di Angelo Caputo - congresso nazionale
In uno dei documenti sulla condizione dei migranti riportati nella raccolta che avete trovato nelle cartelline – e precisamente nel documento sull’indultino (un nome ricorrente) presentato nella scorsa legislatura dal centro-sinistra – segnalavamo con l’Asgi, la spinta verso una riedizione della contrapposizione liberal-ottocentesca tra un sistema penale ispirato ai principi del garantismo per i galantuomini e un diritto speciale di polizia per le classi pericolose.
Non è una denuncia nuova, soprattutto non è nuova per Md: oggi però i discorsi dei procuratori generali testimoniano la diffusione della consapevolezza del carattere classista che sta progressivamente assumendo l’ordinamento penale (ma non solo quello penale).
E se in questi ultimi anni l’iniziativa politica e legislativa si è concentrata sul versante della protezione dei galantuomini, per i prossimi abbiamo già le avvisaglie di un crescendo di iniziative di tipo repressivo delle nuove classi pericolose: ed è ad affrontare questa prospettiva che ci dobbiamo preparare.
Non è un fenomeno solo italiano: tutto l’occidente è attraversato dall’affermazione della logica sicuritaria, la logica che traduce il senso di insicurezza prodotto dalla società del rischio in domanda di repressione.
Quando il diritto alla sicurezza prende il posto della sicurezza dei diritti, come diceva Baratta, allora le questioni poste dalla marginalità sociale diventano naturalmente questioni criminali.
Non so se ci troviamo di fronte a dinamiche analoghe a quelle che hanno caratterizzato la storia dei processi di carcerizzazione “dei portatori del conflitto e del disagio sociale” (Pavarini) in concomitanza con grandi svolte, grandi innovazioni dei processi economici: però, i segni della spinta verso un nuovo grande internamento delle classi pericolose ci sono e sono sotto gli occhi di tutti:
- la moltiplicazione dei luoghi della segregazione, dei luoghi giuridici (carceri, ma anche centri di detenzione per stranieri) e dei luoghi materiali.La risposta del ministro Castelli alle proposte di indulto è stata univoca: costruiamo altre carceri, così magari ci avvicineremo al vagheggiato modello americano, 7-800 detenuti ogni 100 mila abitanti, in pratica un carcere in ogni quartiere;
- la crescita del peso degli apparati di sicurezza nella vita sociale e politica: dagli sceneggiati televisivi, che ormai si occupano solo di polizia o carabinieri, alla scena – ancora viva nei nostri occhi – di una catena di esponenti delle forze dell’ordine che protestavano in questo modo contro un provvedimento giudiziario;
- la voglia di segregazione, di contenzione, di carcere che alimenta ed è allo stesso tempo alimentata dalle varie iniziative che non solo in Italia si sviluppano sul terreno del disagio mentale, delle tossicodipendenze, dei minori.
- la crescita esponenziale del numero dei detenuti; la magistratura ha ovviamente la sua parte di responsabilità della produzione di questi fenomeni. Molti hanno già richiamato l’attenzione sulla necessità di un rinnovato e pi intenso impegno sul terreno dell’analisi delle prassi e della giurisprudenza.
E’ un modello politico-sociale che si afferma un modello fondato sull’esclusione e che affida al diritto penale, anzi al diritto della segregazione un ruolo destinato a diventare sempre pi pesante.
I giornali dello scorso 2 gennaio hanno riportato la notizia della morte di un bambino causata – questa, per lo meno, era l’ipotesi formulata nell’immediatezza – dalla elevatissima temperatura che c’era in casa, a sua volta determinata dal fatto che i genitori si erano visti staccare il contatore dell’elettricità per morosità e lo avevano poi manomesso non riuscendo a controllare la temperatura. Sempre i giornali, riferivamo che il collega pm aveva iniziato a sentire come testi i genitori del bambino e poi, doverosamente si intende, aveva attribuito ad uno o ad entrambi la veste di indagato.
Non è certo la prima volta che la marginalità sociale, la povertà si traducono – in modo così diretto - in reati: chiunque ha lavorato nel penale ha alle spalle tantissimi esempi della conversione criminale del disagio sociale.
Ma – al di là dello strazio che rivelava - la vicenda che vi ho ricordato presenta una particolarità: il genitore del bambino non corrisponde infatti all’identikit del marginale/delinquente; non era un immigrato, non era un tossicodipendete, non era un alcolista, non era un ex detenuto.
E – questo è il punto - non era nemmeno un disoccupato. Si trattava di una persona che aveva un lavoro e che, nonostante questo lavoro, viveva in questa condizione di povertà.
Quando i diritti del lavoro, i diritti fondamentali delle persone che lavorano vengono spacciati per privilegi in danno di chi un lavoro non ha, bisognerebbe forse pensare a casi come questo, casi che ci descrivono l’umanità destinata a popolare i nostri fascicoli e le nostre aule.
Nel nostro paese, la sinistra ha gravi responsabilità nell’affermazione della logica sicuritaria: è ancora vivo nei nostri occhi il ricordo dei maxi-poster sulla sicurezza con i quali i candidati premier inaugurarono la campagna elettorale, poster nei contenuti del tutto sovrapponibili.
