L'autogoverno: una crisi da superare


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del segretario nazionale Claudio Castelli

1. Un autogoverno in crisi.

L'autogoverno della magistratura italiana è in crisi. Lo è nella capacità operativa del Csm e dei Consigli Giudiziari, lo è nei rapporti tra amministrazione ed amministrati, lo è nella concreta gestione degli uffici, lo è nella limitata partecipazione dei magistrati che solo raramente si fanno carico dei problemi dell'ufficio. Continuare ad ignorare il problema, nel timore di pericoli ben pi gravi dati dalla controriforma dell'ordinamento giudiziario, e lasciando che serpeggi tra i magistrati e fuori una forte sfiducia per un'istituzione che dovremmo sentire come nostra, è sbagliato e perdente. La realtà è che già oggi i messaggi culturali contenuti nella controriforma dell'ordinamento, dalla gerarchizzazione, all'arrivismo, alla creazione di carriere parallele, stanno provocando poderosi danni. Il sistema dell'autogoverno non è di altri, ma è frutto e patrimonio di tutti i magistrati ed è presupposto indispensabile per la difesa della nostra indipendenza e della stessa qualità del nostro lavoro. Ebbene questo sistema è in pericolo con un rischio di implosione non meno grave degli attacchi esterni. Un allarme va lanciato e va sollecitata l'attenzione e la riflessione di tutti prima che sia troppo tardi.

2. Le responsabilità di ogni magistrato.

Sarebbe sbagliato ritenere che l'autogoverno si identifichi solo o anche principalmente con il Consiglio Superiore della Magistratura. L'autogoverno è in sofferenza a tutti i livelli a partire dalla consapevolezza del singolo magistrato di non essere una monade isolata, ma parte di un ufficio e di un servizio di cui occorre farsi carico, e di cui ogni singolo magistrato è parte dirigente: La realtà è che a fronte della penuria di risorse e dei tentativi di restaurazione nei pi diversi settori, è scemata la fiducia in un cambiamento e miglioramento del servizio e non si intravede pi alcun progetto di innovazione e di soluzione degli annosi problemi della giustizia. Le proposte di controriforma e l'assenza di un disegno che possa dare una prospettiva di miglioramento scoraggiano qualsiasi responsabilizzazione e sforzo, anche a fronte di un costante peggioramento nel carico e nelle modalità di lavoro dati da una conflittualità sempre crescente e da un rinnovato aumento dei delitti. E' il segno del declino del nostro Paese nel nostro settore.

3. La direzione degli uffici giudiziari: inadeguatezza e gerontocrazia.

I dirigenti degli uffici non riescono a far fronte ai complessi compiti che ricadono su di loro, dalla difesa dell'indipendenza dell'ufficio e dei singoli magistrati, all'organizzazione del settore, alla sinergia con il personale amministrativo e gli altri uffici. Troppi dirigenti si manifestano alla prova dei fatti inadeguati e molti sono stati scelti male, ma il problema non si esaurisce in ciò. E' un problema anche di risorse, di competenze, di formazione, di saperi. Spesso ci lamentiamo della scarse capacità organizzative dei nostri dirigenti, ma anche nel migliore dei casi noi chiediamo ad un ottimo ( si spera) magistrato di inventarsi dirigente, senza alcuna formazione preventiva, senza alcun serio aiuto organizzativo, senza alcun serio vaglio gestionale e valutazione degli obiettivi raggiunti nelle esperienze avute, improvvisandosi in quello che è un altro mestiere. La verità è che tuttora l'approdo alla dirigenza viene visto da larga parte dei magistrati come inevitabile sbocco della "carriera" per cui ad una certa età, al di là di capacità ed attitudini, il raggiungimento di un incarico direttivo viene vissuto come inevitabile coronamento. Le conseguenze sugli uffici sono inesorabilmente negative. A ciò occorre aggiungere che la riduzione del numero dei posti direttivi, conseguenza dell'abolizione della Preture e delle Procure presso le Preture, unita all'elevazione del limite di età a 75 anni ha portato ad un ulteriore slittamento del livello di anzianità necessario per l'approdo a posti direttivi. Il risultato è una perfetta gerontocrazia in cui bisogna normalmente avere 60 anni per ambire a posti direttivi e, nelle sedi maggiori, anche semidirettivi. E' un sistema che mortifica larga parte dei suoi appartenenti, in particolare nella cruciale fascia di età tra i 40 ed i 60 anni, e che non sfrutta le enormi risorse, anche organizzative e gestionali, che potremmo vantare al nostro interno.

