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La perquisizione eseguita il 20 febbraio, su ordine della Procura Repubblica
di Genova, presso la sede dell’Associazione Giuristi Democratici, nello studio
dell’avv. Desi Bruno a Bologna è fonte di gravi preoccupazioni sotto diversi
profili. Il decreto di perquisizione si fonda sulla necessità, "al fine di proseguire
l’attività investigativa ", di acquisire, in modo generalizzato e senza ulteriori
specificazioni, "materiali foto/video realizzati da privati e riferibili alle
manifestazioni verificatesi a Genova in occasione del G8 raccolti in rete ed
a mezzo posta da ’Indipendent Media Center - Italia’" detenuti, in ipotesi investigativa,
nella sede dei Giuristi Democratici. Come agevolmente prevedibile la perquisizione
non ha portato al rinvenimento di alcunch, ma ciò non fa che aumentare le preoccupazioni.
Preoccupa il mancato bilanciamento tra esigenze di indagine e diritti di libertà
e di informazione. Non è ovviamente in discussione la necessità e il dovere
degli inquirenti di acquisire in modo sistematico e approfondito ogni elemento
potenzialmente utile ai fini di una pi ampia ricostruzione di quanto accaduto
a Genova e delle connesse responsabilità. Ma le esigenze di conoscenza devono
essere contemperate con la tutela di altri beni costituzionalmente garantiti,
a cominciare dalla libertà di informazione (e, quindi, di raccolta e conservazione
dei documenti a tal fine necessari). Materiali foto/video sui fatti di Genova
(come su ogni altra manifestazione nel corso della quale si verifichino incidenti)
sono conservati in una pluralità di luoghi, a cominciare dalle redazioni di
tutti i grandi giornali e reti televisive, in quantità ben pi ampia di quelli
pubblicati e in possesso degli inquirenti. Ma solo uno Stato di polizia potrebbe
pensare di acquisirli in modo generalizzato e indifferenziato a mezzo di perquisizioni.
Preoccupa che, nei confronti di un’associazione di giuristi da anni impegnata
in modo pubblico e trasparente in difesa della legalità e delle regole dello
Stato di diritto, si sia ritenuto di dover soprassedere persino dal previo invito
a consegnare il materiale ricercato ai sensi dell’art.248 comma 1 del codice
processuale. Preoccupa la sottovalutazione della specificità del luogo in cui
la perquisizione è stata eseguita (studio di un avvocato, difensore di due persone
coinvolte nei fatti di Genova), non certo aggirabile con la disposizione, impartita
alla polizia giudiziaria, di "accertare che il luogo perquisito non rientri
tra quelli di cui all’art.103 cpp", come se fosse possibile distinguere tra
stanza e stanza o tra armadio e armadio: non a caso l’art.247 comma 3 cpp prevede,
con implicito riferimento alle situazioni limite, la presenza alla perquisizione
del magistrato, nella specie neppur ipotizzata. E ancor pi preoccuperebbe,
ove confermata, la circostanza (riferita da pi parti e in qualche modo avallata
dalla stessa motivazione del decreto) che la perquisizione sia stata disposta
dalla Procura dopo che una richiesta di autorizzazione in tal senso, ai sensi
dell’art.103 comma 4 cpp, era stata proposta al giudice per le indagini preliminari
e da questi respinta: le regole valgono per tutti e non è consentito modificare
l’interpretazione della legge a seconda delle utilità contingenti.
Quanto accaduto è un ulteriore segnale di sottovalutazione della cultura delle
regole (che a Genova già si è manifestata nei giorni del G8 con il generalizzato
differimento dei colloqui tra di-fensori e arrestati e l’altrettanto generalizzata
autorizzazione alla espulsione dei cittadini stranieri arrestati all’atto della
scarcerazione). La magistratura genovese, impegnata a seguito dei fatti del
G8 in processi di grande complessità e delicatezza, merita ampio sostegno e
ferma difesa dagli attacchi strumentali, da qualunque parte provengano. Ma quanto
pi i processi sono delicati, tanto pi vale la regola in forza della quale
il criterio fondamentale di legittimazione dei magistrati è il rigoroso rispetto
delle regole.
Roma, 24 febbraio 2002
Il comitato esecutivo di Magistratura democratica