di Md
MOZIONE FINALE
Il XIII Congresso nazionale di Magistratura democratica, richiamate
le linee fondamentali della relazione del segretario, osserva:1. La giurisdizione
si trova oggi a fronteggiare compiti di straordinaria difficoltà. Deve
dare risposta a una domanda crescente di giustizia (propria di una società
articolata e complessa) relativa sia ai diritti classici, che si esprimono spesso
in forme inedite, sia alle istanze di nuove soggettività; e deve tutelare
la legalità nel vasto settore dell'economia, della finanza, della pubblica
amministrazione e nella repressione delle diverse forme di criminalità,
in particolare di quella organizzata. Ciò avviene mentre è in atto,
in delicati settori, un sostanziale arretramento nella difesa dei diritti fondamentali,
soprattutto nei confronti dei soggetti deboli, e anche la cultura di sinistra
subisce l'egemonia del pensiero liberista, con il rischio di abbandonare la prospettiva
di emancipazione disegnata nella Costituzione. In questa situazione va ribadita
la persistente validità dei principi fondamentali della Costituzione, in
primo luogo del principio di uguaglianza formale e sostanziale stabilito dall'art.
3. Sta in questo l'inevitabile politicità della funzione giudiziaria e
la conferma della validità della scelta di campo operata in anni ormai
lontani da Md. E viene di qui l'impegno di Magistratura democratica per il superamento,
anche da parte dell'Associazione nazionale magistrati, di logiche di separatezza
e di rifiuto dell'impegno politco-culturale. 2.
L'influenza crescente delle normative di origine comunitaria nell'ordinamento
giuridico interno rende necessario riprendere in una nuova chiave il tema del
nesso fra democrazia, diritti e giurisdizione. I processi politici, economici
e finanziari di integrazione hanno fatto emergere istituzioni sopranazionali dotate
di pervasive competenze ed attribuzioni. La prevista approvazione a Nizza di una
Carta europea dei diritti fondamentali segna un positivo passo in avanti sulla
strada della democratizzazione della costruzione europea, realizzando una forte
discontinuità rispetto alla ispirazione mercantile e liberista che fino
ad oggi l'ha guidata. La Carta disegna l'architettura di un modello sociale europeo
incentrato sulle garanzie individuali e collettive del welfare state (a
cominciare dalla salute e dall'istruzione obbligatoria e gratuita) e dei diritti
del lavoro, sull'equo e giusto processo per la tutela di queste posizioni soggettive,
sulla proibizione della pena di morte. L'elenco dei diritti fondamentali predisposto
dalla Convenzione dei 62 è completo; contempla non solo le prerogative
classiche dei diritti e delle libertà individuali, ma si estende ai principali
diritti del lavoro e a quelli di carattere socioeconomico, sino ad includere importanti
diritti c.d. di terza generazione, come la libertà nella rete e la tutela
dell'ambiente nel quadro di uno sviluppo sostenibile. La Carta riafferma, inoltre,
l'indivisibilità e l'universalità dei diritti fondamentali, non
dispone gerarchie fra di essi, introduce inedite forme di "inclusione"
per gli immigrati e riconosce il diritto ad una esistenza dignitosa per coloro
che non dispongono di risorse sufficienti. In aggiunta essa ribadisce i diritti
riconosciuti nelle singole costituzioni ed in tal modo, valorizzandoli e recependoli
nell'ordinamento comunitario, pone un ostacolo a politiche comunitarie che possano
contraddirli. Se è vero che, per quanto riguarda in particolare i diritti
socioeconomici vi è spesso un inevitabile riferimento alle prassi e legislazioni
nazionali, la clausola del rispetto comunque del contenuto essenziale di tutte
le libertà e di tutti i diritti della Carta rende evidente che l'Unione
ed i suoi membri non potrebbero, nel vigore della Carta, allontanarsi da quel
modello. La Carta viene incontro alle richieste del costituzionalismo e del giuslavorismo
pi avanzato europeo ed alle stesse sollecitazioni della Corte di giustizia
di Lussemburgo che ha pi volte richiesto l'elaborazione di un catalogo
di diritti fondamentali vigente per tutta l'Unione. Per i giuristi ed i giudici
la Carta, quale che sia la sua collocazione nel sistema comunitario, costituisce
comunque un punto di riferimento essenziale non solo per l'attività delle
istituzioni comunitarie, ma per l'attività interpretativa dei giudici europei,
che devono riconoscerle - attraverso anche il meccanismo dell'interpretazione
conforme - un posto privilegiato nel sistema delle fonti. Il percorso di democratizzazione
in atto della Unione europea deve peraltro essere seguito con attenzione critica
e con l'obiettivo di una vera e propria Costituzione europea.