4. I limiti dei Consigli Giudiziari.

I Consigli Giudiziari sono stati sempre pi valorizzati e nel contempo oberati di compiti. Ciò deriva dal crescente numero di amministrati, dovuto all'istituzione del giudice di pace e agli organici della magistratura onoraria, e dalla sempre pi pregnante funzione consultiva data ai Consigli Giudiziari, in particolare in tema di pareri per gli incarichi direttivi e semidirettivi e per la progressione in carriera. Tale crescita esponenziale di impegni non ha comportato alcuna crescita di risorse per organi che non hanno n le strutture, n ausili di alcun tipo, n il tempo per soddisfare quanto viene loro richiesto.

5. Le ragioni oggettive delle inefficienze del Csm: legge istitutiva e struttura.

Il Csm dovrebbe essere il vertice organizzativo della magistratura e svolgere, tra le altre, le funzioni di "ufficio del personale" di un corpo sempre pi vasto, composto da 9000 magistrati togati, 4000 giudici di pace e 3000 altri magistrati onorari. I difetti di funzionalità, effettività comunicazione del Csm hanno origini lontane e diversificate. Vi sono ragioni oggettive anzitutto. Un primo ordine di limiti deriva dalla stessa impostazione della legge istitutiva del 1958 e dalle drammatiche carenze strutturali. Non bisogna dimenticare che la stessa istituzione del Consiglio è stata storicamente osteggiata, tanto da realizzarlo, nonostante la previsione costituzionale, con un ritardo di oltre 10 anni e con una legge che lo configurava pi come una struttura di supporto del Ministro, che come organo autonomo di governo della magistratura. Sentenze della Corte Costituzionale e una lunga battaglia hanno emancipato il Csm, realizzando almeno parzialmente il dettato costituzionale, ma l'insufficienza e la farraginosità normativa rimane, tanto da costringere ad affrontare anche la questione pi minuta e scontata prima in Commissione e poi in plenum al Consiglio e da non consentire deleghe esterne.
A ciò si aggiunge una struttura che, pur potenziata negli anni, è inadatta a far fronte sia all'aumento quantitativo di impegni ( derivante dallo stesso incremento di numero degli amministrati), sia alle crescenti necessità specie in materia di organizzazione e formazione. Ancora oggi tutto è congegnato come controllo burocratico e paghiamo l'assenza di sensori che possano dar vita ad un flusso vitale di informazioni sulla realtà degli uffici e sulle capacità dei singoli e la mancanza di un proprio servizio ispettivo che possa fungere da controllo gestionale. In tal modo il Csm è sempre pi impossibilitato a far fronte alle sfide di modernità che la stessa evoluzione del servizio pone.
E' poi saltato con questo Governo un rapporto di sinergia e di collaborazione da parte del Ministero della giustizia ( rapporto imposto dalla stessa diarchia Csm - Ministero creata dalla Costituzione), teso ad affermare le proprie prerogative e del tutto assente sotto il profilo progettuale. La gestione ministeriale del caso "Cordova" con un atteggiamento puramente ostruzionistico da parte del Ministero è emblematica al riguardo.
Ma oltre a questo una serie di nodi stanno venendo al pettine per la riduzione del numero di componenti e per una serie di processi incompiuti di cui oggi il Consiglio comincia a pagare le conseguenze.

