Luigi Marini (CSM)
Dobbiamo partire da una premessa: il
discorso sull’organizzazione dei tribunali deve realisticamente
confrontarsi con l’effettivo assetto territoriale, in cui oltre
il 60% dei tribunali non è articolato in sezioni “effettive”:
ne consegue che tutto il discorso di ZAN e LICCARDO, che presuppone
un’adeguata articolazione dell’ufficio, si può
sviluppare solo nei tribunali medio grandi.
Una seconda osservazione di ordine
generale: il PCT può produrre fra gli altri risultati anche
quello, culturalmente decisivo, costituito dalla possibilità
per gli attori processuali (dal giudice agli avvocati ai cancellieri)
di “riappropriarsi” del processo come qualcosa di
finalmente controllabile e gestibile. Nonostante gli sforzi fatti da
molti, ancora oggi il processo civile si inserisce in un meccanismo
che nessuno riesce effettivamente a controllare e che si sviluppa
nei fatti secondo logiche di estraneità rispetto a quegli
stessi attori. Tali logiche possono finalmente essere superate.
A questo proposito, credo di dover
riconoscere che negli ultimi tempi si è assistito ad un
ribaltamento del mondo professionale dei magistrati: a differenza di
quanto avveniva 20, ma anche solo 10 anni fa, oggi sono i giudici
addetti al settore civile che sviluppano le riflessioni di punta sul
modello organizzativo. Il vecchio giudice istruttore civile si
considerava ed era semplicemente il gestore di un conflitto altrui,
cosa che lo rendeva quasi del tutto indifferente rispetto ai tempi ed
agli esiti organizzativi del proprio lavoro complessivo; al
contrario, l’idea di un “ufficio per il processo”
si collega ad un modello di giudice che opera “dentro” il
meccanismo produttivo: al pari e sullo stesso piano del cancelliere e
dell’avvocato, il nuovo giudice civile è corresponsabile
di un risultato avendo accettato di esserlo. La sensazione che provo
negli ultimi mesi, a fronte di un’accelerazione delle
riflessioni sui temi organizzativi, è che “ci siamo”,
si può davvero fare qualcosa di utile per mettere in piedi
un processo civile “che funziona”.
Tuttavia, resta ancora molto da fare sul
piano del governo effettivo del processo. Molto si è fatto
sul piano dell’elaborazione teorica e della creazione di alcune
prassi positive, che ci consentono di essere fiduciosi ora che si
vanno estendo e coinvolgono la classe forense, ma resta ancora
insoluto il problema di chi e come possa “governare”
l’intero sistema, Dobbiamo ammettere che il presidente di
sezione, e in parte il presidente del tribunale non hanno un
controllo funzionale sul personale (spettando al Ministero la
definizione degli organici, della mobilità, del part-time…),
così come va detto che i magistrati hanno tradito la riforma
del Giudice Unico nel suo nodo organizzativo centrale, quello dei
presidenti di sezione: l’80’% dei presidenti di sezione
non svolge di fatto i compiti previsti dall’art.47 quater
dell’ordinamento. Il modello organizzativo introdotto dalla
riforma del 1998, basato su un corretto rapporto fra figure di
coordinamento e strutture organizzative intermedie, non è
stato compreso e apprezzato, come dimostra una recente interrogazione
parlamentare che, certamente sensibile a istanze dell’ufficio
giudiziario interessato, lamenta una insufficiente flessibilità
delle sezioni giudicanti e ritiene che la previsione di 4 giudici sia
eccessivamente rigida; se questa impostazione risultasse vincente
avremmo un ritorno alla vecchia struttura della sezione che coincide
con un collegio allargato, che svilisce il ruolo del presidente di
sezione e comporta una frammentazione eccessiva dell’organizzazione
interna del tribunale.
Ma vi è un altro aspetto che
merita attenzione: non esiste una collegialità per quanto
riguarda l’organizzazione del tribunale, e questo scatena la
guerra tra poveri per la divisione delle risorse. Oggi qui parliamo
di trasformazione del modello tabellare da semplice realizzazione del
principio del giudice naturale a progetto organizzativo del
tribunale, ma in realtà nessuno controlla questa
trasformazione ed il CSM non riesce ad assicurare questo governo.