3. La giustizia ha vissuto in questi anni la realizzazione
di alcune riforme che ci consegnano assetti profondamente diversi dai precedenti
con un nuovo reticolo territoriale e una forte e diffusa magistratura onoraria.
Il modo disordinato con cui tali riforme sono state attuate, in assenza di una
coerente strategia riformatrice, ha convogliato l'attenzione sui limiti, le incongruenze,
le difficoltà pi che sullo sforzo di razionalizzazione del quadro
complessivo: ciò è emerso in particolare nella realizzazione del
giudice unico di primo grado, caratterizzata da limiti legislativi, ma anche da
resistenze culturali e incapacità gestionali ed organizzative. Il processo
riformatore va proseguito con la revisione delle circoscrizioni, i tribunali metropolitani,
l'adeguata distribuzione e il corretto impiego delle risorse, progetti organizzativi
degli uffici che sfruttino appieno le possibilità offerte dalle nuove tecnologie.
La riforma deve riguardare anche punti importanti dell'ordinamento giudiziario:
dalla formazione comune degli aspiranti magistrati e avvocati all'istituzione
della scuola della magistratura, dalla temporaneità degli incarichi dirigenziali
alla previsione di percorsi professionali che, pur all'interno della stessa carriera,
tengano conto della specificità delle funzioni di giudice e pubblico ministero
(per esempio in punto formazione, organizzazione degli uffici, ipotesi di incompatibilità
nei trasferimento). Occorre, poi, sciogliere alcuni nodi delicati: la specializzazione,
i controlli di professionalità (per ridisegnare la cosiddetta carriera),
i percorsi di formazione, selezione e valutazione dei dirigenti, gli apporti di
altre competenze organizzative interne ed esterne all'amministrazione. La specializzazione,
come criterio di organizzazione del lavoro, è necessaria per assicurare
efficacia al controllo giurisdizionale nelle materie di elevata complessità:
essa va realizzata mediante il sistema tabellare che consente di perseguire l'esigenza
di specializzazione per gruppi di materie, garantisce la flessibilità del
sistema e l'utilizzo ottimale delle risorse umane, favorisce la circolazione delle
idee e il rinnovamento della giurisprudenza; in ogni caso essa va accompagnata
dalla temporaneità delle funzioni. Quanto ai poteri amministrativi affidati
ai dirigenti degli uffici e funzionali all'esercizio della giurisdizione, essi
richiedono, da un lato, regole di trasparenza e pianificazione e, dall'altro,
controlli gestionali con individuazione di meccanismi di verifica e responsabilità.
4. Il circuito dell'autogoverno vive una stagione di difficoltà
e di crisi. Il Consiglio superiore è investito di sempre pi rilevanti
ed onerosi compiti organizzativi e formativi in relazione sia alla magistratura
professionale che a quella onoraria, in questi anni cresciuta per numero di magistrati
e per ampliamento di funzioni. In questo contesto la perdurante inerzia del legislatore
lo ha indotto ad avviare con propri atti un processo di decentramento di compiti
verso i consigli giudiziari, processo certamente destinato a futuri sviluppi.