6. La riduzione del numero dei componenti del Csm

La riduzione del numero dei componenti del Consiglio è stata una scelta strategica di Ministro e Governo per indebolire ed abbattere la funzionalità del Consiglio in modo silenzioso ed indolore. Una scelta che sta pagando E' facile vedere che ridurre le risorse a fronte di un costante aumento di compiti è suicida. Se a questo si aggiunge che ogni consiliatura si trova inevitabilmente a pagare prezzi per il rodaggio, per la stessa novità di struttura e di mestiere cui si è chiamati, si ha un quadro delle difficoltà odierne. La riduzione del numero dei componenti doveva imporre una radicale riorganizzazione della struttura, stabilendo priorità, automatizzando i settori dove minore è la discrezionalità, rendendo trasparenti e controllabili le scelte. Nulla di tutto ciò è stato fatto e, va aggiunto, nulla di tutto ciò era possibile da parte di un Consiglio appena eletto che non poteva avere n il quadro dell'organizzazione esistente, n un'idea delle modifiche necessarie. Ma il problema si pone oggi con forza. Non si tratta solo dell'azzeramento di qualsiasi intervento in tema di criminalità organizzata, ma della dilatazione dei tempi per alcune nomine ( in particolare di incarichi direttivi e semidirettivi), della rinuncia a qualsiasi effettività nel controllo sulle scelte organizzative, dell'abbandono della spinta propulsiva in settori cruciali quali l'organizzazione, la formazione, l'informatica, gli indici di carico di lavoro.

7. La mancanza di canali di informazione.

Di fronte a ciò il Consiglio opera come se avesse risorse e tempi illimitati, con priorità fissate solo occasionalmente, e senza un rapporto con le continue emergenze del mondo della giustizia. Probabilmente una certa astrazione dal contingente è inevitabile ed anche dovuta per un organo istituzionale che non deve indulgere al sensazionalismo e deve mirare a scelte meditate, razionali e programmate, ma la distanza del Consiglio dai problemi reali e dalle questioni che investono la giustizia è ben pi drammatica.
Anzitutto una drammatica carenza di dati attendibili e di informazioni. Gli elementi esistenti circa il carico e la produttività degli Uffici sono carenti, episodici, privi di omogeneità e dipendono in larga parte dalle doglianze dei dirigenti degli uffici che premiano chi si lamenta meglio e non chi ha pi bisogno. Le valutazioni sulla professionalità si fondano principalmente su pareri dei Consigli Giudiziari scarsamente rappresentativi della realtà e troppo spesso unanimemente elogiativi che non consentono di avere l'idea delle effettive capacità dei magistrati, specie in via comparativa.
Inoltre i tempi con cui vengono affrontate le pratiche all'esame del Consiglio sono tali da rendere parte delle delibere e degli interventi del tutto privi di efficacia ed importanza. Ciò non avviene solo per i limiti oggettivi sopra evidenziati o per ritardi ed ostruzionismi artatamente procurati, ma anche per una logica di autoreferenzialità che tende a estraniare e a fare del Consiglio il centro del mondo.

8. La questione morale.

Una questione morale in magistratura vi è ancora e, come dimostrato da processi penali che hanno visto coinvolti magistrati, merita una rinnovata attenzione.
Anche sotto questo profilo il nostro sistema dimostra falle e tendenze preoccupanti.
Il sistema della giustizia disciplinare rivela -- oltre alle torsioni determinate da iniziative iper-politicizzate del Ministro, alcune delle quali veramente sconcertanti -- un'accentuazione della tendenza a colpire verso il basso: l'esercizio dell'azione, colpisce, a volte con grande severità, violazioni connesse a cadute di professionalità (ad es. il ritardo nel deposito o nell'adozione di provvedimenti), ma fa molta pi fatica ad accertare violazioni sintomatiche di rapporti opachi dentro e fuori la magistratura o di approcci all'attività giurisdizionale non sorretti da adeguata cultura dell'indipendenza, quando non addirittura disinvolti. Ed il rischio è che la stessa giurisdizione disciplinare si adegui a questa tendenza, affermando una giustizia disciplinare forte con i deboli e debole con i forti.
Il trasferimento d'ufficio ha indubbiamente mostrato, specie negli ultimi tempi, segni di grande efficacia, testimoniati dal fatto che l'inizio della procedura ex art. 2 L.G. ha talora preceduto l'avvio dell'iniziativa disciplinare. Insieme ai suoi tradizionali punti di forza (in primis, la sua azionabilità su iniziativa dello stesso Csm), il trasferimento per incompatibilità presenta tuttavia limiti, per così dire, strutturali: l'insopprimibile caratura garantistica della procedura -- destinata ad incidere sul principio di inamovibilità del magistrato -- fa sì che lì dove la contestazione posta a base della procedura di trasferimento d'ufficio coincida con un'accusa penale (e non siano enucleabili profili della prima autonomi rispetto alla seconda), il procedimento penale detti i suoi tempi (ed anche i suoi risultati) alla procedura ex art. 2 L.G.. Occorre poi sempre ricordare che la procedura ex art.2 non è finalizzata a sanzionare comportamenti, ma a rimuovere situazioni, anche incolpevoli, di incompatibilità, che possano offuscare l'esercizio imparziale della funzione.
Anche su questo terreno, dunque, è necessario valorizzare l'autogoverno a livello locale: dall'osservanza della prescrizioni tabellari in punto di assegnazione degli affari e di composizione dei collegi al ruolo dei consigli giudiziari nell'istruttoria relativa alle situazioni di incompatibilità ex artt. 18 e 19 O.G., è proprio l'autogoverno locale che può e deve svolgere un ruolo decisivo nel preservare condizioni di trasparenza all'attività giurisdizionale.

