La cartina di tornasole


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del presidente Livio Pepino

La Corte costituzionale, meno di due mesi fa, era stata chiara: sui diritti fondamentali non può esserci un trattamento diverso tra nativi e migranti. Che tra i diritti fondamentali ci siano la libertà personale e il diritto di difesa, poi, è cosa del tutto evidente: non a caso due delle prime sentenze della Corte (n. 2 e 11 del 1956) dichiararono proprio l'illegittimità della traduzione coattiva del rimpatriando a seguito di foglio di via obbligatorio, se non disposta dal giudice e se basata su «elementi vaghi e incerti che lascerebbero aperto l'adito ad arbitri». Ma allora l'Italia era ancora un paese di emigranti... Cinquant'anni dopo la Corte - aggredita per questo dai nostri xenofobi di ogni colore - ha riaffermato il principio e ne ha reso esplicita la necessaria applicazione anche ai migranti.

La sentenza del giudice delle leggi ha messo in crisi uno dei punti fondamentali della Bossi-Fini e ha costretto il governo a intervenire con decreto legge. L'intervento era in gran parte vincolato, ch l'introduzione del controllo giudiziario sulla legittimità dell'espulsione e la possibilità per il destinatario del provvedimento di esporre le proprie ragioni erano una strada obbligata, già scritta dalla Corte costituzionale. Restava al governo l'individuazione del giudice a cui attribuire tale controllo.

La strada seguita è stata quella di attribuire la competenza al giudice di pace: cioè la scelta peggiore, caratterizzata da evidente irrazionalità e da altrettanto rilevanti dubbi di costituzionalità (quantomeno per violazione del principio di uguaglianza). Nulla, evidentemente, contro il giudice di pace, ma un rilievo elementare: quest'ultimo non è una «brutta copia» meno costosa del giudice professionale, ma un magistrato diverso, destinato a occuparsi delle questioni caratterizzate da minor tecnicismo e senza incidenza sui diritti fondamentali, tanto che la sua competenza penale è rigorosamente limitata dalla esclusione dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale, rimasti tutti nella competenza esclusiva del giudice professionale.

La diversa scelta effettuata ora con riferimento al sistema delle espulsioni ha, dunque, una sola spiegazione: la libertà dei migranti vale, per il governo, meno di quella dei nativi. E c'è la riprova: il conflitto (reale o apparente) emerso nel governo all'atto della adozione del decreto non è stato sulla questione di principio ma sui costi economici dell'estensione della competenza del giudice di pace e sulla quantità delle espulsioni (a gogò o col contagocce) che il nuovo sistema deve consentire...

E' una ulteriore tappa del cammino verso un sistema di cittadinanza differenziata che caratterizza sempre pi il nostro paese. Le ferite sono già numerose, proprio in tema di tutela della libertà personale. Il riferimento principale è, ovviamente, ai centri di permanenza temporanea (pi esattamente, centri di detenzione) la cui moltiplicazione anche all'estero, ma sotto la diretta responsabilità italiana, sembra essere solo rinviata.

Eppure, secondo il rapporto redatto nel gennaio scorso da Medici senza frontiere, in un anno (dal luglio 2002 al luglio 2003) sono entrate nei centri 16.924 persone, di cui 13.232 uomini e 3.392 donne. Il dato, ingente in s, diventa impressionate se esaminato comparativamente: si tratta infatti di poco meno di un terzo dei detenuti presenti nelle carceri e di un numero pari a quello degli stranieri ristretti (17.007, di cui 1.072 donne).

In sintesi: la detenzione amministrativa ha, per i migranti, la stessa estensione del carcere. L'effetto di sistema è dirompente. I centri di detenzione, scarsamente utili ai fini di eseguire le espulsioni, prefigurano, e in parte già realizzano, un carcere parallelo di dimensione prossima (almeno per alcune categorie di detenuti) a quello tradizionale e caratterizzato da una triplice assenza: il collegamento della detenzione con la commissione di un reato, la correlazione della stessa con la finalità dichiarata e l'effettività di un controllo giudiziario di merito sugli ingressi e sulle modalità della custodia.

La disciplina dell'immigrazione è la cartina di tornasole della nostra democrazia e del sistema di diritti che lo caratterizza. E il segnale che da essa viene - anche oggi - è inquietante: mentre celebra i suoi fasti come enunciato linguistico e come proclamazione propagandistica, la «libertà», intesa come valore e come situazione concreta delle persone, deperisce in maniera crescente.

13 09 2004
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