Il ritornello della separazione delle carriere - di Nello Rossi


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IL RITORNELLO DELLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE

Da "Il riformista" del 27.2.2008

"Le stesse cose ritornano". Così, a significare la sfibrante circolarità della esperienza umana, Robert Musil intitolava un capitolo del suo capolavoro , L'uomo senza qualità. Anche nella nostra giustizia "senza qualità" l'estenuante girotondo intorno agli stessi temi si ripete all'infinito, mettendo a nudo la sterilità e l'impotenza della politica a porre seriamente mano alla questione giustizia. E la proposta di separare le carriere di giudici e pubblici ministeri è forse il simbolo estremo di questa tendenza all'eterno ritorno.

Oggi i cittadini italiani sono tormentati  e danneggiati dalla esasperante lentezza dei processi civili e  penali, che non accenna a diminuire nonostante il notevole incremento della produttività dei magistrati di cui ha dato pienamente atto il libro verde sulla spesa pubblica.

Le forze politiche che si candidano alla guida del paese dovrebbero perciò concentrare l'attenzione su misure capaci di semplificare ed accelerare il processo penale e di sfrondare la giungla di riti dell'attuale processo civile. E dovrebbero puntare su di una più razionale distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio, sull'innovazione organizzativa, sulle tecnologie informatiche , sulla riqualificazione.del personale amministrativo e sulla copertura degli organici di cancellerie e di segreterie che,  per effetto dell'annoso blocco del turn-over,  sono ormai ridotti al lumicino.

In altri termini servirebbe una "politica della ragionevole durata del processo". Invece ci si ritorna a dividere sul tema tutto "ideologico" della  separazione delle carriere, nonostante che l'ordinamento giudiziario vigente abbia ormai introdotto regole severissime sui passaggi di funzioni, imponendo che essi siano di regola accompagnati dal trasferimento del magistrato in un'altra regione.  

Comunque , a quanti continuano a ritenere che la separazione delle carriere abbia un rilievo cruciale per le sorti della giustizia italiana, si deve almeno chiedere un confronto sui dati e sui fatti, senza proclami e vuote astrazioni. 

In quest'ottica è assai difficile sostenere che la separazione delle carriere produrrebbe giudici e pubblici ministeri più preparati. Nel giudiziario svolgere ruoli diversi è  una esperienza straordinariamente positiva e formativa. Ed in altri paesi - specialmente in quelli di cultura anglosassone - la pluralità dei ruoli svolti è ritenuta un fatto estremamente positivo. L'argomento "professionale" è dunque sicuramente  il più debole e fallace tra quelli invocati a favore della separazione delle carriere.

Né il definitivo distacco tra magistrati requirenti e giudicanti garantirebbe meglio la parità tra l'accusa e la difesa. L'idea che un pubblico ministero "collega" del giudice fruisca di un pregiudizio favorevole e sia avvantaggiato rispetto al difensore è quotidianamente smentita dalla  realtà ed in particolare dall'elevato numero di assoluzioni,  che certo non è inferiore a quello di altri paesi in cui le carriere dei giudici e dei rappresentanti della pubblica accusa sono separate.

Stiamo ai fatti: il giudice opera sotto lo sguardo dei diversi attori del processo; ha una sua giurisprudenza cui ha il dovere di essere coerente; sa che normalmente il suo provvedimento sarà sottoposto al controllo di un giudice superiore e potrà essere criticato dai destinatari e dagli studiosi. Come si può pensare che su tutto questo possa prevalere, all'atto della decisione,  la generica colleganza o anche l'amicizia con il pubblico ministero? E se si adotta questa logica, perché non si dovrebbero  guardare con sospetto anche tutte le frequentazioni tra magistrati ed avvocati o i rapporti di colleganza tra i giudici di diverso grado? 

In realtà la vera posta in gioco nella lunga querelle sulla separazione delle carriere non è la "professionalità" dei magistrati o l'equilibrio tra le parti del processo. E' piuttosto l'indipendenza del pubblico ministero, che resta saldamente garantita sino a che egli è collocato, sia pure con un ruolo distinto, nella sfera della giurisdizione ed è messa a repentaglio se da questa sfera lo si separa.

Più che un traguardo, la separazione delle carriere sembra la tappa intermedia di una lunga marcia destinata a concludersi con la trasformazione del pubblico ministero in "avvocato della polizia". Un "avvocato" destinato a mettere  le sue competenze tecniche al servizio di una accusa preconfezionata in uffici di polizia operanti alle dipendenze dell'esecutivo. Sarebbe una soluzione gradita a larga parte del mondo politico; ed infatti l'on. Berlusconi non ha mai fatto mistero di perseguirla. Ma sarebbe anche la soluzione migliore per il semplice cittadino? Credo proprio di no.

Nello Rossi

01 03 2008
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