di Sergio Cofferati - congresso nazionale
1. Come potete immaginare sono molto attratto dalla parola “diritti” per ragioni che possono apparire quasi ovvie e, in questi mesi, mi sono interrogato spesso al riguardo ponendomi domande che possono apparire banali.
Mi sono chiesto, ad esempio, per quale ragione milioni di persone, nel corso dei mesi che abbiamo alle spalle, hanno sentito il bisogno di auto-organizzarsi in qualche circostanza, oppure di dare consistenza alle organizzazioni che già esistevano e di far sentire la loro voce intorno al complesso tema dei diritti. Voi lo sapete bene, perch l’avete fatto in forma inedita per la vostra esperienza. Penso a tantissimi ragazzi: il numero di giovani che ho incontrato nelle piazze italiane è stato impressionante. Si dice spesso che i ragazzi hanno poca voglia di guardare al loro futuro con la consapevolezza necessaria, sono distratti o attratti da pratiche senza valori. Io credo che ci sia, in questi giudizi, una “spocchia” degli adulti; ho visto invece (per fortuna) generazioni di ragazzi muoversi esclusivamente per ragioni valoriali, come non capitava da tantissimo tempo. Se penso ai movimenti giovanili degli anni passati, a quelli della metà degli anni settanta o a quelli di quando ero giovane anch’io, non c’era la stessa carica ideale e la stessa passione che ho visto in questi mesi. Poi tante persone, diverse, persone che lavorano che hanno utilizzato lo strumento del sindacato per dire della loro voglia di difendere o acquisire diritti e quelli che si sono variamente organizzati. Ecco, credo che si possa dire tranquillamente che l’anno che abbiamo alle spalle è stato l’anno dei diritti: dei diritti aggrediti e dei diritti difesi.
Mi sono poi chiesto perch tante persone, anche autorevoli e rispettabili, non abbiano percepito l’importanza del tema, abbiano mostrato sorpresa di fronte a questo movimento (magmatico, segmentato ma straordinario) e abbiano guardato con sufficienza quel che capitava o lo abbiano giudicato addirittura negativamente, come se questi processi fossero figli di un modo di difendere la propria condizione o di cercare di modificare una condizione non legittima (non perch fuori dalle regole, che non ci sono, ma semplicemente fuori dalle loro aspettative).
Ovviamente, mi era facile dare una risposta per quanto riguardava e per quanto riguarda la somma di problemi che coinvolgono le persone che lavorano. Nel mestiere che facevo prima, nella mia attività precedente, mi è apparsa chiara fin dall’inizio la priorità (ahimè) dell’iniziativa del sindacato per un periodo lungo e non concluso. A un certo punto questo paese si è trovato di fronte ad un bivio. Completato il processo di risanamento ed entrato stabilmente nel sistema della moneta europea aveva le condizioni per rimettere in moto un processo di accumulazione. E lo poteva fare seguendo due strade distinte, addirittura in qualche punto in antitesi l’una all’altra.
La prima strada consisteva nel seguire le sagge indicazioni che venivano dall’Europa, che ci invitava a scegliere la via della crescita legata alla conoscenza e dunque a stimolare processi di innovazione, a usare la ricerca come leva competitiva, a valorizzare la conoscenza delle persone e la loro intelligenza, dando, così, corpo a una ipotesi di sviluppo economico idonea non solo a superare le disuguaglianze (usando accortamente la ricchezza che si può produrre una volta realizzato il risanamento), ma a diventare un punto di riferimento nei processi di globalizzazione (fenomeno inquietante ma a carattere neutro, legato cioè molto a come viene affrontato e gestito e, soprattutto, diversificato a seconda se ricondotto all’interno di regole rispettate, oppure se considerato una esigenza delle relazioni tra le economie dei paesi del mondo, tra le strutture sovranazionali e lasciato libera di modificare, durante il suo corso, tutto ciò che incontra; e, dunque, bene ha fatto l’Europa a porsi l’esigenza di introdurre regole e stimolare comportamenti capaci di offrire un riferimento positivo).
L’altra strada era quella che si muove in una direzione opposta: quella che considera come possibile (anzi esclusivo) strumento della crescita economica la flessibilità di tutti i fattori che determinano le condizioni dell’economia, a cominciare da quelli che regolano i rapporti di lavoro (e poco importa se quelle forme di flessibilità diventano forme di precariato, perch la mancanza della regola o della legge o dell’accordo introduce discrezionalità nelle relazioni, e dove c’è discrezionalità come è noto non è mai il pi debole a trarne vantaggio: dico come noto ma per molti evidentemente non lo è).
