del segretario nazionale Claudio Castelli
LA VICENDA ORIGINATA DAL LIBRO DI CASELLI - INGROIA
E DALLE DIMISSIONI DALL'A.N.M. DI SALVATORE BARRESI
Nel libro, che riguarda sette anni di esperienze alla Procura della Repubblica
di Palermo, in particolare i seguenti due passaggi (il primo dei quali pubblicato
nell'ambito di una presentazione del volume sul Corriere della Sera) hanno aperto
una polemica:
"Il senatore Pellegrino, intervenendo nel dibattito sul caso di Edgardo
Sogno, ha osservato come 'l'atteggiamento tipico del senatore Andreotti sia
quello di prendere gli eventi storici e sminuzzarli in una serie di singoli
episodi fino a rendere impercettibile il disegno complessivo'. Leggendo queste
parole mi sono chiesto (tanto per non restare sempre 'ingessati') se per caso
il Tribunale di Palermo, a forza di studiare le carte processuali del senatore
Andreotti, non abbia finito per metabolizzarne gli atteggiamenti""
Comunque è importante che la sentenza abbia confermato punti significativi
e qualificanti di quello che, tecnicamente, si chiama l'impianto accusatorio.
" (pag. 147)
"L'interrogativo centrale è allora questo: se, oltre a prendere
in considerazione a uno a uno i singoli capitoli che formavano la storia, non
si dovesse anche valutare la storia nel suo complesso. Per paradosso di potrebbe
avvicinare un tal sistema di valutazione a un ipotetico esame scolastico che
abbia come risultato, da un lato una pagella con 5 in matematica, 5 in latino,
5 in scienze, 5 in italiano e così via; e dall'altro una sorprendente
e contraddittoria promozione finale. Come spiegarla ? Disattenzione nel conteggio
? Scarsa attitudine nelle addizioni ? Alchimie ? Intendiamoci, nessuno, e io
per primo, ha la pretesa dell'infallibilità,. Ma osservando con attenzione
quel che è successo , sono tanti gli interrogativi che possono formularsi
sul piano tecnico." (pag.149-150)
Immediatamente dopo la pubblicazione sul Corriere della Sera Giancarlo Caselli
e Antonio Ingroia hanno inviato al giornale la seguente precisazione:
Gentile Direttore,
In un articolo del 9 marzo 2001 Giovanni Bianconi ha dato notizia del nostro
libro "L'eredità scomoda" presentandone alcuni passi con sintesi
corrette, ma necessariamente limitate da ovvie esigenze di spazio.
Così nel passo relativo al processo Andreotti, che accenna ad un'ipotesi
di "metabolizzazione degli atteggiamenti" dell'imputato da parte del
Tribunale, sono "saltate" le parti che nel testo integrale rendono
evidente come si tratti di un accenno dichiaratamente "non ingessato"
e perciò scherzoso, in un contesto che è sempre e soltanto di
analisi tecnica della sentenza.
Ringraziandola per la precisazione, Le auguriamo buon lavoro.
Gian Carlo Caselli Antonio Ingroia
Nel frattempo Salvatore Barresi, giudice del collegio che ha pronunciato la
sentenza Andreotti, aveva chiesto alla giunta dell'A.N.M. di Palermo un intervento
a tutela della sua onorabilità, ritenuta lesa dalle frase citate. A seguito
della mancata presa di posizione della Giunta, Barresi si è dimesso dall'Associazione
con la seguente lettera:
Al Sig. Presidente della Giunta Distrettuale
dell'Associazione Nazionale Magistrati
Palermo
Caro Presidente,
desidero con la presente rassegnare le dimissioni dall'Associazione Nazionale
Magistrati, avendo registrato il totale e per me inatteso silenzio della Giunta
e degli organi associativi portata a conoscenza di alcune sorprendenti affermazioni
contenute nel libro di recente pubblicazione "L'eredita' scomoda"
a firma dei colleghi Giancarlo Caselli ed Antonio Ingroia e delle anticipazioni
comparse qualche giorno prima della pubblicazione del libro sull'edizione del
Corriere della Sera del 9 marzo 2001.
Giorni fa hai ritenuto di intervenire a nome della Giunta per stigmatizzare
certe inaccettabili dichiarazioni e prese di posizione seguite alla notizia
della revoca da parte di una Corte palermitana del regime di isolamento per
il detenuto Salvatore Riina.
