VII. Ministero andata e ritorno


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1. Il ritorno alla giurisdizione come "epurazione"

La presenza dei magistrati al Ministero della Giustizia ha registrato, nell'ultimo anno, un intenso turn over. Da un lato, infatti, molti sono ritornati a svolgere funzioni giurisdizionali; dall'altro, invece, molti - pi di 30 - sono stati chiamati a far parte dei diversi comparti del Ministero a partire dalla funzione di capo di gabinetto (dott. Nebbioso) e di vice capo di gabinetto (dott. Papa).
Entrambi questi aspetti sono stati caratterizzati da momenti dialettici anche molto accesi a causa di un non nascosto intento di "normalizzazione" della presenza e del ruolo dei magistrati all'interno del Ministero. Molti magistrati sono ritornati a svolgere funzioni giurisdizionali su loro istanza, ritenendo, per i vari motivi (e non ultimo il rispetto delle circolari del Csm che prevedono, salvo che per le posizioni apicali, come limite massimo alla permanenza continuativa fuori ruolo un periodo di cinque anni), che l'esperienza fosse esaurita.
Su ciò, peraltro, si venne ad inserire la messa a disposizione da parte del Ministero di ben 5 (su un totale di 9) componenti dell'ufficio legislativo. La decisione del ministro, in s senza precedenti di simile entità, aveva generato gravissime preoccupazioni in capo ai componenti
di Md del Consiglio perch, da un lato, anche alla luce delle notizie emerse sulla stampa, l'atto appariva ritorsivo rispetto ad asserite fughe di notizie, rispetto alle quali, peraltro, non sarebbe stato identificato alcun responsabile, mentre, per altro verso, veniva prospettato che la ragione del dissenso da parte del ministro riguardasse il contenuto di un parere da loro redatto (relativo alla normativa sulle rogatorie).
In entrambi i casi l'azione del ministro finiva per attentare all'autonomia scientifica e culturale propria dell'ufficio legislativo e della stessa professione di magistrato, con un modus procedendi assimilabile ad una logica di decimazione.
E' evidente, infatti, che una cosa è non tenere conto delle opinioni dei componenti dell'ufficio legislativo, altro, invece, è obbligare a conclusioni od incidere sulla libertà di elaborazione. La dicotomia emergente, poi, vedeva una contrapposizione sempre pi marcata del ruolo del magistrato al Ministero, il quale - come evidenziava Nello Rossi ad un pubblico incontro - rischiava di smarrire il suo ruolo di servitore dello Stato per diventare un mero funzionario del Governo.
E' anche significativo, per ulteriormente apprezzare le modalità della decisione del ministro, che dei cinque magistrati messi a disposizione due avessero già, da tempo, chiesto autonomamente il ritorno alle funzioni giurisdizionali (dott. Patrone, dott.ssa Stefanelli) e che gli altri componenti dell'ufficio legislativo abbiano chiesto, per solidarietà con i colleghi estromessi, a loro
volta il ritorno in ruolo.
Se nulla poteva essere esplicitamente detto dal Consiglio in relazione alla scelta, discrezionale, del ministro di non avvalersi pi della collaborazione di alcuni magistrati, la vicenda costituì un importante momento di riflessione per le successive determinazioni, queste sì proprie del Consiglio, in merito alle richieste di nuova destinazione di 22 magistrati al Ministero.