Di fronte a questo bivio il paese, che nel frattempo aveva cambiato la sua guida politica, ha scelto esplicitamente la strada della diminuzione di costi come fondamento di ipotesi di crescita economica. Strada sbagliata e controproducente, limitativa anche di quanto in altre parti del mondo stava capitando. I risultati si vedono: sono vistosi e non ve ne è uno positivo. L’economia italiana non solo non è tornata a crescere, ma ha rallentato vistosamente e pericolosamente le sue dinamiche; siamo oggi in una condizione di crisi che mette a repentaglio molte condizioni acquisite addirittura vitali per tante persone. Quando l’economia non cresce non mancano soltanto le risorse per fare il nuovo, non ci sono le condizioni per mantenere il vecchio.
In quel modello, che è anche modello di competizione, l’idea dello sviluppo è priva di stimoli positivi e resta affidata semplicemente alle scelte di alcuni (in questo caso le imprese) passando necessariamente sopra le tutele e i diritti delle persone (e chissà perch poi dovrebbe essere positiva). I modelli della competizione globale sono questi: da un lato c’è un modello regolato che ha come riferimento la qualità e che sapientemente miscela l’innovazione con lo sviluppo della ricerca mirata sia al prodotto che al processo; dall’altro c’è un modello in cui tutto ciò che ha un costo viene messo in discussione e che produce il peggioramento sistematico delle condizioni delle persone. Le protezioni sociali costano: dunque devono essere ridimensionate, se non cancellate; i diritti delle persone, sia quelli individuali che quelli collettivi, hanno un costo economico: non importa se garantiscono coesione, hanno un costo e come tali devono essere aggrediti.
Ero convinto nella mia vita precedente, e purtroppo ho avuto ragione, che ciò sarebbe capitato. Ecco perch mi sono trovato insieme a milioni di persone a difendere i diritti di tutti.
L’attacco a quei diritti, nati non a caso nella sfera del lavoro, era figlio di una scelta che si traduceva in comportamenti economici e poi in comportamenti sociali: davo, dunque, per scontato che in difesa dei diritti avrei trovato tante altre persone, come è stato, perch tutto si tiene.
Abbiamo dei contraddittori che hanno un’idea precisa della società: un’idea basata sulla disparità tra i soggetti, con tratti di iniquità vistosi, che mette in discussione tutto ciò che tende a includere e a garantire coesione, perch viene considerato fastidioso per il sistema di interessi che essi, alla fine, puntano esplicitamente a difendere.
2. Ho sentito molte volte, in questi mesi, fare riferimento, come è giusto, all’operato del governo e della maggioranza di centro-destra criticandone gli interventi legislativi sostanzialmente privati. Il loro bisogno, che viene risolto in quel modo, è il bisogno di una parte. Devo dire che mi sono trovato di fronte anche a un uso del lessico un po’ particolare. La prima cosa che mi spiegarono quando li incontrammo dopo le elezioni (ero, allora, segretario della CGIL) fu che avevano vinto le elezioni per scelta legittima e democratica del popolo italiano e che avrebbero fatto tutto ciò che serviva per rispondere ai loro elettori. L’interesse generale per loro non esiste: intendiamoci, che nel compiere delle scelte si risponda anche a chi ti ha votato è del tutto evidente, ma che questo sia il riferimento esclusivo di un governo lo trovo insopportabile; chi, una volta, ha vinto le elezioni deve farsi carico dei problemi dell’insieme della collettività che deve governare. Ecco, muovendo da questa logica, era, tutto sommato, abbastanza naturale che procedessero come poi hanno fatto.
Così, come credo sia automatico, inevitabile che molte cose negative come quelle che ho visto, dai documenti che ho letto (avete commentato anche voi) stiano accadendo. Se non si risolve il problema che sta a monte, quello del conflitto di interesse del Presidente del consiglio in un settore vitale per una società moderna e complessa come quello dell’informazione, non si determina soltanto una condizione negativa, si determina anche una condizione imitativa che vale successivamente per i ministri e, scendendo per i rami, finisce per coinvolgere molti altri settori della società. La somma di questi nodi irrisolti produce, poi, delle condizioni molto pericolose: quelle che stanno alla base, sia pure in maniera diversa, dell’aggressione e della messa in discussione di diritti fondamentali delle persone.