Ritengo che l'ANM - che ha sempre difeso il legittimo esercizio del diritto
di critica ma ha anche invocato e preteso in ogni occasione il rispetto della
funzione giurisdizionale - avrebbe dovuto pronunciarsi sul fatto che alcuni
magistrati abbiano usato in quel libro (e nelle anticipazioni della stampa)
espressioni che a mio avviso vanno ben al di la' del legittimo esercizio del
diritto di critica con affermazioni assolutamente inaccettabili e che rasentano
lo scherno.
Nel libro esplicitamente Caselli si chiede (pag.147) se il Collegio che ha processato
il Sen.Andreotti abbia per caso - sic - studiato troppo le carte processuali
e dunque "a forza di studiarle" abbia "finito per metabolizzarne
gli atteggiamenti"..
Se non e' scherno ed irrisione questo, mi riesce difficile capire cosa lo sia,
sforzandomi di immaginare quale avrebbe potuto essere la reazione di quei magistrati
(e forse della Giunta") se fossimo stati noi Giudici ad irridere al lavoro
di quei P.M. ancorche' con tono "dichiaratamente scherzoso".
E che effettivamente si sia trattato di derisione e' dimostrato dal fatto che
l'autore di quelle affermazioni in una lettera al Corriere della Sera di qualche
giorno fa - confermando comunque integralmente quelle dichiarazioni ormai peraltro
pubblicate nel libro - si e' rifugiato dietro un preteso e dichiarato tono scherzoso
che francamente almeno su certi argomenti forse sarebbe stato meglio evitare.
Questione di stile.
Ma cio' non basta.
Nello stesso libro si leggono espressioni a mio avviso ben piu' gravi e discutibili
laddove nell'illustrare con un paragone di tipo scolastico il nostro metodo
di valutazione degli elementi di prova raccolti a carico del Sen. Andreotti
si afferma che, a fronte di una pagella contenente una serie di 5, siamo giunti
comunque ad una "sorprendente e contraddittoria promozione" (sentenza
di assoluzione) rispetto alla quale proprio il collega Caselli si chiede testualmente
(pag.148 del libro) : "Come spiegarla? Disattenzione nel conteggio? Scarsa
attitudine alle addizioni? Alchimie?".
E' necessario ricordare che secondo il vocabolario della lingua italiana alchimia
e' anche sinonimo di "artifizio, inganno, falsificazione" ?
Sembra dunque che per la ANM e per la Giunta da Te presieduta sia assolutamente
normale, fisiologico e dunque accettabile che gli autori di una sentenza siano
tacciati - e proprio da una parte di quel processo - di "disattenzione
nel conteggio" o di "scarsa attitudine alle addizioni" ovvero
addirittura persino di "alchimie" con un esplicito riferimento a chissa'
quali segreti ed inconfessabili esperimenti e calcoli per giungere all'assoluzione.
Al termine quindi di un processo durato 4 anni, e dopo 250 udienze e ben 12
giorni di camera di consiglio e di lavoro approfondito, la sentenza sarebbe
forse frutto di errori nel conteggio e disattenzioni, o peggio ancora di alchimie
?
Io credo che il rispetto delle Istituzioni e della Giurisdizione che noi magistrati
(compresi gli autori di quel libro) spesso invochiamo, avrebbe imposto di evitare
simili gravi affermazioni ed avrebbe dovuto sollecitare alla Giunta un preciso
intervento.
Ma cio' che a mio modesto avviso non e' piu' tollerabile per un organismo rappresentativo
dell'intera magistratura e' la ripetizione continua di un ulteriore argomento
che imponeva ed impone finalmente una netta e definitiva presa di posizione
dell'ANM.
Nel libro per l'ennesima volta si afferma (pag.160) che negli ultimi tempi vi
sarebbe stato un "diluvio" di assoluzioni "spesso inattese e
discutibili, forse favorite, inconsapevolmente, dalla martellante campagna secondo
cui dare ragione ai pubblici ministeri e percio' condannare equivale a pronunciare
sentenze ingiuste" mentre assolvere dando torto all'accusa sarebbe prova
di indipendenza e giustizia giusta (vedi anche pag. 90 : "Fino a che punto
la scientifica demolizione dei pubblici ministeri puo' avere inciso sulla serenita'
della magistratura giudicante? Quanta parte della slavina di assoluzioni che
si e' abbattuta su vari processi eccellenti in ogni parte d'Italia "puo'
essere dipesa proprio da questa situazione creata ad arte da chi vi aveva interesse
?") .
