Intervento di Elena Riva Crugnola


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di Elena Riva Crugnola

Intervengo a questo congresso per riportare a una più ampia discussione temi che mi stanno a cuore e sui quali ho riflettuto a lungo sia in confronti “amicali” sia in varie sedi dell’anm e di md.

Non a caso faccio cenno a confronti amicali e a varie sedi, non necessariamente di md: non sento l’appartenenza ad md come una questione identitaria e, anzi, dissento –per storia personale e per carattere- da una visione del nostro gruppo che solo ad esso, all’interno della giurisdizione, riconosca valore. Md è per me un mezzo attraverso il quale far avanzare nella giurisdizione i principi costituzionali di uguaglianza, di dignità e libertà della persona umana, in nome dei quali molti anni fa ho scelto di esercitare questa funzione e la cui concreta attuazione, sul piano giurisdizionale, ho ben presto compreso avere come precondizione un funzionamento “ragionevole” dell’apparato giudiziario.

Partendo da questa prospettiva e da questi obiettivi, non mi interessa tanto analizzare in astratto la distinzione tra le c.d. due anime di md (che in realtà mi sembrano rappresentare due facce della stessa medaglia), ma chiedermi e chiedervi se il nostro gruppo sia negli ultimi anni riuscito, oltre che a riflettere, a mio parere efficacemente, sul tema di fondo dell’attuazione dei diritti e del ruolo della giurisdizione in tale attuazione, anche a concretamente individuare ed assumere posizioni -in termini di autogoverno, di partecipazione alla anm, di interlocuzione con altre entità istituzionali e sociali- utili a determinare un effettivo miglioramento delle condizioni di funzionamento del “sistema giustizia”.

Personalmente sono convinta che la risposta a questa domanda sia positiva per quanto riguarda:

  • il ruolo di “traino” di md all’interno dell’anm nella lunga e difficile stagione di contrasto alla contro-riforma dell’ordinamento giudiziario;

  • il ruolo ancora propulsivo di md nello sviluppo del movimento degli Osservatori, variegate realtà di confronto del punto di vista delle varie identità professionali coinvolte nel processo;

  • il contributo determinante di md alla realizzazione, in via di autogoverno, di una rete di formazione coinvolgente un gran numero di magistrati a livello centrale, funzionante a livello decentrato in tutti i distretti e da ultimo in significativa connessione con un più ampio contesto europeo.

Sono anche convinta che questa risposta positiva dipenda in gran parte dalla capacità che md ha avuto, in queste aree, di procedere per obiettivi, favorendo -attraverso il metodo dell’ascolto di più punti di vista e, quindi, del dialogo con gli altri gruppi della magistratura associata così come con altre realtà professionali- l’emersione di interessi comuni e di finalità e metodi condivisi così come lo sviluppo di “talenti” a sé esterni ma non per questo meno preziosi.

La risposta è invece a mio parere negativa quanto al funzionamento “ordinario” dell’autogoverno (in tutti i suoi termini: scelta di direttivi e semidirettivi; distribuzione tabellare delle risorse di organico; valutazioni di professionalità) e quanto alla formulazione di richieste “propositive” per una effettiva moderna organizzazione degli uffici giudiziari.

Si tratta di due settori nei quali, parlando molto francamente, a fronte di intere biblioteche di circolari, studi e dibattiti, per larga parte alimentati anche da md, corrispondono in concreto:

  • criteri di selezione/distribuzione/vigilanza del personale di magistratura,

  • risorse di staff,

  • strumenti di analisi/monitoraggio dei flussi di affari in entrata e del “prodotto” in uscita,

la cui inadeguatezza è così evidente agli occhi di tutti, e in particolare di tutti i magistrati, da non richiedere qui alcuna illustrazione (per inciso: sono fortemente convinta che proprio questa inadeguatezza sia uno dei motivi più rilevanti del calo di consensi di md, percepita come produttrice di teorizzazioni ma incapace di incidere sulla disastrosa realtà organizzativa degli uffici giudiziari).

Do questa risposta negativa a malincuore e non certo per svalutare energie e intelligenze da molti di noi generosamente profuse in questo settore: anch’io ho dato in qualche occasione il mio piccolissimo contributo alle “biblioteche” di cui ho parlato prima, convinta della loro necessità e, come dire, del sol dell’avvenire rappresentato in questo caso dal “circuito virtuoso dell’autogoverno”.

Ma, appunto, il sole non è mai sorto e dopo tutti questi anni forse possiamo dirci che le nostre elaborazioni, per quanto articolate e seducenti sulla carta, immerse “nel brodo della corporazione” non hanno portato a risultati complessivamente apprezzabili e che, dunque, probabilmente è il caso di abbandonare gli scenari consolatori che abbiamo immaginato e teorizzato ma nei quali non abbiamo in realtà mai abitato, e di sperimentare soluzioni diverse, nella cui elaborazione e attuazione siano coinvolti, trasversalmente, tutti i magistrati interessati a uno svolgimento non meramente burocratico della loro funzione.

