documento 4 giugno 2007


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MAGISTRATURA DEMOCRATICA

CATANZARO

 

Catanzaro, 4.6.2007.

 

Il disagio che attraversa la magistratura calabrese è un disagio che, in realtà, è condiviso dall'intera comunità regionale, anche se certamente non possiamo illuderci che il punto di vista dei cittadini sulle questioni di giustizia collimi con il nostro. Né, con ogni probabilità, i punti di vista degli uni e degli altri collimeranno con quelli dei politici e della classe dirigente regionale. Un cosa ci pare certa, la magistratura calabrese sta attraversando un momento di delegittimazione che probabilmente non ha mai attraversato prima. Al quale bisogna avere la forza di reagire.

Molto non dipende da noi.

Carenze strutturali, di uomini e mezzi; inadeguatezza della normativa sostanziale e farraginosità di quella processuale; diffusi episodi di malcostume e bassa professionalità fra gli altri "protagonisti" del processo (difensori, personale amministrativo, consulenti), per citare alcuni dei problemi "interni" ai palazzi di giustizia.

Livelli di illegalità diffusa nella gestione della cosa pubblica da guinnes dei primati; una classe politica per la quale una sentenza di condanna passata in giudicato, anche per gravi reati, è oramai quasi un riconoscimento al valore; giornalisti che, nell'assicurare copertura mediatica e tutela alla cordata politica di riferimento, non perdono occasione per dispensare descrizioni fasulle e raggelanti di una magistratura calabrese dolosamente dedita, in maniera organizzata, alla persecuzione dei nemici politici ed alla "selezione" della classe dirigente gradita e via enumerando. Per citare i problemi "esterni" ai Tribunali.

Non potremo, però, mai risollevarci da questa situazione di generalizzato discredito se non avremo la forza di denunciare e combattere quel che invece da noi dipende.

Non avranno mai alcuna autorevolezza le nostre denunce contro le aggressioni esterne o i nostri attestati di solidarietà a questo o quel collega se non sapremo, allo stesso modo e con lo stesso vigore, denunciare disfunzioni, inadeguatezze, omissioni, inadempienze, violazioni di disposizioni organizzative, deontologiche o, addirittura penali che dovessimo riscontrare all'interno dei nostri uffici.

Viviamo e lavoriamo in un distretto in cui un presidente di sezione è stato di recente tratto in arresto per mafia, a Vibo; negli anni passati un giudice è stato condannato per gravi reati e destituito dalla magistratura, a Rossano; nella locale Procura distrettuale (organismo di punta nel contrasto alla criminalità organizzata), negli ultimi dieci anni ben tre sostituti sono stati raggiunti da sanzioni disciplinari, uno dei quali anche da condanna penale. Ancora, colleghi diffamano altri colleghi in audizioni ad ispettori ministeriali talmente anomale da concludersi, nel contempo, senza la formulazione di alcun rilievo, ma con la pronuncia di un inappellabile giudizio contro gli uffici di Catanzaro, gratificati dell'appellativo di "verminaio"; giudici ritengono di esporre le ragioni di propri provvedimenti, relativi a processi penali ancora in corso, con interventi a mezzo stampa e via enumerando.

La sezione di MD ci Catanzaro sta cercando da anni, con fatica ed in perfetta solitudine, di contrastare, sia all'esterno che all'interno, quest'alluvionale degrado.   

Riteniamo, però, che reagire sia compito di tutti i colleghi che fanno con abnegazione, passione e competenza questo difficile mestiere in una terra di frontiera e che si sia credibili, quando si critica l'operato del CSM, solo se si da dimostrazione di praticare dal basso l'autogoverno, reagendo ad ogni evento o ad ogni prassi che meriti reazione.

Per questo riteniamo che sia giunto il momento di essere noi per primi a segnalare i casi più eclatanti di pessimo funzionamento della macchina giudiziaria, affinché sia assicurata la trasparenza che è dovuta a tutti i cittadini e chi di competenza sia messo in condizioni di non poter più dire "non sapevo".

 

Abbruzzese Francesco nato a Cosenza l'8/6/1970 alias Dentuzzo è stato condannato dalla Corte di Assise di Cosenza, nel luglio del 2005, all'ergastolo, omicidio e per violazione della legge armi. Il processo di primo grado è durato circa tredici mesi.

Subito dopo la sentenza di cui sopra, l'Abbruzzese è stato tradotto  presso la Casa Circondariale di Novara in regime di 41 bis O.P. 

Il processo in Corte di Assise d'Appello è iniziato  nel giugno del 2006 ed è attualmente ancora in corso di trattazione.

Francesco Abruzzese è stato scarcerato con ordinanza della Corte di Assise d'Appello di Catanzaro del 4 maggio del 2007, che ha dichiarato l'inefficacia dell'ordinanza custodiale emessa nei suoi confronti per scadenza dei termini di durata massima c.d. di fase.

 

A prescindere da qualsiasi valutazione sul merito del procedimento, non si può non segnalare, come episodio estremamente grave, l'intervenuta scarcerazione, per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare di fase, di una persona condannata all'ergastolo per omicidio e ben nota alle forze dell'ordine -addirittura assoggettata al regime carcerario del 41 bis a testimonianza della sua pericolosità- a cagione del protrarsi del giudizio d'appello per oltre un anno (ed a quasi due anni dalla sentenza di primo grado), giudizio d'appello che, per definizione, non prevede la ripetizione delle attività istruttorie, se non in casi eccezionali ed entro rigorosi limiti.

Non sappiamo se ciò sia dovuto a gravi ed imprevisti ostacoli procedurali ovvero a gravissime carenze organiche o ad onerosissimi carichi di lavoro, però riteniamo che una vicenda del genere, in terra di ‘ndrangheta, non possa passare inosservata e sotto silenzio.

 

Il segretario

Emilio Sirianni.

 

 

 

 

22 09 2007
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