Io penso che l'affermazione piu' volte formulata da taluni sulla stampa ed in
interventi pubblici secondo cui certe sentenze di assoluzione potrebbero essere
attribuite a Giudici che si fanno condizionare inconsapevolmente dalle campagne
di stampa contro i pubblici ministeri sia - fino a prova contraria che dovrebbe
essere fornita da chi fa simili gravi affermazioni - solo una mera illazione
(se non una vera e propria insinuazione) tanto generica e priva di concreto
dimostrato fondamento quanto decisamente offensiva nei confronti dei tanti Giudici
che esercitano la giurisdizione quotidianamente con coscienza e spirito di sacrificio,
oltre che rischio personale.
Affermare che il clima esterno a questo o ad altri processi potrebbe avere condizionato
i giudici e le loro sentenze costituisce affermazione che - fino a quando non
sorretta da precise prove - deve essere respinta al pari di quelle che in passato
la Giunta aveva ritenuto di respingere quando certi provvedimenti dei giudici
erano stati accusati da determinate parti politiche di essere solo conseguenza
dell'appiattimento sulle posizioni della Procura.
Era la giusta occasione per questa nuova Giunta di riaffermare con assoluta
chiarezza e determinazione che i Giudici emettono le loro sentenze solo in forza
di meditate convinzioni maturate esclusivamente sulla base dell'esame delle
prove raccolte nel contraddittorio tra le parti e dello studio delle carte processuali.
Altro che disattenzione, alchimie o metabolizzazione dei comportamenti degli
imputati.
Le critiche, anche le piu' aspre, possono e devono essere legittimamente formulate
nei confronti delle sentenze e dei provvedimenti dei giudici ma esse non possono
e non devono mai trascendere nella gratuita ed immotivata offesa di chi, anche
con elevato rischio personale, ogni giorno svolge il proprio compito esclusivamente
con coscienza e senso del dovere.
Ricordo che un anno fa circa, dopo il deposito delle motivazioni della sentenza
a carico del sen Andreotti avvenuto il 16 maggio 2000, sul Corriere della Sera
del giorno successivo tra i commenti si leggeva che "in Procura quell'aggettivo
- inattendibile - piu' volte usato dal collegio giudicante nei confronti del
senatore a vita, viene interpretato come segno di sudditanza psicologica (<
Il Collegio del quale mi onoro di avere fatto parte aveva in quell'occasione
ritenuto di derogare al consueto dovere di riserbo per affermare con una lettera
al giornale - visto che nessuno si era curato di farlo - che quei giudici non
avevano mai avuto "sudditanza psicologica" nei confronti di chicchessia,
ed avevano sempre svolto il proprio difficile compito in tutti i processi, anche
complessi, di cui da anni si occupavano in condizioni di assoluta indipendenza,
autonomia, terzieta' ed imparzialita'.
Ipotizzare che i Giudici soffrano di "sudditanza psicologica" nei
confronti di un imputato, chiunque esso sia; che qualcuno di essi si sia fatto
condizionare dal clima; o peggio ancora irridere al loro lavoro accusandoli
di chissa' quali "alchimie" o di "disattenzione" nella valutazione
degli elementi di prova a carico di qualche imputato meno uguale degli altri:
tutto cio' puo' indurre coloro che da quegli stessi Giudici sono stati condannati
e anche ad elevate pene detentive - e tra essi numerosi esponenti mafiosi -
a ritenere (seppure infondatamente) che la magistratura abbia giudicato e giudichi
in maniera parziale e dunque iniqua, con le gravi conseguenze che possono immaginarsi
sul piano della esposizione a rischio personale di magistrati che continuano
ad essere impegnati, oggi come in passato, in numerosi processi alla mafia ed
alla criminalita' organizzata.
L'incomprensibile - per me - silenzio mantenuto dalla Giunta su questo argomento
che coinvolge non gia' il singolo (ti assicuro che resto davvero del tutto indifferente
alle critiche personali anche aspre avendovi ormai preso l'abitudine sin da
quando provenivano in casi esattamente opposti di note sentenze di condanna)
ma il valore essenziale della difesa della autonomia e della indipendenza della
Giurisdizione mi impone di rassegnare le dimissioni per prendere nettamente
le distanze da questo per me inaccettabile ed incomprensibile silenzio che si
e' deciso di mantenere peraltro dopo che la questione come ti e' noto era stata
portata all'attenzione della Giunta Distrettuale.