9. Alcuni processi incompiuti: dall'anzianità alle attitudini e la temporaneità delle funzioni.

Alcune delle grandi scelte operate dai passati Consigli stanno ora mostrando enormi limiti, semplicemente perch si tratta di processi incompiuti che non si è avuto il coraggio e la capacità di realizzare appieno.
All'inizio degli anni 90 venne fatta la scelta di privilegiare i criteri delle attitudini e del merito, a scapito dell'anzianità, in relazione alle nomine ad incarichi direttivi, semidirettivi e di legittimità. Si è trattato dell'inizio di una vera e propria rivoluzione culturale che era stata imposta dalla cattiva prova che aveva dato il parametro dell'anzianità, in particolare nella nomina di centinaia di Pretori dirigenti e di Procuratori presso la pretura. Ma tale scelta non è stata accompagnata dall'adozione di strumenti adeguati di rappresentazione e verifica dei criteri delle attitudini e del merito, con il rischio di far divenire arbitrio un necessario aumento della discrezionalità. Così continuiamo a basarci su statistiche nel migliore dei casi scarsamente significative e nel peggiore del tutto inattendibili ( per responsabilità del Ministero ad esse preposto), su pareri dei capi degli uffici e dei Consigli giudiziari privi di una seria valutazione delle attitudini di ciascuno e che non contengono pressoch mai una rappresentazione e valutazione dei risultati raggiunti nella propria attività giudiziaria e gestionale ( fondamentale per le nomine ad incarichi direttivi e semidirettivi). Per non parlare dell'elaborazione scientifica che si è tradotta nella produzione di titoli che, nell'impossibilità di una ponderata e congrua lettura e valutazione da parte della Commissione e del Consiglio, rischia di premiare pi il peso cartaceo che l'effettivo valore giurisprudenziale e dottrinario degli scritti. La conseguenza è che già oggi, ben prima della controriforma, viviamo l'arrivismo, le carriere parallele, la creazione di "titoli" da utilizzare per i concorsi, la corsa ad incarichi che possano essere spesi un domani.
Altro nodo irrisolto ed incompiuto è la temporaneità decennale di permanenza nella posizione tabellare degli uffici giudicanti Una temporaneità di permanenza, congrua, è scelta sacrosanta per evitare perdite di motivazione, assuefazioni, possibili incrostazioni di potere. Ma questo doveva essere il primo passo verso la creazione di percorsi professionali che valorizzassero le specializzazioni e le capacità per diffonderle in altri settori ed uffici e che incoraggiassero un ricambio graduale e ragionato. In assenza di ciò la temporaneità viene vista troppo spesso come una mannaia che provoca perdita di saperi e competenze, pi da eludere, che da rispettare. Il risultato è il fastidio con cui questa sorta di imposizione viene vista, dove i reali prezzi di perdita di professionalità si uniscono alle comodità messe in dubbio. Nei piccoli e medi uffici si costringono magistrati a cambiare di settore, in quelli grandi si giunge alle elusioni e a mutamenti meramente formali, cambiando gli affari di competenza delle sezioni o creando specializzazioni sempre pi parcellizzate e demotivanti. Non si tratta di abbandonare il principio della temporaneità, ma di inserirlo in percorsi professionali e di renderlo congruo ed eventualmente differenziato a seconda delle specializzazioni per far sì che sia praticabile ed appetibile.

