Comunicato sul documento del <i>plenum</i> del 6 febbraio 2003


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di Ernesto Aghina, Paolo Arbasino, Maria Giuliana Civinini, Giuseppe Fici, Luigi Marini, Francesco Menditto, Giuseppe SalmŽ, Giovanni Salvi

1. Comunicato sul documento approvato

Il documento approvato dal plenum il 6 scorso nasce da un’iniziativa di
Berlinguer, come noi preoccupato di evitare altre lacerazioni dopo quella
verificatasi in occasione del parere sulla Cirami. Berlinguer aveva predisposto
un testo e altrettanto avevamo fatto noi e Unicost. Il nostro conteneva:

  1. l’affermazione del dovere istituzionale del Consiglio di intervenire
    a tutela dei singoli magistrati e dell’ordine giudiziario;
  2. una decisa condanna dell’attacco alla cassazione;
  3. un richiamo alla dottrina liberale "vera" dello stato di diritto
    - nel senso che la separazione dei poteri va intesa, pi precisamente,
    come sistema di "pesi e contrappesi" e non come gerarchia tra i poteri,
    in base alla quale tutto è subordinata alla indistinta volontà popolare;
  4. una disponibilità ad affrontare i problemi reali della giurisadizione
    e dell’ordinamento giudiziario, con riforme conformi a costituzione,
    e in particolare che garantiscano la tutela dell’autonomia e indipenedenza
    della magistratura e dell’efficienza del servizio giudiziario;
  5. una difesa della giurisprudenza della sezione disciplinare, nella
    stragrande maggioranza dei casi confermata dalla giurisprudenza delle
    sezioni unite. I laici della cdl, a loro volta, avevano predisposto
    un testo in cui:

    1. non c’era traccia della sentenza della cassazione (questa era
      la condizione imprescindibile posta da alcuni di loro per partecipare
      all’iniziativa) ma solo la riaffermazione del noto principio "sì
      alle critiche, no alle denigrazioni e delegittimazioni", anzi "no
      alla deligittimazione, sì alla critica, anche forte," cio con l’enfasi
      spostata sulla critica e non sulla condanna della deligittimazione;
    2. il Csm si assumeva un generico impegno di collaborazione alle
      riforme di competenza del Parlamento e ad affrontare alcuni nodi
      della gestiolne dell’autogoverno (formazione, valutazione professionalità,
      organizzazione degli uffici);
    3. si richiamava il principio che la sovranità appartiene al popolo,
      e che la contrapposizione tra le istituzioni deve essere evitata;
      d) si invocava una linea di rigore della giurisprudenza disciplinare.

Il documento finale:
a) riferisce la riaffermazione della differenza tra critica e deligittimazione
(messe nel giusto ordine) alle "pronunce degli organi giudiziari di
ogni ordine e grado"; espressione inconsueta nei documenti di condanna
della deligittimazione dell’ordine giudiziario, e che non può che
riferirisi alla sentenza della cassazione che ha dato occasione al
documento (non si vede proprio per quale altra ragione il Consiglio
avrebbe dovuto occuparsi di questi temi);
b) si riafferma quello che sta scritto nell’art. 1 Cost. (che non
è una Costituzione populista) che la sovranità popolare si esercita
nelle forme e nei modi previsti dalla Costituzione e, quindi, nel
rispetto del principio della separazione dei poteri;
c) il potere giurisdizionale ha autonoma legittimazione nella Costituzione;

d) le riforme divisate debbono rispettare principi e valori costituzionali;

e) è abbandonata l’idea di dettare linee della giurisprudenza disciplinare;

f) si afferma che "non è pensabile che possano prendere corpo fenomeni
deprecabili di collateralismo politico (nella dichiarazione dei laici
della cdl, successiva al comunicato di Rognoni, si affermava che rientrava
nella critica corretta "sottolineare come si riscontrino e appaiono
aree di politicizzazione nel corpo magistratuale".

M.G. Civinini, L. Marini, F. Menditto, G. Salmè, G. Salvi

2. Intervento di Giuseppe Salmè

Sui temi centrali toccati dal documento sottoposto al nostro esame
il Consiglio ha pi volte avuto modo di esprimersi e da ultimo, in
modo articolato, con la risoluzione del 1 dicembre 1994. Anche in
quell’occasione venne sottolineato che, fermo il reciproco rispetto
del principio di divisione dei poteri, "E’ del tutto fisiologico -
come dimostra la storia della democrazia - che, nella difesa della
propria indipendenza e della propria autonomia la magistratura quale
istituzione di garanzia, possa venire a trovarsi in momenti di rapporto
dialettico o addirittura conflittuale con altri poteri: è questo un
portato naturale del sistema dei "pesi e contrappesi" che caratterizza
una moderna democrazia pluralista". Peraltro dal Consiglio ci si aspetta
non un coinvolgimento nella contrapposizione tra gli schieramenti
politici presenti nel Paese, ma "un contributo di razionalità e di
equilibrio al dibattito sui temi generali e particolari della giustizia".
Ed è proprio questo contributo intendiamo offrire anche in questa
occasione. Dobbiamo allora innanzi tutto ribadire, e infatti il documento
lo riafferma, la distinzione tra libertà di critica dei provvedimenti
giudiziari, sempre lecita e anzi auspicabile, e attacchi denigratori
nei confronti di singoli magistrati o delegittimanti dell’intero ordine
giudiziario, rispetto ai quali il Consiglio ha il dovere istituzionale
di intervenire a tutela della credibilità della giurisdizione. E questo
vale nei confronti di tutti i provvedimenti emessi da qualsiasi giudice,
di qualsiasi ordine e grado, a cominciare dalla Cassazione. E giurisdizione
è anche quella disciplinare, che la Costituzione ha affidato all’organo
di governo autonomo, presieduto dal Capo dello Stato, garante dell’equilibrio
tra i poteri, e del quale fanno parte componenti eletti dal Parlamento.