Palermo 26 marzo 2001
Salvatore Barresi
Il 27 marzo la Giunta di Palermo dell'A.N.M. è intervenuta con il seguente
documento:
La giunta distrettuale di Palermo dell'ANM esprime profondo rammarico per le
dimissioni dall'Associazione di Salvatore BARRESI, collega di cui tutti conoscono
ed apprezzano le doti umane e professionali, la grande preparazione giuridica,
l' equilibrio e l' indipendenza.
Duole però prendere atto che esse sarebbero determinate dal silenzio
che la Giunta avrebbe serbato sul contenuto del libro dei colleghi CASELLI ed
INGROIA.
Al riguardo la giunta intende precisare che non di insensibilità o indifferenza
si è trattato, avendo ritenuto invece senza alcuna "spaccatura"
al suo interno, a seguito di una serena discussione e valutazione, di non dovere
intervenire per ribadire principi fondamentali quali quelli dell'imparzialità,
autonomia ed indipendenza della giurisdizione che nel caso di specie si è
valutato non fossero stati lesi da opinioni espresse, seppur con toni forti
ma senza personalizzazioni, nell'esercizio della libertà di espressione
e di critica.
Pur comprendendo l'amarezza per le critiche ad una sentenza frutto di un grande
impegno e sacrificio di tutti i componenti del collegio, auspica vivamente che
il collega BARRESI possa rimeditare la sua decisione di dimettersi dall'ANM.
A questo punto, il 28 marzo, è intervenuta la Giunta nazionale dell'A.N.M.
invitando Barresi a recedere dalle dimissioni con il seguente documento:
LA A.N.M. SULLE POLEMICHE CASELLI - BARRESI
La Giunta dell'A.N.M., in merito alle polemiche suscitate dal libro di Caselli
ed Ingroia sulla sentenza Andreotti e dalle dimissioni del giudice Barresi da
socio dell'A.N.M;
ribadisce l'orientamento, pi volte espresso, della necessità
di contemperare il legittimo esercizio della critica con il rispetto della giurisdizione,
soprattutto da parte di chi abbia avuto un ruolo nel processo e quando esso
sia ancora in corso;
osserva che alcune espressioni critiche riportate dalla stampa, salvo ogni verifica
testuale, sembrano inopportune e richiama tutti al senso di responsabilità
ed autocontrollo che, in una fase così complessa per la magistratura,
deve ispirare tutti i magistrati, quali che siano le loro funzioni;
invita caldamente il dott. Barresi a recedere dalle dimissioni.
A tale documento ha fatto seguito il seguente comunicato del 28 marzo di Giancarlo
Caselli e Antonio Ingoia:
Apprendiamo che la Giunta centrale dell'ANM, talvolta prudentemente silenziosa
di fronte agli insulti e agli attacchi delegittimanti che per tanti anni sono
stati rivolti, anche dall'interno della magistratura, contro la Procura di Palermo,
ed i magistrati ad essi appartenenti, trova adesso la parola per occuparsi di
un nostro recente libro che riguarda sette anni di storia giudiziaria palermitana,
e non il processo Andreotti come inesattamente affermato nel documento della
Giunta.
La Giunta centrale candidamente ammette di non aver letto il libro. Se lo avesse
fatto, siamo sicuri che avrebbe constatato come esso contenga soltanto considerazioni
di carattere tecnico, sempre svolte nel rispetto delle persone e delle loro
funzioni, come del resto aveva riconosciuto la Giunta distrettuale di Palermo.
Caselli e Ingroia hanno precisato ulteriormente il loro pensiero in una lettera
al Giornale di Sicilia:
Al Sig. Direttore del Giornale di Sicilia
Gentile Direttore,
In questi giorni, il suo giornale si occupato pi volte di un nostro
recente libro su quasi sette anni di esperienza giudiziaria palermitana. Sapevamo
che la materia trattata avrebbe suscitato qualche polemica. Ma non pensavamo
che nel libro si potesse anche leggere (come invece è accaduto) un attacco
alla giurisdizione. Nel libro, infatti, stanno scritti a tutte lettere, e proprio
nel capitolo dedicato al "caso Andreotti", questi concetti:
Sappiamo bene che in un processo possono esservi elementi sufficienti per aprire
una inchiesta; per arrivare a chiedere in Parlamento, come in questo caso essendo
l'imputato un senatore, l'autorizzazione a procedere; per chiedere e ottenere
poi, dal giudice delle indagini preliminari, il rinvio a giudizio. Tutti questi
elementi, gli stessi che sono stati raccolti e presentati nel corso dell'iter
fin qui descritto, legittimandone le diverse fasi, possono poi in tribunale,
durante il processo, dimostrarsi insufficienti per una condanna. Se le sentenze
le scrivessero i procuratori della Repubblica o i gip, il nostro sistema giudiziario
verrebbe totalmente stravolto e i collegi giudicanti completamente svuotati.