Ma occorre un pi incisivo intervento riformatore da parte del Parlamento
che potenzi i consigli giudiziari, rinnovandoli sia nella composizione (con l'inclusione
di rappresentanti della magistratura onoraria) che nei poteri e aprendoli a presenze
e contributi esterni, in primo luogo agli avvocati. Non va taciuto peraltro che
non è solo questo il problema. Nella dialettica interna al Consiglio si
manifestano, infatti, spinte regressive su questioni cruciali per l'indipendenza
di ciascun magistrato e la propensione di componenti togate e laiche a dar vita
ad un circuito di potere indifferente ed estraneo al circuito delle idee. In conseguenza
di ciò il Csm, pur essendo riuscito sino ad ora ad operare in difesa dell'indipendenza
della magistratura da attacchi esterni, mostra evidenti carenze nella gestione
e nella progettualità e non sempre costituisce un limpido punto di riferimento
per la generalità dei magistrati. 5. La
prima fase di attuazione della riforma sul giudice unico ha evidenziato gravi
difficoltà del sistema di autogoverno nell'assicurare una distribuzione
delle risorse adeguata al fine di realizzare una tutela "ragionevole"
dei diritti. Il rilievo riguarda in primo luogo le lacune del procedimento tabellare,
i ritardi degli interventi di autogoverno, le carenze del sistema di rilevamento
dei flussi di lavoro, ma coinvolge altresì il ruolo dei dirigenti e la
scarsa partecipazione dei magistrati alle scelte organizzative. Md non è
disponibile ad accettare ulteriormente linee di associazionismo giudiziario che
continuino ad accreditare una complessiva irresponsabilità della magistratura
per tali disfunzioni. Infatti pur se esistono certamente carenze normative addebitabili
al potere legislativo e carenze delle strutture amministrative, sono altrettanto
evidenti concrete carenze del sistema di autogoverno (dal Csm sino ai magistrati
con funzioni semidirettive) e di una cultura associativa che ha finora sistematicamente
alleggerito gli obblighi e le responsabilità che ricadono direttamente
sulla magistratura. E' necessario che l'Anm volti pagina, guidando il cambiamento
attraverso il rilancio di un'idea di giurisdizione che coniughi, senza cadute
corporative, indipendenza della magistratura ed effettività della tutela
dei diritti, affrontando con decisione i nodi dei controlli di professionalità
e della organizzazione degli uffici e denunciando tempestivamente la grave situazioni
che persiste in molti uffici. Appare assai positiva la crescita, in molte sedi,
di gruppi a composizione mista (magistrati/avvocati/personale di cancelleria),
quali gli Osservatori per la giustizia civile, sorti per rendere omogenee le prassi
processuali e per formulare proposte organizzative ai capi degli uffici.
6. La complessità dei compiti della giurisdizione, il rifiuto di
chiusure corporative implicito nella valenza politica del giudicare, i rischi
contrapposti del conformismo e del soggettivismo impongono un costante controllo
dei livelli di professionalità e, insieme, il coinvolgimento nel dibattito
di tutti coloro che operano nel mondo del diritto, e in particolare gli avvocati
con i quali è urgente la ripresa di un dibattito sulla formazione comune,
la deontologia, l'organizzazione della giurisdizione. Gli avvocati, in quanto
partecipi della giurisdizione sono inoltre chiamati a concorrere alla soluzione
di due problemi essenziali: la tutela giurisdizionale dei non abbienti e le valutazioni
di professionalità dei magistrati. Sul primo punto Md propone la realizzazione
di uffici pubblici di difesa retribuiti dallo Stato, invitando l'avvocatura ad
un aperto confronto sulle concrete modalità di attuazione; sul secondo
riafferma la necessità di un apporto conoscitivo dei Consigli dell'ordine.
7. Il riconoscimento giurisprudenziale di nuovi diritti della persona nei
settori pi diversi (dalla tutela individuale e collettiva dei consumatori
a quella del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, dalla sfera
dei rapporti familiari di fatto ai conflitti in materia bioetica) dimostra, una
volta di pi, l'essenzialità del controllo diffuso della giurisdizione
civile per l'affermazione di valori di uguaglianza, libertà, democrazia,
e per il rispetto delle regole che devono governare il funzionamento del mercato.
L'efficienza e l'effettività della giustizia civile (e il definitivo superamento
della drammatica crisi che la investe) devono costituire motivo primario dell'impegno
della magistratura associata, poich il doppio primato negativo che caratterizza
il nostro Paese - lentezza del processo (ordinario ed esecutivo) ed assenza di
un sistema di assistenza dei soggetti non abbienti - si traduce in diniego di
giustizia, produce sfiducia nei cittadini e degrado dei rapporti economici e sociali.