Credo che valga la pena - e vi chiedo un attimo di pazienza - aggiungere qualche parola intorno a questa somma di problemi irrisolti, con un punto di vista che non pretendo venga condiviso ma è figlio di una esperienza e di una cultura.
3. Sono preoccupato perch vedo sistematicamente messi in discussione i contenuti della Costituzione, non solo i suoi aspetti formali, ma anche la Costituzione materiale: ciò che arricchisce, che integra la Costituzione formale è costantemente attaccato.
Pensate a cosa è capitato nei mesi passati per le protezioni sociali, che non sono solo il welfare (cioè la somma delle politiche che danno protezione e coesione) ma rappresentano anche, quando sono attive ed efficaci per la parte pi debole, il rispetto dei rimandi costituzionali, che garantiscono l’unità del paese. Pensate a quello che è capitato e continua a ripetersi per la scuola: non c’è un attacco diretto alla norma costituzionale, però è evidente che, se si impoverisce la scuola pubblica rendendola non pi attrattiva per tante persone o famiglie e se i governatori danno vantaggi materiali alle famiglie che mandano i figli alla scuola privata, ciò lede i contenuti della norma costituzionale. Ma così è per la stampa: i processi di concentrazione, oltre che gli atteggiamenti censori, portano non alla cancellazione dell’articolo 21, ma al fatto che l’articolo 21 è scritto e poi le condizioni reali sono di tutt’altra natura per cui il pluralismo e la libertà vengono messi in discussione. Lo stesso si può dire per le forme di rappresentanza: resto in attesa di una legge che definisca il rimando dell’articolo 39 della Costituzione e trovo singolare che si parli di riforme istituzionali (qualche volta dal mio punto di vista anche a sproposito e non ho mancato di dirlo) e si pensi addirittura ad una concentrazione di poteri in poche persone e in pochi luoghi (cosa che considero non soltanto sbagliata ma pericolosissima) e, nello stesso tempo, non si veda come sia importante definire le forme della rappresentanza e la certezza della rappresentanza.
Una rappresentanza sociale erratica, perch mai sottoposta a verifica, finisce con il produrre distorsioni nei meccanismi distributivi, nelle condizioni materiali. Ora, tutto ciò sta accadendo e accade con una metodologia che trovo singolarmente sottovalutata dalla politica. E persino con riferimento a norme e lessico mutuati dall’Europa ma poi stravolti. «Sussidiarietà», per esempio, in Europa è l’integrazione di funzioni dello Stato attraverso i privati, nel linguaggio della destra italiana è la sostituzione delle funzioni principali dello Stato con l’intervento dei privati (pensate alla sanità e alle sue dinamiche, che vi sono note come cittadini prima ancora che come magistrati).
Ciò vale anche per il «dialogo sociale», che in Europa è una pratica di confronto impegnativa tra le parti, mentre qui è stato utilizzato come sostitutivo delle relazioni precedenti. Il dialogo sociale è così concepito: quando le cose vanno bene, ti convocano il giorno prima per spiegarti quello che decideranno il giorno dopo; quando, invece, non hanno questa pazienza, al pi ti dicono sommariamente quello che hanno già fatto... Mi sono trovato, rappresentando qualche milione di persone, a un incontro impegnativo (un incontro previsto dall’accordo del luglio del 1993, ormai entrato nella storia delle relazioni sociali) avendo di fronte l’intera compagine di governo con la sedia vuota del ministro dell’economia. Il presidente del Consiglio (come sapete ha qualche difficoltà nel maneggiare le cose che riguardano i numeri, e non solo quelle per la verità) non era in grado di fornirci le indicazioni del caso. Alla domanda su dove fosse il ministro dell’economia ci venne risposto che era andato a far visita al governatore della Banca d’Italia perch mettere a punto alcuni ultimi elementi di valutazione. Penosa bugia! Il ministro dell’economia stava nella stanza a fianco, intervistato da un giornalista del telegiornale della rete pi importante a raccontare quello che loro non erano in grado di raccontare a noi e l’abbiamo, come potete immaginare, appreso dal telegiornale. Alla domanda «ma che rapporti sono questi?», la risposta è stata: «è il dialogo sociale, sono cambiate le relazioni di prima».