Sta qui uno dei perni dell'amministrare giustizia in qualunque stato di diritto,
tra uomini liberi. E' soltanto in aula che si può stabilire se la valutazione
di probabilità che era stata sufficiente per rinviare a giudizio ha la
forza per diventare anche un giudizio di certezza.
Non ci sembra che si tratti di un attacco alla giurisdizione. Anzi, della giurisdizione
ci sono una valorizzazione e un sostegno convinti.
Il libro contiene anche alcune riflessioni critiche sul processo Andreotti.
Sono riflessioni svolte nel pieno rispetto dei giudici, la cui correttezza professionale
è ovviamente fuori discussione, e nel pieno rispetto delle diverse funzioni
giudiziarie. In pratica, si ripercorrono alcuni motivi d'appello. Con una "dialettica
interna al fare giustizia" che non può essere confusa con attacchi
o polemiche personali.
Gian Carlo Caselli Antonio Ingroia
A seguito delle polemiche sin qui sinteticamente riassunte una componente della
Giunta distrettuale dell'A.N.M. di Palermo si è dimessa ed è stata
indetta per giovedì 5 aprile un'assemblea che si è conclusa con
la seguente delibera unanime:
ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI
SEZIONE DISTRETTUALE DI PALERMO
L'Assemblea dell'A.N.M. del Distretto di Palermo a seguito di sereno e costruttivo
confronto:
Ribadisce che l'autonomia e l'indipendenza della giurisdizione e il diritto
di manifestazione del pensiero costituiscono valori fondanti della democrazia;
Rileva che quando tale diritto di manifestazione del pensiero si concreta nella
critica dei provvedimenti giudiziari e dell'operato dei giudici, il bilanciamento
dei valori coinvolti trova il suo punto limite nel rispetto della dignità
personale e della funzione giurisdizionale;
Osserva che in questo particolare periodo storico sulla magistratura italiana
si riversano tensioni e conflitti esterni che mirano spesso ad enfatizzare e
strumentalizzare anche episodi che rientrano nella dialettica culturale interna
alla magistratura;
Rileva, pertanto, che tale consapevolezza impone a tutti i magistrati una particolare
attenzione e prudenza nel far uso del diritto di critica;
Riafferma la totale autonomia ed indipendenza da ogni condizionamento della
Magistratura giudicante e requirente palermitana, magistratura che ha sin qui
svolto con grande responsabilità un compito particolarmente gravoso e
complesso;
Prende atto delle precisazioni di stampa con le quali i colleghi Caselli ed
Ingroia hanno ribadito che le opinioni espresse nel loro libro intervista non
hanno mai messo in dubbio l'indipendenza di giudizio ed il rigore morale dei
componenti del Collegio che ha trattato il processo a carico di Giulio Andreotti;
conferma la propria stima al collega Salvatore Barresi, invitandolo a ritirare
le dimissioni.
Invita altresì la collega Adriana Piras a revocare le dimissioni dalla
Giunta sezionale dell'A.N.M..
Approvato in Palermo, li 5.4.2001
Due giorni dopo Salvatore Barresi revocava le sue dimissioni dall'Associazione
con la seguente lettera:
Al Sig. Presidente della Giunta Distrettuale
Dell'Associazione Nazionale Magistrati
Palermo
Caro Presidente,
i fatti degli ultimi giorni e la vasta e diffusa attenzione registrata nei confronti
del delicato tema da me portato all'attenzione dell'ANM mi hanno indotto a riflettere
ed a recedere dalle annunciate dimissioni dall'associazione.
Il mio sofferto gesto, che Ti assicuro avrei volentieri evitato, credo che abbia
almeno avuto il benefico effetto tra i colleghi di ridare slancio e vitalità
ad un dibattito e ad una voglia di partecipazione che negli ultimi anni si erano
sensibilmente affievoliti.
La partecipatissima ed appassionata assemblea di qualche giorno fa - di cui
ho avuto soltanto qualche eco avendo deciso, pur con rammarico, ma per ovvie
ragioni di opportunità, di non presenziare - sarà ricordata come
uno dei momenti pi alti e significativi dell'impegno associativo a Palermo
degli ultimi anni.