Anche rispetto alle pronunce della sezione disciplinare è legittimo
il pi ampio esercizio del diritto di critica, ma non il trasmodare
in prese di posizione idonee a delegittimare l’intera sua attività,
come è avvenuto quando in modo del tutto generico e offensivo è stata
indicata come il luogo in cui la magistratura si autoassolve. Il documento
dice anche che, a tutela dell’imparzialità, non è pensabile che possano
prendere corpo deprecabili fenomeni di collateralismo politico. Il
documento non parla, giustamente, del concetto ambiguo e generico
di politicizzazione. Se così avesse fatto non lo avremmo sottoscritto
proprio perch quando si ha a che fare con principi fondamentali ed
essenziali, come quelli dell’autonomia e dell’indipendenza, non è
consentita alcuna ambiguità. Ebbene, la denuncia del collateralismo
con centri di potere politico (specialmente se occulti) e del diretto
coinvolgimento dei magistrati nell’attività dei partiti, di governo
o di opposizione, appartiene al patrimonio culturale del gruppo associativo
di cui mi onoro di far parte.

Da Marco Ramat, - uno dei padri di Md, e anche componente di questo
Consiglio, che già nel 1964, in occasione della prima campagna elettorale,
sottolineava la "fondamentale distinzione tra la grande politica della
Costituzione, dove la magistratura deve impegnarsi, e la politica
di partito, contingente, da cui la magistratura deve estraniarsi."
-, a Nello Rossi - (Democrazia maggioritaria e giurisdizione, Questione
giustizia, 1992, 524), che, già oltre dieci anni fa, affermava di
considerare ancora pi importante che in passato, con riferimento
a un contesto di democrazia maggioritaria, la presenza e la partecipazione
dei magistrati alla vita sociale e politica del paese e invece assai
meno opportuna l’iscrizione ad un partito in competizione per la conquista
della maggioranza - agli innumerevoli documenti pubblici del gruppo
sui rapporti tra imparzialità ("come estraneità personale ai singoli
interessi in gioco, onestà obiettività della decisione, capacità di
non lasciarsi fuorviare da indicazioni emotive o da indebite pressioni
esterne", Accattatis, Ferrajoli, Senese, 1971) e impegno culturale
nella società civile e nell’associazionismo giudiziario, sulla distinzione
tra "politica delle idee" e politica come gestione del potere, tra
"neutralità processuale e neutralità culturale" (Borrè, 1983).

Del documento voglio anche sottolineare altri due punti. Il vicepresidente,
intervenendo tempestivamente sulle polemiche sorte a seguito della
sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, ha espresso
pacate e puntuali considerazioni. Con questo documento il Consiglio,
nella sua collegialità, ha inteso condividerle e ribadirle. E ciò
fa in modo unanime, quindi con piena assunzione della responsabilità
istituzionale che ci compete, superando, come ha messo in evidenza
il cons. Berlinguer, la lacerazione che si era prodotta all’inizio
della consiliatura in occasione del parere sulla legge Cirami. . Mi
auguro che tale unanimità e gli argomenti esposti contribuiscano davvero,
come è nostro intendimento, ad abbassare i toni, e, soprattutto, ad
ottenere che vengano mantenuti ai livelli propri di una corretta dialettica
istituzionale.

Giuseppe Salmè’

3. Comunicato finale

La risoluzione approvata all’unanimità dal Consiglio, ribadendo quanto
aveva già affermato il vicepresidente, on. Rognoni, ha riaffermato
l’ inaccettabilità degli attacchi alla sentenza delle sezioni unite
della Cassazione, in quanto idonei a determinare la delegittimazione
di questo organo giudiziario e, conseguentemente, per la posizione
che la cassazione ha nell’ordinamento giudiziario, dell’intera magistratura.
E’ stata anche respinto il generico attacco alla giurisdizione disciplinare,
di cui è stato difeso il ruolo di garanzia per il singolo magistrato,
per l’ordine giudiziario e per l’intera collettività. Ma ciò che è
pi importante che tutto questo, lo ripetiamo, è stato detto con voto
unanime, pur rimanendo diverse le sensibilità e gli orientamenti ideali
e culturali dei componenti. E’ stata una matura prova di responsabilità
istituzionale, nella difesa dei valori dell’indipendenza e dell’autonomia
della magistratura, e la necessaria premessa per un lavoro proficuo.

06 02 2003
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