La stessa cosa stanno facendo anche nello stravolgimento di procedure che pure sono sancite dalla legge: le deleghe al Governo, sono previste dall’ordinamento, ma in limiti ben definiti che sono ampiamente violati, anche nel settore della giustizia. Un Parlamento sottoposto al flagello della discussione esclusiva sulle deleghe, è un Parlamento viene svuotato di una parte delle sue funzioni. La delega impoverisce il dibattito in Parlamento, toglie spazio al dibattito sociale, viene approvata con contenuti vaghi e generici, dà all’esecutivo la possibilità di applicarla quando ritiene soggettivamente arrivato il momento. Gli effetti possono essere consistenti e pericolosi, ma non va sottovalutato il fatto in s dello svuotamento di un sistema complesso ma bilanciato di rapporti, di relazioni che dà sostanza alla democrazia.
4. Il tutto si completa con l’attacco alle funzioni autonome e indipendenti. Ce l’hanno con voi magistrati, per ragioni ben precise. Voi siete rappresentanti di un punto delicatissimo e fondamentale degli equilibri di un assetto istituzionale. L’autonomia e l’indipendenza dei magistrati (non lo devo dire a voi) ha un valore vitale, la pervasività (l’invasività prima e la pervasività poi) della politica in un settore che deve essere difeso nelle sue funzioni autonome e indipendenti diventa la cancellazione, il disastro di una parte rilevante di quelle funzioni. Voi siete stati ripetutamente attaccati non soltanto attraverso atti legislativi che snaturano la vostra funzione, ma anche con questa pratica sistematica, qualche volta allusiva qualche volta esplicita, volta al condizionamento che i la politica vorrebbe determinare nei vostri confronti.
Ovviamente ci sono state le vostre legittime reazioni. Da cittadino non solo le ho condivise ma mi sono sentito confortato, perch per me cittadino il vostro diritto ad esercitare la funzione che vi è stata assegnata in forma autonoma e indipendente è decisivo. Un cittadino vuole, in caso di necessità, essere giudicato da un magistrato autonomo e indipendente, non da un magistrato condizionato dalla politica, per cui quando vi battete per la vostra autonomia difendete anche un mio diritto. Non c’è, dunque, una generica solidarietà, ma un rapporto stretto.
Per vie meno vistose, la stessa cosa è stata fatta, fin dal 1994, con l’autorità monetaria. L’attacco all’autonomia alla Banca d’Italia nel 1994 fu uno dei tratti innovativi della cultura del primo centro-destra (in tempi pi recenti si è attenuata, probabilmente anche perch è cambiato l’atteggiamento del governatore della Banca d’Italia). Ora si può essere liberisti, come alcuni sostengono di essere, ma che liberismo è quello che vuole realizzare un processo di trasformazione di una parte consistente dei servizi di uscita dal monopolio senza regole e senza soggetti autonomi di sorveglianza e di controllo? Siamo a forme di neo liberismo estremo accompagnate, e la miscela diventa molto pericolosa, dal populismo.
Anche per il sindacato il tentativo in atto mira (lo dico con un po’ di esperienza maturata) a mettere in discussione funzioni autonome: perch se le fonti della legittimazione non sono certe, se c’è una rappresentanza erratica e se basta, per essere riconosciuti, l’accordo con la tua parte, il rischio che si determinino condizione di oggettiva pratica corporativa è altissimo.
Tutte queste cose sono in campo. E' vero: a volte ci sono atteggiamenti, nei quali la grossolanità si accompagna all’arroganza, apparentemente privi di efficacia perch privi di stile (e non è una osservazione estetica), ma la direzione è sempre la stessa e fa conto su effetti di trascinamento che possono essere molto consistenti e molto pericolosi.
5. Mi si dice spesso in discussioni pubbliche: va bene indicare quali sono i problemi, poi che cosa bisogna fare?
Intanto, evitare di ripetere gli errori. Alcune delle pi pericolose iniziative di questa maggioranza si sviluppano su un terreno che è stato reso sconnesso da atti non realizzati sul piano legislativo nella precedente legislatura e anche dall’aver confuso, in qualche circostanza, causa ed effetto. Alcune cose penso siano (lo dico senza alcuna polemica) il prodotto di errori di valutazione fatti anche dai miei amici e compagni dei governi delle legislature precedenti. Bisogna fare esperienza del passato; l’uso di alcune categorie di valutazione nasce da una approssimazione che poi strumentalmente viene riprodotta e usata in forma ben diversa e anche con intenzioni profondamente diverse, aggressive e negative. La prima cosa da fare è proprio questa. Non si tratta di far chissà quale autocritica, ma di rimettere in ordine le cose, cioè di stabilire un’idea, un progetto di società. E un progetto può essere mai scisso da dei valori di riferimento. Ho imparato dalla storia del movimento operaio che le modifiche migliorative, le condizioni diverse positive per milioni di persone sono percepite positivamente solo se stanno insieme all’acquisizione dei diritti individuali e collettivi. Le persone non si battono solto per star meglio; si battono per star meglio e per aver garantita la loro dignità, quella che passa attraverso i diritti.