Raggiungere un livello di efficienza accettabile è possibile, anche in
tempi contenuti, attraverso la piena realizzazione della riforma del 1990 (che,
dove attuata, ha dato risultati positivi) e il completamento del programma riformatore,
supportato da una coerente politica di spesa e l'impegno comune di tutti gli operatori
del diritto. In tale contesto, alcuni interventi si rivelano prioritari: a)
la razionalizzazione della geografia giudiziaria; b) l'ulteriore valorizzazione
del ruolo della magistratura onoraria, di cui deve urgentemente essere completato
l'organico, con razionalizzazione della distribuzione dei giudici di pace sul
territorio, aumento della loro competenza per valore e la realizzazione di una
seria politica di formazione (e di valutazione) professionale; c) una politica
degli uffici fondata sia sull'aumento delle risorse umane e materiali sia su una
nuova cultura dell'organizzazione che veda pienamente coinvolti, in relazione
alle reciproche competenze e responsabilità, Ministero di giustizia ed
organi dell'autogoverno. Tra gli interventi organizzativi, indilazionabili appaiono:
la concreta realizzazione dell'ufficio del giudice; il completamento dell'informatizzazione;
il riordinamento della statistica giudiziaria; l'effettuazione di un attento monitoraggio
di tutti gli uffici, comprese le Corti di appello e la Corte di cassazione, al
fine di consentire una migliore distribuzione del lavoro (cercando di assicurare
che in primo grado il ruolo dei magistrati non superi di media le 500/600 cause)
e una verifica delle soluzioni organizzative; la cessazione di una politica di
sottrazione di risorse umane e materiali al settore civile, che aggrava l'inefficienza
degli uffici, specie in alcuni uffici del Meridione. E' inoltre utile proseguire
sulla via dell'introduzione di un insieme integrato di strumenti di definizione
delle controversie alternativi al processo e alla sentenza e di procedimenti cautelari
semplificati (senza necessario collegamento col giudizio di merito) e di misure
coercitive sul modello dell'astreinte. 8.
Nel corso di questi anni molte sono state le modifiche legislative della disciplina
del processo penale, non sempre sorrette da un disegno coerente, quasi mai accompagnate
da una preventiva valutazione delle conseguenze dell'applicazione delle nuove
norme e dell'apprestamento tempestivo delle risorse necessarie. Il risultato di
questa produzione legislativa è stata la creazione di un sistema processuale
in cui, accanto a reali garanzie, esistono formalismi privi di giustificazione
che si traducono in onerose attività burocratiche ovvero in altrettanto
ingiustificati meccanismi dilatori della decisione. E' urgente da una parte dare
stabilità alle norme via via introdotte per poterne valutare gli effetti
nella pratica, dall'altra che avvenga una ricostruzione del sistema che restituisca
razionalità. Tutto ciò si deve fare a partire dai principi sul "giusto
processo" affermati dal nuovo art.111 Costituzione - contraddittorio nella
formazione della prova e durata ragionevole dei processi - ai quali Md ribadisce
la propria convinta adesione. Il contraddittorio nella formazione della prova,
garanzia del raggiungimento di una verità affidabile, esige il varo sollecito
della disciplina di legge ordinaria, ancora all'esame del Parlamento di cui si
condivide l'orientamento teso alla riduzione dell'area del diritto al silenzio
dell'imputato chiamante in correità, nella consapevolezza peraltro che
la specifica disciplina deve essere coerente con l'insieme delle norme processuali
e compatibile con il diritto di difesa previsto dalla Costituzione. La scelta
di ridurre l'area del diritto al silenzio risponde alla logica del metodo accusatorio
e consente di limitare l'utilizzazione ai fini di prova delle dichiarazioni rese
nelle indagini preliminari. Il principio di ragionevole durata impone che la disciplina
complessiva del processo consenta di pervenire ad una decisione definitiva in
un tempo compatibile con l'efficacia di essa rispetto alle situazioni da tutelare.
Vi sono oggi, dopo le riforme intervenute, due modelli di processo: i riti alternativi
e in particolare il giudizio abbreviato, che dovrebbero divenire quelli pi
praticati, e il giudizio in dibattimento, che dovrebbe essere riservato ai casi
pi controversi. C'è il rischio che la scelta tra i due modelli
sia condizionata dalle condizioni economiche degli imputati il che costituirebbe
una inaccettabile discriminazione classista. Per evitare che ciò accada
è necessario assicurare la effettività della difesa a tutti, anche
con l'introduzione di uffici pubblici di difesa. 9.