Naturalmente in questo intervento non posso che esemplificare alcuni temi.

Così per estrema sintesi propongo un disegno nel quale:

  1. la prima richiesta da rivolgere al Ministro e al CSM sia quella di una indifferibile individuazione congiunta, per ogni funzione, dei dati statistici rilevanti già reperibili nei sistemi informatici in uso e da utilizzarsi ai vari fini organizzativi (monitoraggio dei flussi di affari in entrata e del “prodotto” in uscita, valutazione del magistrato e via dicendo);

  2. ulteriore indifferibile richiesta al ministro sia quella di una effettiva concretizzazione del c.d. Ufficio per il processo (sulla rilevanza e sulla articolazione del quale rinvio ai lavori seminariali di sabato mattina);

  3. ciascuna sezione (o ufficio giudiziario non diviso in sezioni) all’inizio di ogni anno determini, sulla scorta dei flussi degli affari prevedibili e delle risorse di staff disponibili, il proprio “progetto organizzativo” quanto ad udienze e a previsioni di carico di lavoro, anche in termini di durata media delle varie tipologie di processi;

  4. la distribuzione dei magistrati e degli affari all’interno di ogni ufficio giudiziario avvenga in base ad un analogo “progetto organizzativo” biennale con verifica intermedia;

  5. la responsabilità organizzativa di ogni sezione sia affidata, in via di rotazione o di altri meccanismi di selezione su base “interna”, non a una figura “semidirettiva” ma a membri della stessa sezione che assumano così il ruolo di esponenti di un “gruppo di lavoro” e non più quello di “capi” di una articolazione burocratica (richiamo qui le analoghe considerazioni del documento allegato al contributo precongressuale della sezione toscana);

  6. l’autogoverno anziché accentrato nel CSM sia decentrato presso i Consigli Giudiziari, quantomeno in prima battuta, per tutte le competenze “tabellari” e per quelle relative alla nomina dei “responsabili di sezione”;

  7. la procedura concorsuale relativa agli uffici direttivi preveda la presentazione da parte di ciascun candidato di un “progetto organizzativo” specifico per l’ufficio in discussione, la cui valutazione rappresenti un parametro determinante nella scelta tra i candidati.

Sui primi due punti mi sembra che si sia formato in questi ultimi tempi un consenso generalizzato sia all’interno di md che negli altri gruppi associativi: mi sembra quindi indispensabile che md ne faccia uno dei nodi centrali della sua azione “politica”, in tutte le sedi utili.

Quanto agli altri punti, si tratta di uno schema solo accennato e che ha trovato, nei luoghi dove si è provato finora a discuterne, vari consensi, soprattutto da parte di magistrati “di base”, e radicate opposizioni da parte di altri, in particolare per quanto riguarda il punto 5: ma le ragioni contrarie (per lo più incentrate sulla previsione del peggior scenario ipotizzabile, quello di una sezione composta da magistrati poco diligenti che scelgano un “responsabile” con loro “connivente”, ovvero sul rischio di dispersione di competenze, che sarebbe insito nella rotazione interna) non mi sembrano determinanti rispetto ai vantaggi della soluzione proposta, in termini di coinvolgimento di tutti i magistrati in responsabilità organizzative (finora, salvo felici eccezioni, di norma eluse dai semidirettivi nel sistema vigente) e in termini di fuoriuscita dalla logica “per cordate”.

Logica questa che è stata l’oggetto principale delle nostre critiche in tutti questi anni, ma che qualsiasi magistrato interpelliate sul punto in una sede informale vi indicherà come il principale (se non esclusivo) criterio di individuazione dei dirigenti fin qui vigente e che non penso possa essere contrastata, come ipotizzato da alcuni, con la abolizione del criterio dell’anzianità (abolizione che, anzi, potrebbe dar luogo ad una esaltazione dell’aspetto “arbitrario” della scelta, non più perimetrata da alcun termine di riferimento oggettivo).

Chiedo quindi a tutta md, se vogliamo veramente “progettare la giustizia” per “garantire i diritti”, di riflettere su queste proposte e di svilupparne altre sul tema, anche in sedi più ampie, comunque sempre nella prospettiva di una effettiva trasversalità tra gruppi associativi e della ricerca del contributo di altri saperi: nella convinzione che potremo arrivare a qualche risultato solo se sapremo vedere -della realtà degli uffici giudiziari- non il solo segmento che è davanti ai nostri occhi ma anche quello che altri punti di vista possono illuminare per noi.

 

Elena Riva Crugnola

 

14 02 2007
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