10. Le colpe del Csm : clientelismi, lottizzazioni, logiche di protezione.

Vengono poi le ragioni soggettive, ovvero le colpe del Consiglio, che rappresentano la pagina nera del Csm e dell'Associazionismo, ovvero i clientelismi, le lottizzazioni, le logiche di protezione. In realtà i casi in cui si verificano favoritismi, corporativismi, violazioni delle regole sono molto di meno di quelli che sembrano. Se si ha la pazienza di andare a verificare le delibere adottate dal Consiglio in un anno ( che sono oltre 20.000) si può riscontrare come la stragrande maggioranza delle stesse sia unanime ( sulla base delle Circolari emesse), alcune possano non essere condivise, ma restano in un ambito di opinabilità, e solo qualche decina siano tali da non poter essere accettate e da indignare. Ciononostante queste poche decine di decisioni hanno un effetto devastante sull'intero sistema. Per la sfiducia e l'ombra di sospetto che gettano su tutta l'attività del Consiglio, ove ritardi e discussioni vengono interpretati come sintomo di trattative sottobanco. Per la diffusione di un ampio millantato credito di chi fa apparire come proprio merito decisioni pacifiche o iniziative dovute. Del resto è sugli episodi contestati che si muove la concorrenzialità e la discussione anche pubblica ed è questi che vengono enfatizzati con un ulteriore diffusione di discredito. E' vero che non corrisponde alla realtà generalizzare, imputandole a tutto e tutti, ed ignorando che dietro ogni decisione inaccettabile vi è la precisa responsabilità di componenti consiliari. Ed è altrettanto vero che il discrimine che ha rappresentato la grande differenza nella politica seguita al Consiglio è tra chi cerca di realizzare gli interessi dell'Amministrazione ( che coincidono con quelli delle generalità dei consociati) e chi premia gli interessi dei singoli, anche travolgendo regole e controinteressati. Ma da un lato l'attribuire le diverse responsabilità è limitatamente di aiuto a fronte di una generalizzata perdita di credibilità e di autorevolezza. E dall'altro anche riconducendo alla loro realtà le dimensioni delle ombre del Consiglio, non si può in alcun modo sminuirne la gravità. E' al Consiglio che vi è il potere ed è al Consiglio che questo deve essere esercitato correttamente ed in modo trasparente. Il fatto stesso che vi sia un dilagante qualunquismo secondo il quale ogni nomina venga fatta per appartenenza, ogni incarico si possa avere solo tramite appoggi è un dato da non condividere, ma di cui occorre tener conto per le basi reali che ha. Tale fortissimo allarme va lanciato anche perch il lento processo di miglioramento verso un Consiglio che appaia equanime e funzionale pare interrotto e con sintomi preoccupanti. La presenza di una componente laica di centro destra che a volte contesta in radice il ruolo del Consiglio, ha un impatto negativo sulla sua funzionalità, anche per le concessioni che da altri vengono fatte. Alcuni dati emblematici. Se nella Consiliatura 1994 -1998 la quota di incarichi direttivi nominati all'unanimità era il 85 % , si è scesi al 75 % negli anni 1998 -2002 e al 48 % nei primi due anni di questa Consiliatura. A riprova del formidabile potere di interdizione della componente di centro destra il 95 % degli incarichi direttivi assegnati ha avuto il loro voto, gruppo che pi di ogni altro è riuscito ad imporre le proprie scelte. Occorre una vera e propria rivoluzione culturale nel segno della modernità e della correttezza. In molti campi bisogna cambiare le regole ( si pensi a formazione, nomina e valutazione dei dirigenti, ai percorsi professionali, all'organizzazione degli uffici) e sempre occorre garantire che le regole siano rispettate. Occorre dimostrare nel concreto come l'immagine stereotipata che viene diffusa del Consiglio come parlamentino regno di lottizzazioni e clientele, logiche di scambio e corporativismi, sia un luogo comune falso. E' un problema di tutti , non solo di chi si trova oggi al Consiglio o riveste responsabilità associative, proprio perch il Consiglio è nostro ed una distruzione della sua credibilità ed autorevolezza menoma l'indipendenza e i diritti di ciascun magistrato.