C'è nella nostra società una domanda di sicurezza, che seppur enfatizzata
e strumentalizzata a fini di consenso politico, richiede attenta considerazione
ed esige risposte razionali e coerenti con l'assetto democratico della società
e delle istituzioni. Sicurezza e giustizia sono esigenze della vita sociale che
non si risolvono l'una nell'altra. Nella discussione in corso l'esigenza sacrosanta
di sicurezza si è ridotta a problema di polizia e carcere rapido in relazione
ad alcuni delitti, senza considerare che essa è nozione pi ampia
che fa riferimento all'insieme delle condizioni della vita sociale. Esistono certamente
problemi di gestione dell'ordine pubblico e di controllo del territorio (peraltro
estranei ai compiti della magistratura), ma l'attuale situazione è anche
il frutto dell'abbandono di qualsiasi ottica e politica di prevenzione. Le politiche
sociali di integrazione sono spesso difficili e solleva talvolta scandalo l'atteggiamento
che punta alla "riduzione del danno" in materia di tossicodipendenza,
ma poco si riflette che alla lunga proprio le politiche sociali, pi della
tolleranza zero e della blindatura delle città, producono una sicurezza
certa e affidabile. In tema di tossicodipendenza, in particolare, vanno intraprese
con coraggio politiche che superino la pura logica repressiva e si aprano alla
sperimentazione di interventi alternativi (anche sulla scorta di positive e ormai
collaudate esperienze europee). Parallelamente una accresciuta attenzione va dedicata
alle vittime del reato, in favore delle quali occorrono appropriate politiche
di sostegno. Oggi viviamo un periodo di pulsioni repressive, segreganti ed espulsive
che si nutrono dell'illusione che inasprire le pene e produrre pi carcere
sia risolutivo. Contrastare questa deriva non significa sottovalutare la vastità
e la pericolosità dei fenomeni criminali ed in particolare della radicata
presenza di una criminalità organizzata in ampie zone del Paese, ma anzi
cercare risposte efficaci e vincenti: il problema di una collettività non
può essere solo di punire, ma anche di prevenire e recuperare, se si vuol
far sì che la stessa repressione sia praticabile ed efficace. La difficoltà
e l'inefficienza della giustizia penale dipendono in larga parte dall'eccessiva
estensione della legge penale e, in particolare, della sanzione detentiva. Da
anni Md - e non essa soltanto - chiede una riforma profonda nella direzione di
un diritto penale "contenuto". Tale opzione risponde non solo a esigenze
di funzionalità, ma anche alla convinzione che la sanzione penale, specie
quella detentiva, debba costituire l'extrema ratio per la difesa di beni
fondamentali del singolo e della collettività. La prospettiva di un diritto
penale limitato al minimo necessario deriva dunque non solo da principi utilitaristi
di contenimento degli illeciti per consentirne l'effettivo perseguimento, ma anche
dalla idea di costruzione di una società ispirata a principi di tolleranza.
10. L'immigrazione si è confermata in questi anni fenomeno di vaste
proporzioni determinato da ragioni demografiche, economiche e politiche di straordinaria
importanza. Rispetto a ciò le forze democratiche e la cultura giuridica
devono innanzitutto tutelare i diritti fondamentali della persona e promuovere
il pacifico e civile inserimento di tanti nuovi soggetti nella società
europea. Il fenomeno migratorio va affrontato con strumenti ordinari e flessibili,
oltre che rispettosi della nostra Costituzione e delle convenzioni internazionali.
Al contrario si assiste frequentemente a iniziative legislative tese ad inseguire
l'allarmata percezione sociale sulla presenza degli stranieri attraverso il ricorso
a strumenti di tipo emergenziale, pericolosi e d'effetto apparente, ma inidonei
a fornire soluzioni concrete e razionali ai problemi esistenti. In questa linea
di realizzazione di un diritto speciale per gli straniere, che ha la pi
significativa espressione nel massiccio ricorso alla detenzione amministrativa
nei cd "centri di permanenza temporanea e assistenza", si pongono il
disegno di legge n. 4656/2000, approvato nello scorso ottobre dal Senato, e le
recenti proposte volte ad introdurre l'obbligo di rilevamento delle impronte digitali
(già oggi possibile in presenza di dubbi sulla identità personale)
solo e in modo indiscriminato nei confronti di tutti gli stranieri.
