Perchè la giustizia non funziona?


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di Fiorella Pilato

Tutti sanno che la giustizia non funziona perch non riesce a
rispondere alle aspettative dei cittadini in tempi ragionevoli. Ma sui giornali e nelle trasmissioni radiotelevisive mancano inchieste o servizi sui problemi economici e organizzativi che rendono l'amministrazione della giustizia lenta e inefficiente. Nessuno spiega, ai propri lettori o ascoltatori o telespettatori, che non si stanziano risorse sufficienti per far funzionare la macchina giudiziaria e che una circolare ministeriale, riducendo i fondi di spesa, ha indicato come obiettivo ai nostri dirigenti il funzionamento minimale degli uffici, mentre si sprecano risorse preziose ricorrendo a consulenti esterni del ministero.
Nessuno si chiede perch non si procede a una revisione razionale delle circoscrizioni giudiziarie, disegnate ancora sulla geografia dell'Italia rurale del 1865, perch non si riformano i codici per favorire la maggiore rapidità della decisione, perch abbiamo, per esempio, ancora un sistema di notifiche pensato quando non esistevano strade e mezzi per spostarsi rapidamente, telefoni, fax, posta elettronica. Nell'era della comunicazione, continuiamo ad avere risorse, organizzazione e regole di quando ci si spostava a cavallo.
E nessuno dice quanto sia aumentato il carico giudiziario nel corso degli anni, e quanto sia aumentata la produttività dei magistrati, il lavoro delle cancellerie e il sacrificio di chi ci lavora. Eppure, sarebbe facile dare i numeri, per esempio quelli elaborati da alcuni Consiglieri del CSM e presentati al Capo dello Stato: dati oggettivi, controllabili e
stupefacenti anche per noi, che pure sappiamo quanto siano aumentati i nostri ritmi di lavoro, dai quali ognuno potrebbe trarre le sue conclusioni.
Fra il 1950 e il 1998 l'organico della magistratura togata è aumentato
dell83% (i magistrati erano allora un po' meno di 5000, tuttora sono circa 9000 perch ne mancano pi di 1000 su quelli previsti).
E' importante sapere che, nello stesso periodo, la produttività è
aumentata negli uffici di primo grado del 295% e nelle Corti dAppello del 140%, con questo assetto ordinamentale e con questo sistema di avanzamento in carriera.
Ciò nonostante, l'arretrato è aumentato dal 1960 al 1995 di quasi
l'800% (759%) in primo grado e del 594% in corte d'appello, per l'enorme aumento degli affari, rispetto al quale il sistema era oggettivamente insufficiente.
Ma l'arretrato è diminuito già nel periodo dal 1995 al 1998,
proprio perch i magistrati hanno lavorato molto pi di prima, e quello dei Tribunali
è diminuito addirittura del 20% nel periodo dal 1999 al 2002, a fronte di un aumento ulteriore di produttività del 29%, per effetto della riforma
strutturale del giudice unico.
Nelle Corti d'Appello, fra il 1999 e il 2002, l'arretrato è aumentato
del 143%, nonostante un ulteriore incremento di produttività del 96%.
Allora una cosa si può dire con certezza: che per aumentare la produttività non è necessario tornare alle gerarchie e ai meccanismi di progressione
in carriera degli anni '50 e '60; anzi, che anche da questo punto di vista è meglio non tornarci.
Allora non è serio parlare della situazione drammatica della giustizia come di un'inevitabile catastrofe naturale o come effetto della neghittosità dei magistrati, quando è, al contrario, frutto d'incapacità politica
o
addirittura di scelte precise.
I problemi della giustizia, proprio perch sono reali e gravissimi,
hanno bisogno soprattutto di essere affrontati con serietà. Parola d'ordine,
sulla quale abbiamo impostato il nostro ragionamento in occasione di queste
giornate per la giustizia, che può suonare addirittura provocatoria,
in un contesto in cui la reazione della magistratura continua ad essere rappresentata come un'impropria intromissione nei compiti della politica, una pressione indebita e un tradimento del ruolo istituzionale, confondendo
il riserbo doveroso del magistrato sul processo al quale lavora e il suo diritto di pensare e parlare come qualunque altro cittadino.
Fatto sta che i magistrati sembrano i responsabili esclusivi della crisi e
questo sospetto è alimentato dalle dichiarazioni e dai comportamenti
di chi li addita all'opinione pubblica come fannulloni e politicizzati, che si battono perch nulla cambi e non si decidono a fare quel famoso passo
indietro rispetto ai compiti propri della politica, da tempo e da pi
parti invocato.
Ma noi siamo i primi a dire che le riforme sono necessarie e a proporre soluzioni ragionevoli e praticabili per rendere pi efficiente la giustizia
e per valutare pi severamente la professionalità dei magistrati.
Queste proposte sono in genere taciute e ignorate, col risultato di far sembrare i magistrati arroccati in difesa dell'esistente e di isolarli
dalla società, rendendo pi facili interventi normativi punitivi
diretti a ridimensionarne l'indipendenza invece che a favorire la funzionalità
di un
servizio pubblico essenziale.
Il tema dell'ordinamento giudiziario di solito viene semplificato con parole d'ordine apparentemente convincenti, confondendo i piani del
discorso e facendo credere che davvero sia capace di risolvere i problemi della giustizia e la sua insopportabile lentezza una controriforma che avrà