Una volta fissati i valori bisogna essere in grado di stabilire le priorità nell’iniziativa anche di breve periodo. Vi sono delle cose banali: a volte ci si affanna a immaginare lo scenario, il quadro lontano, quello che capiterà e dunque come comportarsi, considerando la politica come una scacchiera sulla quale muovere con particolare acume le pedine. E' vero, chi sa guardare lontano ha sempre un vantaggio, ma bisogna evitare che guardando lontano si perda di vista quello che invece vale per tante persone nell’immediato. Ci sono alcune questioni che valgono nell’immediato. Sono questioni banali ma di qualche efficacia. Bisogna mostrare grandissimo rigore nel difendere i principi: ad esempio i principi della Costituzione. E' un atto di conservazione; non ho difficoltà ad ammettere di essere mosso da un intento conservativo, non mi sento per questo penalizzato.
Il rigore si trascina la coerenza. La coerenza nei comportamenti vale molto; non è una categoria della politica ma è una cosa non scritta che si definisce, si percepisce banalmente, ma vale molto per dare credibilità alle azioni e alle persone.
Poi insisto nel dire (lo faccio spesso di questi tempi) che bisogna avere in mente un progetto che abbia i tratti, i confini della sobrietà. Per sobrietà non intendo rinuncia. Non ho in mente un’idea pauperistica della società e penso ad una società dove la ricchezza da utilizzare bene ci deve essere e deve essere consistente. Penso però che occorra, soprattutto quando ci si rivolge ai giovani (a quei giovani che hanno preoccupazioni, che hanno paura, che hanno timore per i loro diritti), essere in grado di dare un’indicazione complessiva e di avere comportamenti nei quali la sobrietà è visibile, dove la cultura è un tratto costante dei propri comportamenti e allora sapere indirizzare anche i consumi (banalmente) in una società che cresce è di qualche importanza.
Se davvero si è in grado di mettere in fila un’idea complessiva e la difesa dei diritti fondamentali che mettono in luce le ragioni della nostra identità e se il progetto e i comportamenti hanno il tratto della sobrietà, si può riuscire a cambiare una situazione che pure è particolarmente pesante.
Secondo la parte opposta a quella politica per la quale continua a battere il mio cuore, bisognerebbe parlare solo con il cervello perch il cuore è un organo considerato secondario (condizione un po’ curiosa: provassero a vivere solo con il cervello!). Quella parte non la contrasti se accetti il terreno che ti propone, perch su quel terreno è forte, è capace, si è sperimentata, e poi, su quel terreno, è proprietaria del campo, decide lei quale deve essere lo spessore dell’erba sulla quale giochi, ha due o tre palloni (perch non ne usa uno soltanto), e può spostare le porte. Così la partita è persa. Devi scegliere tu quale è lo spazio nel quale li sfidi a giocare e il tuo pubblico non è, a differenza del loro, un pubblico che viene per vedere, che guarda le partite alla televisione. Il tuo è un pubblico che vuole partecipare, vuole giocare, sa che la partita si fa in undici, vuole essere coinvolto. Ho detto di questa energia straordinaria che trovo in tantissimi giovani e in tante persone. Qual’è la loro richiesta? E': «tenete conto che siamo qui, che vogliamo decidere insieme a voi».
A un sistema mediatico che porta al plebiscitarismo bisogna rispondere con una cosa faticosissima ma di grande efficacia: la capacità di tenere in rapporto tutte le persone che ti chiedono di essere coinvolte. Se sei in grado di rispondere a questo bisogno di partecipazione puoi cambiare tantissime cose. Chi ha trovato lungo la strada questa voglia ed è stato capace di farlo, ha ottenuto risultati inizialmente considerati impossibili. A me - vi confesso - basterebbe vedere nel mio campo la voglia di provarci. Poi i risultati verranno.