11. Ancor pi di quanto è avvenuto in passato i temi della
tutela ambientale e della salute nei luoghi di lavoro conoscono momenti di assoluta
indifferenza da parte dei giudici. N d'altra parte il contesto della politica
e dell'amministrazione sembra favorire una presa di coscienza della particolare
gravità che oggi conoscono le continue aggressioni all'ambiente e alla
vivibilità del nostro territorio, e le condizioni di insicurezza e di insalubrità
a cui sempre di pi sono esposti i lavoratori. Al massiccio recepimento
delle direttive comunitarie in materia di sicurezza non solo non è seguita
una revisione organica degli strumenti della prevenzione, ma si sono altresì
lasciate cadere alcune iniziative (quali il testo unico delle leggi della sicurezza,
o l'aumento degli organici delle Asl nelle regioni del sud) che pure sembravano
nei piani del governo. Contemporaneamente è venuto progressivamente meno
il controllo degli organi giudiziari, e questo ha favorito un clima di generalizzata
inosservanza delle norme. La conseguenza è che non accenna a diminuire
lo zoccolo duro degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, ancora
drammaticamente ancorato sulla cifra di un milione di infortuni per ogni anno.
Parallelamente in materia di tutela dell'ambiente si sono registrate alcune proposte
di legge meritevoli di valutazione positiva nella parte in cui tendono a razionalizzare
la materia, sostituendo a una tutela contravvenzionale frammentaria e inadeguata,
poche fattispecie di delitto volte a colpire anche gravi fenomeni criminali di
recente emersione (come le ecomafie): esse peraltro languono in Parlamento e,
in assenza di una reale volontà politica, rischiano di rimanere mere declamazioni.
12. I conflitti sorti negli ultimi anni all'incrocio tra applicazioni scientifiche,
corpo umano e libertà delle donne e degli uomini hanno portato a un arricchimento
del catalogo dei diritti fondamentali. I magistrati sono pienamente coinvolti
nelle questioni bioetiche, sia in quelle tradizionali, quali l'aborto, l'eutanasia
e la responsabilità medica, sia in quelle del tutto inedite che sorgono
con le tecniche di riproduzione assistita e con le applicazioni della genetica
(test genetici, terapie geniche, sperimentazione nonch trattamento e disponibilità
dei dati personali). La regolazione delle questioni di corpo e libertà
ha come presupposto essenziale un approccio laico, che deve informare sia
l'intervento del legislatore (comunque leggero e non condizionato da fondamentalismi
ideologici o religiosi) sia le interpretazioni giurisprudenziali, per poter garantire
soluzioni compatibili con le diverse opinioni morali e religiose presenti nella
società. La laicità del giudice consiste anche nella capacità
di mettere in discussione idee consolidate della tradizione giuridica, la cui
validità va ripensata alla luce dei conflitti della bioetica.
13. Il settore del lavoro è quello che maggiormente ha risentito
delle spinte neoliberiste del mercato, in cui la tutela dei diritti dei lavoratori
rischia di perdere incisività ed effettività. La corsa dell'Unione
europea verso un processo di integrazione prevalentemente economica e monetaria
non ha certamente aiutato, negli anni scorsi, la difesa dei diritti sociali;
le politiche comunitarie, tutte rivolte al contenimento dell'inflazione, hanno
avuto pesanti ricadute in termini di restringimento delle garanzie dei lavoratori.