11. I "guasti dell'anima" della magistratura italiana.

E' davvero un problema di tutti, perch a ben vedere troppo spesso il Consiglio non fa che realizzare pulsioni profonde che, ancora o già, esistono all'interno della categoria. Sono "i guasti dell'anima" come direbbe Cordero che larga parte della magistratura si porta dentro e che a loro volta condizionano il suo organo di autogoverno. Sono le logiche di protezione, corporative e microcorporative, localiste, dell'anzianità, della carriera che tuttora sono introiettate in moltissimi magistrati. Logiche che portano a scandalizzarsi per la nomina di una persona validissima solo perch meno anziana e a non dir nulla quando il prescelto, magari notoriamente incapace, è pi anziano. Logiche che ritengono che il proprio ufficio, sede o settore sia sempre quello pi in difficoltà che meriterebbe attenzione ed aiuto, mentre altrove vi sono posti, uffici o settori dove notoriamente non si fa nulla. Logiche che disinvoltamente mischiano le esigenze insuperabili della tutela dell'indipendenza con quelle assai meno nobili della propria comodità personale. Logiche che hanno ricostruito un'anomala carriera in cui vi è un percorso di incarichi, nomine, incarichi direttivi tutti visti non al servizio dell'amministrazione, ma dei propri obiettivi personali. Logiche che invocano il superamento delle regole solo per s, quale caso eccezionale e meritevole di una deroga. Si tratta di logiche che affondano nei guasti culturali provocati in questi ultimi anni, nel disprezzo della legalità, nell'arrivismo personale come parametro di valutazione di tutto, nella distruzione delle esigenze dell'Amministrazione. Sono logiche che dobbiamo contrastare non solo perch non danno futuro alcuno alla magistratura, ma perch sono parte di quel declino nazionale che siamo chiamati a contrastare nel settore in cui operiamo.

12. Cambiare radicalmente per difendere l'autogoverno.

Un vero e proprio radicale cambiamento si impone. Ma con la consapevolezza dei grandi risultati che negli anni grazie all'autogoverno e all'impegno di molti si sono avuti. Viviamo in un sistema, anzitutto, in cui la partecipazione è pi che possibile. Ciascuno può direttamente sperimentare cariche associative, istituzionali, settoriali. Abbiamo creato un sistema in cui la democrazia partecipata è una realtà. Ogni magistrato può aspirare e provarsi nell'impegno associativo, nella formazione decentrata, nei Consigli giudiziari, nelle responsabilità informatiche a seconda delle disponibilità e delle capacità. Abbiamo contemporaneamente impegnati oltre 150 eletti nei Consigli Giudiziari, 100 nella formazione centrale e decentrata, 50 come referenti informatici, 150 nella Giunte locali dell'Anm ( ovvero pi del 5 % di tutti i magistrati). Ed i limiti temporali dei vari incarichi impongono un forte ricambio, con ampie possibilità di valorizzazione e di sperimentazione. E' una democrazia che può vivere e che può attingere alle capacità di tutti coloro che lo vogliano. Ed anche al Consiglio, specie guardando al passato, occorre riscontrare come negli anni significativi passi in avanti siano stati fatti La direzione su cui il Consiglio si è mosso proficuamente è quella di dotarsi di regole che limitano la discrezionalità e che incanalano e rendono comuni le scelte. La formazione dei magistrati, centrale e decentrata, è un'invenzione del Consiglio per far fronte alle esigenze di una giurisdizione moderna e consapevole. La fine dello scandalo degli arbitrati e degli incarichi extragiudiziari che potevano comportare compromissioni e arricchimenti ( purtroppo ancora con eccezioni) è frutto di una battaglia senza soste che il Consiglio ha condotto in tutti gli anni 90. Lo stesso recupero quest'anno di una politica della mobilità che è riuscita a far fronte alla totale novità data dalla pressoch integrale copertura degli organici, dimostra che molto è possibile fare. Ma questo impone abbandonare una visione conservatrice e microcorporativa che, se seguita, rischia di portare la magistratura alla rovina. L'attuale situazione della giustizia non è difendibile e solo con un progetto alternativo che sappia coniugare indipendenza, funzionalità ed innovazione potremo essere vincenti. Anche nell'autogoverno è così, perch l'attuale autogoverno non verrebbe difeso neppure dai magistrati.
Occorre lanciare grandi progetti di cambiamento che possano incidere sulla funzionalità della giustizia e sulla vita professionale di tutti i magistrati.
Progetti che potranno essere realizzati non solo con un impegno al e del Consiglio Superiore, ma davvero di tutti.