La riflessione approfondita ed anche sofferta avviata su fondamentali temi quali
l'autonomia e l'indipendenza della giurisdizione ed il rispetto della dignità
personale e della funzione giurisdizionale nel rapporto con il diritto di manifestazione
del pensiero gioverà indubbiamente alla magistratura palermitana che
da tutta questa vicenda penso potrà trarre insegnamento per andare avanti
con l'impegno ed il senso di responsabilità di sempre.
Colgo l'occasione per ringraziare quanti sia in pubblico che in privato, hanno
voluto testimoniarmi stima ed amicizia e sono consapevole che, al di là
della mia persona, ciò che si è voluto sottolineare, anche da
parte di quanti non hanno condiviso la mia scelta, è stata comunque la
sensibilità ed il vivo interesse ai temi ed alle questioni che avevo
inteso portare all'attenzione di tutti.
E proprio l'ampia discussione avviata su questi temi ed il pluralismo di opinioni
che ha avuto spazio sulla stampa locale ed oltre mi inducono a continuare ad
offrire a Palermo il mio davvero modesto contributo all'associazione.
Ti ringrazio.
Palermo 7 aprile 2001
Salvatore Barresi
ÂÂ
ALCUNE OSSERVAZIONI, NON UNA CONCLUSIONE
1. La lettera di dimissioni dall'A.N.M. di Salvatore Barresi e le reazioni
che ne sono seguite denotano un profondo malessere tra i giudici di Palermo
che non può essere sottovalutato. Un punto va affermato con chiarezza,
prima di addentrarsi nell'analisi: le posizioni di chi, irrazionalmente o strumentalmente,
ha colto l'occasione per scaricare la Procura e il suo lavoro o, in modo opposto
e simmetrico, il Tribunale di Palermo ed i suoi giudici sono irresponsabili
e devono essere respinte.
2. L'apprezzamento per l'attività svolta in questi anni dalla Procura
di Palermo, che è riuscita a risalire la china dopo la gestione del Procuratore
Giammanco e a raggiungere importanti risultati investigativi non è in
discussione. Tale attività è stata preziosa non solo per la città
di Palermo, ma per l'intero Paese, e ciò al di là dell'esito pi
o meno corrispondente all'impostazione accusatoria di questo o quel processo
(cosa del resto fisiologica nell'attività giudiziaria). Allo stesso modo
vanno sottolineati l'impegno e le enormi difficoltà che si è trovata
a fronteggiare una magistratura giudicante alle prese con processi di enorme
mole e complessità, con un numero di addetti bassissimo rispetto all'ufficio
requirente, essendo a Palermo il rapporto giudicanti - requirenti pi
sfavorevole di tutta Italia.
3. La critica dei processi e delle decisioni giudiziarie è positiva
e necessaria per la democrazia e per la crescita della magistratura. Il nostro
modello di magistrato non potrà mai essere quello del giudice omologato
e silenzioso. Le decisioni, come le impugnazioni, possono essere criticate anche
aspramente, ma non possono essere poste in discussione (salvo specifici elementi
in contrario) l'onestà intellettuale o l'integrità morale di chi
le adotta. Affermare che il giudice o il P.M. facciano le loro scelte sulla
base della paura o dell'interesse è grave ed offensivo. Non credo che
le frasi del libro di Caselli e Ingroia, ancorch connotate da una certa
ambiguità, significhino questo. Ma da questa vicenda credo che si debba
trarre un monito per una crescita di attenzione affinch gli inevitabili
e fisiologici conflitti tra inquirenti e giudicanti, come tra i diversi gradi
di giudizio, non diano luogo a personalizzazioni polemiche e ad attacchi personali.
4. Il rischio, infatti, è non solo quello di creare una cesura tra Tribunale
e Procura ma, ancor pi, quello di dare fiato a chi, tramite la separazione
delle carriere, persegue un disegno di attacco all'indipendenza della magistratura
e di controllo sulla stessa. Occorre invece sforzarsi di capire anche le ragioni
degli altri, al di là del mestiere che ciascuno svolge. Palermo, come
sempre, è un laboratorio e un'anticipazione di quanto può accadere
a livello nazionale. La positiva soluzione della vicenda, che è stata
possibile per il livello dei colleghi interessati e per la maturità dimostrata
dai magistrati e dall'associazionismo di Palermo, non può in alcun modo
farci dimenticare i pericoli esistenti e l'attenzione necessaria ovunque per
costruire un rapporto in cui i fisiologici contrasti che si manifestano siano
sempre ispirati ad un reciproco rispetto e confronto.
Aprile 2001
Claudio Castelli