito di una delega di singole fasi processuali e non di
interi ruoli contenziosi, allorché il giudice professionale
risulti contemporaneamente impegnato in altre attività più
urgenti o più importanti.
Nel reclutamento di questo nuova
figura di g.o.t., si potrebbe pensare di attingere dai ranghi degli
specializzandi delle scuole Bassanini o delle scuole forensi, come
terzo anno previsto a completamento del progetto formativo.
Il momento formativo può
costituire, più in generale, un’utile occasione per
predisporre le nuove leve dell’avvocatura, della magistratura e
della dirigenza amministrativa ad una diversa sensibilità per
i temi organizzativi. Di qui, tra l’altro, l’importanza
che gli stages con studenti universitari, già
sperimentati con successo in alcune sedi, diventino iniziative
diffuse in tutti i tribunali.
4. Il buon andamento della giustizia investe in
pieno, a tutti i livelli e senza attendere riforme che non verranno o
che sarebbero dannose, anche i compiti dell’autogoverno e la
capacità autorigeneratrice delle prassi.
E’ in corso da qualche anno un processo di
presa di coscienza che coinvolge la gran parte dei giudici civili di
tutte le sedi giudiziarie i quali avvertono come assoluta ed
improcrastinabile la necessità di farsi carico, in prima
persona e pur lavorando in condizioni di obiettiva difficoltà
sulle quali non sempre il giudice è in grado di intervenire,
delle gravi inefficienze organizzative in cui annaspa la giustizia
civile del nostro paese.
Di questo movimento sono
forza motrice gli Osservatori sulla giustizia civile, già
operanti in diversi distretti giudiziari ed in via di progressiva
espansione, con lo scopo di favorire, al fuori di ogni logica di
appartenenza, il confronto e la collaborazione tra quanti a vario
partecipano alla gestione del processo (magistrati, avvocati,
personale di cancelleria, professori universitari).
Gli
Osservatori, anche innestando un processo di superamento dei
riflessi corporativi propri di ciascuna categoria professionale,
hanno svolto e svolgono una importante funzione formativa, in
quanto:
*
costituiscono strumenti privilegiati nell’ambito dei quali
l’avvocatura può, spontaneamente e senza timori,
esprimere la propria opinione sulla organizzazione degli uffici
giudiziari e partecipare alla discussione dei progetti tabellari;
*
sono la sede dove l’università in senso ampio
(professori, ricercatori, dottorandi, specializzandi delle scuole
Bassanini), può trovare un collegamento culturale ed
organizzativo con la formazione decentrata dei magistrati e con le
esperienze di formazione per l’acceso alla professione forense,
nella prospettiva di gettare le basi per una formazione giuridica
comune;
*
possono offrire un luogo informale di confronto per rappresentare il
proprio punto di vista e prendere coscienza contemporaneamente del
punto di vista altrui, talvolta semplicemente ignorato.
E’ nato tra
l’altro da questo impegno, già in diverse parti
d’Italia, l’elaborazione di “protocolli di
udienza” per regolare le modalità di
svolgimento delle attività processuali colmando gli spazi
lasciati dalle norme e proponendo le prassi applicative e
organizzative ritenute più adeguate. I protocolli di udienza –
come pure il “libro bianco” distribuito dall’ANM al
convegno del dicembre scorso su “‘Processo e
organizzazione”’ – testimoniano l’emersione
dello stretto collegamento da sempre esistente tra regole del
processo e deontologia organizzativa, ed aiutano a comprendere, a
scoprire o a “riscoprire” come tra gli ostacoli che si
oppongono alla piena realizzazione dei diritti ed all’accesso
alla giustizia si annoverano a volte anche nostre pigrizie,
insensibilità, chiusure che contribuiscono ad accrescere “il
senso di estraneità e di disorientamento, le incomprensioni, i
disagi, i danni, le vere e proprie sofferenze dei cittadini che
entrano in rapporto con la giustizia”.
Essi
testimoniano, inoltre, come il metodo del confronto dialettico con
gli altri “operatori” e la collaborazione con il
ceto forense sia un fattore indispensabile per far funzionare il
processo, nel pieno rispetto del ruolo e delle funzioni di ciascun
soggetto, in vista di valori condivisi.
5. Di fronte al moltiplicarsi dei modelli
processuali che rivelano come “alla novità degli
interessi ed alle domande di nuova efficienza… della
società civile il sistema politico istituzionale
reagisce con la produzione” di sempre nuovi “riti
di difficile dominio culturale ed organizzativo”, dobbiamo
ribadire che il cattivo funzionamento della giustizia non può
essere superato rifuggendo dalle vere cause che nell’esperienza
concreta trasformano il processo in luogo di burocratici passaggi e
di vuoti adempimenti, comprese tra tali cause anche la neghittosità,
l’inettitudine e l’inerzia, ma creando le condizioni
organizzative, culturali e professionali che permettano ovunque al
processo di funzionare, fermo restando che nei confronti delle
pigrizie, dell’incapacità e del disimpegno non si può
avere alcuna indulgenza.
Anche la disciplina del processo, certo, ha bisogno
di interventi, che valgano a semplificarne le forme, a contrastarne
gli abusi e l’uso dilatorio, ad incidere sul sistema delle
impugnazioni ed a dare risposta alle domande in cui si riflettono
posizioni collettive e diffuse. Ma la rigeneraziore della giustizia
civile non può essere affidata a riforme che rischiano di
sclerotizzare ancor di più la dialettica processuale tra
giudice e parti, ma incidendo sui nodi che ne ostacolano il
dispiegarsi, prendendo a modello non le prassi negative, ma quelle in
cui – esplicandosi il rapporto dialettico giudice/parti fin
dall’inizio della controversia in modo pieno ed effettivo, in
una sequenza ordinata di atti, in un comune contraddittorio che mira
a sfrondare l’inutile e il vano, in un contesto organizzativo
adeguato, con un ruolo di udienze umano e tollerabile - se ne giova
la speditezza del processo, ne guadagna la qualità della
risposta giudiziaria, ne risulta agevolato lo stesso svolgimento
dell’attività dei difensori.
L’esercizio della giurisdizione,
tanto più in un mondo “caratterizzato dal rischio, dalla
diversità e dall’interdipendenza”, richiede
confronto continuo, sensibilità culturale, capacità di
ascolto; e ciò rimanda, prima di ogni altra cosa, ad “
una riforma delle culture e della deontologia, che consegni al
processo protagonisti culturalmente preparati, efficacemente
organizzati, legati da una comunanza dei valori di fondo”.
L’esperienza
dimostra nei fatti che tante cose possono migliorare, in termini di
efficienza e qualità del servizio, se solo vi sia la volontà
di far funzionare gli strumenti esistenti, nel processo di cognizione
come in quello di esecuzione. Il richiamo alle potenzialità
racchiuse nell’ordinamento giuridico aiuta a individuare la
riforma possibile, quella che dipende, almeno in parte, solo da noi.
Napoli, settembre 2004