A. Un progetto trasparenza su lavori, tempi e decisioni del Csm

Regole, decisioni e discussioni del consiglio devono essere chiare e facilmente consultabili. Il sistema intranet ed internet di cui il Consiglio è dotato possono diventare un formidabile strumento di comunicazione e di trasparenza, cui ciascuno possa accedere come propria informazione e come controllo democratico. D'altra parte i tempi delle pratiche, almeno a partire da alcune tipologie, debbono essere predeterminati almeno orientativamente. Il Consiglio deve darsi e dare ai Consigli giudiziari un timing orientativo come obiettivo di efficienza e come momento di trasparenza. Ciascuno deve sapere il tempo ragionevole in cui può avere una risposta e le ragioni di un ritardo.

B. Un progetto sulla dirigenza degli uffici: formazione, valutazione, criteri di scelta e controllo di gestione per i dirigenti degli uffici.

L'anzianità come criterio principe nelle nomine va abbandonata. Criterio centrale di nomina devono divenire attitudini e capacità gestionale. L'anzianità deve divenire criterio residuale o semplice requisito di legittimazione. L'aumento di discrezionalità che si ha in tal modo, va governato individuando indici di valutazione oggettivamente riscontrabili. In particolare chi ha già ricoperto incarichi di gestione deve essere valutato per i risultati che ha acquisito e per gli obiettivi proposti e raggiunti.
La nomina ad incarichi direttivi e semidirettivi va in larga parte sdrammatizzata inserendola in un percorso del tutto separato da qualsiasi obiettivo di carriera, legandola ad una formazione specifica per chi ricopra o voglia accedere a tali incarichi, un controllo di gestione sugli obiettivi e sui risultati, possibilità di revoca ( in attesa della temporaneità) in caso di inidoneità.

C. Un progetto per individuare ed agevolare percorsi professionali, onde coniugare mobilità, specializzazione e temporaneità.

L' obiettivo è avere trasferimenti rapidi in cui venga valorizzata e data precedenza alle specializzazioni acquisite, a partire dalla grande divisione civile - penale, per arrivare alle grandi ripartizioni per materia (lavoro, fallimentare, societaria, famiglia e minori, esecuzione e sorveglianza) che spesso intersecano diverse funzioni. Occorre tendere alla valorizzazione delle specializzazioni forti e alla creazione di percorsi professionali volontari agevolati. Introduzione di termini di permanenza ( non solo massimi, ma per le funzioni pi specializzate, anche minimi) calibrati, ed eventualmente differenziati per le diverse posizioni ricoperte. La temporaneità di permanenza è necessaria e positiva per evitare incrostazioni ed assuefazioni e per promuovere un positivo ricambio, ma non può divenire mobilità selvaggia con centinaia di magistrati costretti ogni anno a cambiare mestiere.

D. Un progetto sull'organizzazione degli uffici per dare effettività alle tabelle come progetto organizzativo condiviso.

La semplificazione del sistema tabellare è un passo ineludibile per dare effettività al sistema e renderlo controllabile. Il problema che abbiamo oggi non è quello di dare mano libera ai capi degli uffici, ma adottare decisioni condivise, consentire ai magistrati di interloquire, e giungere a decisioni del Csm in tempi ristretti. Ciò comporta adottare da un lato principi cornice e dall'altro chiedere ad ogni ufficio che agisca per obiettivi. Il controllo tabellare può in questo modo divenire un controllo di gestione, anche attento alla tutela del singolo: raggiungimento degli obiettivi, assegnazione dei magistrati alle sezioni e degli affari, carico del lavoro di ogni singolo devono divenire parametri semplici e rapidi di controllo che i Consigli giudiziari ed il Consiglio Superiore possono svolgere in tempi se non reali, ragionevoli.

Una nuova progettualità ed un nuovo rigore morale sono necessari. Nonostante tutto ancora oggi larga parte del futuro della giurisdizione è nelle nostre mani.

01 10 2004
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