l'effetto di omologare la giurisdizione a un unico modello, di far
rifugiare il magistrato nella tradizione interpretativa per non nuocere alla propria carriera, col corollario dell'inevitabile e contemporanea
mortificazione del ruolo del difensore nel processo.
E con un'altra conseguenza, da sottolineare perch comporterà
il cambiamento della magistratura che conosciamo: una magistratura fatta di uomini e donne di età e provenienza sociale diverse, che proprio per
questo rispecchia il corpo sociale cui appartiene e riesce a interpretarne meglio sensibilità e bisogni.
E' indubbio che la riforma in cantiere penalizzerà in particolare giovani
e donne (se c'è tempo spiegare perch), per tornare a una magistratura
monolitica, fatta di nuovo soltanto da chi appartenga a una buona famiglia in grado di mantenere i figli agli studi fino ai trent'anni e
sostanzialmente maschile almeno quanto a responsabilità dirigenziali.
Una corporazione omologata al ceto dominante, conformista ma anche sempre pi vecchia e pi stanca (si ricordi che con la finanziaria dell'anno scorso l'età pensionabile dei magistrati italiani, già la pi
alta in Europa, è stata portata a 75 anni), demotivata e assolutamente inadatta
a rispondere alle esigenze del paese.
Sia chiaro che non crediamo affatto di essere la migliore delle magistrature possibili e, proprio perch coltiviamo il dubbio per mestiere,
siamo sempre pronti a metterci in discussione e non contestiamo a nessuno il diritto di criticare le nostre decisioni.
Ma rifiutiamo la denigrazione gratuita e la mistificazione della realtà,
l'idea che i nostri provvedimenti siano criticati senza nemmeno essere letti e utilizzati strumentalmente per minare la fiducia dei cittadini nella giurisdizione.
Per rimanere alle pi recenti, roventi polemiche, pensiamo alle reazioni seguite all'assoluzione definitiva dell'on. Andreotti in Cassazione.
E' davvero un caso emblematico. L'assoluzione di Andreotti dopo una sentenza di segno divergente è stata proposta come la conferma di una guerra guerreggiata e scandalosa contro il potere politico, mentre in realtà dimostra due cose: che il sistema ha in s i correttivi
sufficienti a garantire la posizione dell'imputato innocente o nei cui confronti non siano comunque sufficienti le prove di colpevolezza, e il dato, questo sì
scandaloso, che la fine di una disavventura giudiziaria debba attendere tanti anni.
E' questo il vero scandalo, per un autorevolissimo esponente politico come
per qualunque cittadino alle prese con un processo penale o civile, perch
una giustizia ritardata è comunque un'ingiustizia, una giustizia negata.
Voglio chiudere ricordando che è compito dello Stato quello di organizzare
il sistema giudiziario in modo tale che le proprie giurisdizioni possano
garantire a ciascuno il diritto di ottenere una decisione definitiva in un
termine ragionevole.
Non lo diciamo solo noi. Lo ha affermato in questi esatti termini la Corte
europea dei diritti dell'uomo, il 16 ottobre 2003, e lo impone la nostra Costituzione.

Intervento alla Assemblea dell'Anm del 22.11.2003

26 11 2003
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