Ma oggi le linee guida delle normative internazionali sembrano avere in
parte abbandonato l'ottica della preminenza della politica economica su quella
sociale: è necessario cogliere la positività di questa dimensione
giuridica, non solo per arginare spinte deregolative, ma anche per trovare forme
di interpretazione giurisprudenziale che, riferendosi anche ai principi contenute
in queste normative, realizzino l'effettività delle tutele. Siamo ancora
di fronte ad un quadro non certo rassicurante, tanto sul piano delle tutele sostanziali
quanto su quello della garanzia della giustiziabilità dei diritti. La crisi
del lavoro salariato non ha determinato sinora la creazione di nuove forme di
attività e di impieghi utili tanto alle aziende quanto ai lavoratori: ancora
oggi la flessibilità è essenzialmente a vantaggio del datore di
lavoro, mentre per molti lavoratori essa è sinonimo di precarietà,
bassa professionalità o difficoltà di riqualificazione; sono ancora
sostanzialmente inesistenti politiche occupazionali che prevedano una formazione
professionale permanente. In attesa di una seria riforma del welfare, si
assiste alla precarizzazione strisciante non solo delle forme di lavoro ma anche
delle situazioni di vita. L'indifferenza per il valore del lavoro e della qualità
della vita in generale si concretizza anche nell'aumento esorbitante di infortuni
sul lavoro, che sta divenendo una vera e propria questione sociale. Al diminuito
valore sociale attribuito al lavoro corrisponde un disimpegno per le forme di
tutela giudiziaria dei lavoratori. E' sconcertante la situazione di lentezza con
cui in tanti tribunali si amministra la giustizia del lavoro. La centralità
del processo è ancora oggi una necessità e va mantenuta quando sono
in gioco diritti sociali fondamentali, quando si è di fronte ad una precarietà
e ad una subalternità delle forme di lavoro che costituiscono attacco a
quei diritti che fanno di ogni lavoratore un cittadino libero e garantito. Tuttavia,
la funzione di tutela primaria del processo deve fare i conti con le forze e le
energie spendibili: l'aumento di organico non è sufficiente e comunque
non può risolvere da solo la crisi di questo settore della giustizia. Questo
processo, il cui impianto non va messo in discussione, oggi non può reggere
il carico di una domanda di giustizia che si accumula in maniera talvolta spropositata.
Pertanto anche per il settore della giustizia del lavoro non vanno escluse scelte
che, pur non abdicando alla centralità del processo, alleggeriscano il
contenzioso giudiziale. Non è una strada semplice, perch la nostra
legislazione del lavoro poggia prevalentemente sul carattere indisponibile dei
diritti, la cui tutela non è demandabile agevolmente ad organismi diversi
dalla magistratura ordinaria. L'introduzione del tentativo obbligatorio di conciliazione
non ha dato dappertutto risultati soddisfacenti, ma la ragione va soprattutto
ricercata nel malfunzionamento dei collegi di conciliazione anche per l'assenza
di adeguata preparazione professionale di chi vi fa parte. Ampie sono le perplessità
sull'arbitrato: sia con riferimento all'arbitrato irrituale introdotto dal legislatore
sia con riferimento a generali problemi di rappresentanza sindacale, essendone
stata demandata la gestione alle sole organizzazioni firmatarie degli accordi
collettivi che regolamentano le procedure arbitrali. Tutto ciò non esclude
la possibilità di individuare strumenti deflativi costruiti come veri circuiti
alternativi per la risoluzione di alcuni tipi di controversie, in particolare
connessi all'ipotesi di riforma del processo previdenziale con la previsione di
un rafforzamento della fase amministrativa sostitutiva di un grado di giudizio.
Vanno anche proposti correttivi che, non modificando le regole del processo del
1973, mirino a snellire ancor pi la procedura, in particolare per le cause
su licenziamenti e trasferimenti. Ma l'esperienze insegna che qualsiasi riforma
rimane lettera morta se non accompagnata da una parallela riorganizzazione degli
uffici, in termini di condizioni materiali e strutturali e di coordinamento e
vigilanza dei dirigenti. 14. Sempre pi
frequenti e violenti sono gli attacchi nei confronti di magistrati che con le
loro indagini in tema di corruzione e criminalità organizzata hanno cercato
di realizzare in concreto il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti
alla legge. Ciò evidenzia, per il futuro, forti rischi per l'indipendenza
e l'autonomia della giurisdizione e della magistratura. A questa situazione occorre
reagire, da un lato, con la difesa intransigente del modello di giurisdizione
previsto dalla Carta costituzionale e, dall'altro, con un forte impegno per rendere
il servizio giustizia efficiente ed adeguato alle richieste dei cittadini. Su
questi piani si misureranno la capacità e la credibilità, nelle
rispettive competenze, del sistema di autogoverno e dell'associazionismo giudiziario.
Questi saranno, in ogni caso, i terreni di impegno di Magistratura democratica,
anche in rapporto con i soggetti e i movimenti che si propongono di operare per
la tutela e per l'allargamento dei diritti fondamentali.
Venezia, 26 novembre 2000