Ma, soprattutto, è pesante l’impronta lasciata nell’ordinamento da una serie di norme ispirate a quella che l’allora ministro della giustizia Fassino definiva – anche al nostro congresso di Venezia – come l’emergenza-sicurezza:
- le norme penali del pacchetto sicurezza o quelle sulla tutela dei marchi, che hanno dato un contributo non di scarso peso al processo di carcerizzazione;
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ma, soprattutto, l’introduzione nel nostro ordinamento di misure di segregazione non legate a reati: la detenzione amministrativa degli stranieri irregolari ha rappresentato un gravissimo vulnus al principio della extrema ratio della coercizione personale.
In questo senso, la condizione dei migranti è davvero esemplare della logica sicuritaria, del suo significato pi autentico e delle sue ricadute: da una parte, l’obliterazione, la cancellazione delle cause profonde dei fenomeni migratori, gli abissali squilibri tra il nord e i molti sud del mondo; dall’altra le strategie di risposta, imperniate sulla visione del migrante come il nemico della società, una visione che costruisce un percorso necessario per il migrante: proibizionismo – clandestinizzazione – segregazione.Non sorprende, allora, che il primo pesante intervento della maggioranza di centro-destra abbia riguardato la condizione dei migranti: con l’Asgi, con associazioni di avvocati, ma anche fuori dell’universo dei giuristi, con il mondo del volontariato, con il sindacato, con l’Arci. abbiamo analizzato e continueremo ad analizzare il significato e le prospettive della legge Bossi – Fini: i suoi profili di continuità e quelli di rottura con la legge Napoitano – Turco, la costruzione di una condizione di tipo “servile” dei migranti, la spinta verso ulteriori forme di segregazione, attraverso il diritto penale e attraverso il trattenimento amministrativo, ora esteso anche ai richiedenti asilo.
E abbiamo iniziato ad esaminare le prime pronunce giurisdizionali, in particolare nel settore penale: sono decisioni che hanno qualificato anche diversamente le diverse fattispecie, che hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale o che le hanno dichiarate manifestamente infondate, dando prova in vari casi – ed in entrambe le direzioni – di analogo approfondimento argomentativo.
Non voglio certo fare l’apologia della giurisprudenza che riguarda gli stranieri, dove pure ci sono molti orientamenti e molte prassi largamente criticabili e criticate: penso alla giurisprudenza – anche della Cassazione- sul diritto all’interprete nel processo penale, una giurisprudenza a mio avviso elusiva di una garanzia che oggi ha rilievo anche costituzionale.
Però, le prime applicazioni delle nome penali della legge Bossi – Fini segnalano una tensione verso l’approfondimento interpretativo, i giudici stanno cercando di fare il loro mestiere: studiare le leggi, riflettere sul loro significato alla luce dei principi costituzionali, dialogare con la Corte costituzionale quando sorge un dubbio di incostituzionalità.
Ora, nonostante il carattere del tutto fisiologico della giurisprudenza che si sta sviluppando e nonostante lo stesso ministro della giustizia abbia rilevato che «i casi che si stanno verificando possono derivare da carenze tecniche della nuova normativa sull’immigrazione (…) oppure – ha aggiunto - da resistenze ideologiche da parte di chi è chiamato ad applicare la legge», abbiamo dovuto registrare polemiche pesantissime e attacchi di straordinaria violenza: polemiche e attacchi accompagnarono anche le ordinanze dei giudici milanesi del novembre del 2000, ma quanto sta accadendo ora mi pare sia di gravità eccezionale.
Lo stesso ministro (e titolare dell’azione disciplinare), ha pensato bene di annunciare che il suo dicastero sta «monitorando con attenzione quanto sta accadendo nei tribunali, poich non è possibile che una norma non venga applicata perch non piace a qualcuno»; - altri, annunciando dalle fila della maggioranza interpellanze al citato ministro, ha denunciato le decisioni con le quali alcuni pubblici ministeri avevano scarcerato degli stranieri come una «aggressione bella e buona alla democrazia», frutto, niente meno, di una «cultura da colpo di Stato».
- Infine, un autorevole parlamentare dello stesso partito del ministro - l’on. Borghezio - ha teorizzato il diritto-dovere dei militanti leghisti di attivarsi «democraticamente, per mettere sotto i riflettori dell’opinione pubblica, diffondendone nome cognome e relativa foto, l’identità e l’immagine dei magistrati sabotatori della legge, come analogamente quella dei delinquenti extra-comunitari scarcerati, con segnalazione dei relativi reati, affinch tutti i cittadini ne prendano utile conoscenza».
Ecco un sontuoso esempio della concezione del popolo e della sovranità popolare accolta dal neo-giacobinismo padano.
Se un merito, ovviamente paradossale, può essere riconosciuto ad esternazioni del genere è quello di confermare che l’insofferenza verso il ruolo costituzionale della giurisdizione è, per così dire, a tutto tondo; si indirizza:
- verso la pretesa di esercitare il controllo di legalità nel rispetto del principio di eguaglianza e, quindi, amche nei confronti dei galantuomini;
- e verso quella, altrettanto scandalosa, di garantire la tutela dei diritti fondamentali a tutte le persone persino agli immigrati.