Il CSM ha fatto una scelta, l’unica
praticabile, quella di introdurre con le sue circolari delle regole
funzionali più rigide, per esempio sull’’impiego
dei GOT, responsabilizzando i dirigenti: deve invece fare un passo
indietro? Le regole funzionali potrebbero forse essere più
elastiche – purchè si garantisca il rispetto della legge
e dei principi costituzionali – ma questo richiederebbe la
capacità di un monitoraggio continuo su quello che succede
effettivamente dentro gli uffici: ma il ministero ha bloccato il
progetto comune sugli indicatori di efficienza, che si era sviluppato
attraverso il contributo di analisi della commissione mista con il
CSM, e non ha dato corso ad un sistema bilanciato di controllo di
gestione. Senza il controllo di gestione, salta la catena che va dal
progetto organizzativo al governo effettivo della trasformazione,
dalla verifica dei risultati alla responsabilità dei
protagonisti.
“Controllo di gestione”
significa verifica della qualità del lavoro, per cui ad ogni
biennio i magistrati, gli avvocati e il personale amministrativo
dovrebbero, ciascuno secondo le proprie competenze, elaborare un
programma di lavoro che sarà verificato in corso d’opera.
Il CSM è in difficoltà a
sviluppare una funzione di governo dell’indirizzo
amministrativo perché è fondamentalmente concepito per
essere un organo di garanzia; così stando le cose dobbiamo
capire come possa darsi una struttura adeguata per divenire il motore
ed il controllore dei programmi di lavoro predisposti negli uffici.
Tra le esigenze immediate su cu il
Consiglio dovrebbe impegnarsi, richiamo : il monitoraggio sui punti
di novità delle tabelle (in primis: l’impiego effettivo
dei magistrati onorari); il monitoraggio sui presidenti di sezione;
l’investimento sulla formazione alla gestione delle tecnologie
e l’analisi delle ricadute organizzative di queste ultime (a
tale proposito, anticipo che si terrà in autunno un complesso
corso di formazione e aggiornamento diretto ai referenti distrettuali
per l’informatica). Insomma, è necessario un forte
investimento per promuovere la diffusione della cultura dell’
impiego razionale delle tecnologie e certamente si deve meglio
qualificare la formazione dei dirigenti partendo dai presidenti di
sezione, cercando di individuare nella relativa selezione i parametri
concreti che possono dare l’effettiva misura delle capacità
organizzative, magari guardando, ad esempio, al contributo dato dai
candidati ai problemi organizzativi come referenti informatici o
referenti per la formazione.
In chiusura vorrei aggiungere un breve
cenno alla magistratura onoraria; il CSM con le recenti circolari ha
evitato il persistere delle designazioni fiduciarie per Got, Vpo e
esperti, introducendo forme di selezione più trasparenti;
inoltre la previsione per Got e Vpo di un reclutamento concorsuale
per titoli seguito dal tirocinio appare in grado di far crescere la
qualità dei neo-magistrati. Restano ancora due nodi della
selezione particolarmente rilevanti: come favorire l’indipendenza
e la correttezza dei futuri magistrati onorari. L’avvocatura è
giustamente preoccupata di tali aspetti e soprattutto per i giudici
di pace pone spesso il problema delle commistioni con l’attività
professionale, senza però essere in grado di proporre
soluzioni praticabili. Si tratta di un problema reale che il
Consiglio ha iniziato ad affrontare (si veda la verifica compiuta
presso i giudici di pace del circondario di Santa Maria Capua
Vetere), ma che non può essere risolto solo in sede
disciplinare, dato che coinvolge alla radice il ruolo e le
caratteristiche (sempre più legate alla tecnica, e quindi al
mondo dell’avvocatura) che si sono volute attribuire alla
magistratura onoraria nel nostro paese.
Seminario di Bologna "Ufficio per il processo" - giugno 2004