2. Le nuove destinazioni al Ministero

Il Consiglio Superiore adottava, pertanto, in data 15 novembre 2001 una delibera per la destinazione "fuori ruolo" al Ministero di un certo numero di magistrati, nella quale si precisava che mentre "spetta al ministro un potere di iniziativa in ordine alla richiesta di magistrati da destinare al Ministero", la "richiesta del ministro non è vincolante per il Consiglio superiore della magistratura il quale, nell'adottare le proprie deliberazioni, deve tener conto delle specifiche esigenze dell'amministrazione giudiziaria". La verifica delle "gravi esigenze di servizio" ex art.15 legge 195/1958 che possono essere ostative all'accoglimento della richiesta - nonch, per i magistrati destinati agli uffici di diretta collaborazione con il ministro, la facoltà di valutare in modo pi ampio l'esistenza di "motivate ragioni ostative" all'accoglimento della richiesta di collocamento fuori ruolo o in aspettativa - deve intendersi estesa all'insieme delle esigenze dell'amministrazione della giustizia quali ricavabili dalla lettura complessiva del dettato costituzionale e comunque ancorata a concreti criteri oggettivi. In ogni caso, la richiesta del ministro e la delibera del Consiglio Superiore debbono ispirarsi al perseguimento del pubblico interesse e correlarsi, in particolare, alla cornice costituzionale degli artt. 105 e 110, ed è pertanto necessario che il relativo esercizio si esplichi nella logica della leale collaborazione, quale presupposto del corretto esercizio delle rispettive attribuzioni istituzionali e condizione necessaria per garantire il buon funzionamento della amministrazione della giustizia.
Veniva anche evidenziato che "in tale contesto e nell'ottica di una leale collaborazione potrebbe anche essere opportuno uno scambio di informazioni finalizzato alla concreta realizzazione degli obiettivi di efficienza"; che spetta al ministro l'individuazione dei magistrati di cui intenda avvalersi nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali e al Consiglio deliberare sulla richiesta del ministro e fornire altresì informazioni utili per le scelte ad esso riservate, laddove risultino necessarie. La destinazione di magistrati presso ministeri o altri enti deve tener conto del fatto che il loro apporto ad attività di tipo amministrativo non ha carattere "servente", ma rappresenta il contributo che qualificate professionalità, maturate nella sfera della giurisdizione, possono fornire in altri ambiti pubblici. La collocazione istituzionale dei magistrati - anche quando adibiti a funzioni diverse da quelle giurisdizionali - infatti deve restare pur sempre agganciata alla garanzia costituzionale della autonomia, riferita dal costituente (art. 104 della Costituzione) all'ordine, e cioè all'intera magistratura nelle sue varie articolazioni organizzatorie, e alla complessa distribuzione dei magistrati secondo le norme dell'ordinamento giudiziario.
Con la conseguenza che il magistrato destinato ad incarichi amministrativi, pur godendo di una indipendenza diversa da quella che l'ordinamento riconosce a tutela dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, non può vedere sminuita o compromessa la sua autonomia professionale in quanto ciò comporterebbe la lesione del suo status di magistrato e della credibilità dell'ordine giudiziario.
La delibera è stata approvata a grande maggioranza dal plenum (24 voti a favore, 3 contrari, 3 astensioni) e questo risultato si deve grazie al decisivo apporto di Gianfranco Gilardi, componente della III Commissione, che ha pure consentito di rintuzzare interpretazioni (Caferra) ingiustificatamente restrittive dei principi enunciati nella delibera per le quali si volevano porre in rilievo solo le "gravi esigenze di servizio", e non anche le "motivate ragioni ostative", e si voleva concludere che, comunque, l'ultima parola sul magistrato da assegnare al Ministero spettasse al ministro, restando in capo Consiglio solo una potestà di informativa preventiva sui motivi che, in ipotesi, potessero rendere inopportuna la scelta del singolo magistrato.
In concreto le perplessità del Consiglio sono emerse con riguardo alle posizioni del dott. Amato (la cui messa fuori ruolo incontrava i limiti temporali stabiliti dalla normativa consiliare), nonch del dott. Tardino, le cui vicende personali condizionavano una valutazione positiva. In entrambi i casi la scelta della Commissione di non accogliere la richiesta del ministro ha incontrato la rinunzia del ministro stesso di insistere ad avvalersi della collaborazione di tali magistrati.

06 03 2003
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