- Riforma del processo del lavoro -
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori SALVI, TREU, ROILO, ADRAGNA, BOBBA, DI SIENA, LIVI BACCI, MERCATALI, MONGIELLO, CASSON, D'AMBROSIO, MAGISTRELLI, MANZIONE e RUBINATO
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 28 SETTEMBRE 2006
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Riforma del processo del lavoro
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Onorevoli Senatori. - Il presente disegno di legge affronta e propone una riforma del processo del lavoro con l'intenzione di garantire celerità e certezza alla soluzione delle controversie che riguardano i licenziamenti e i trasferimenti, e con l'obiettivo altresì di risolvere questioni che riguardano il processo previdenziale, in particolare con riferimento agli accertamenti sanitari connessi a controversie previdenziali e alle controversie in serie. Inoltre, si predispone una riforma complessiva delle tecniche normative di composizione e di soluzione delle controversie individuali di lavoro, intervenendo sulla conciliazione, sull'arbitrato, sulla formazione di conciliatori e di arbitri, nonché sulle risorse finanziarie.
Il disegno di legge adotta una prospettiva di continuità evolutiva rispetto alla legge 20 maggio 1970, n. 300, recante lo Statuto dei lavoratori, e alla legge 11 agosto 1973, n. 533, in materia di riforma del processo del lavoro.
L'articolato si ispira e recepisce larga parte dell'analisi e delle proposte già formulate, durante la XIII Legislatura, dalla Commissione per lo studio e la revisione della normativa processuale del lavoro, presieduta da Raffaele Foglia, costituita con decreto del Ministro della giustizia del 24 luglio 2000. Per altro verso, il testo trae riferimenti, a livello comunitario, alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, che ha reso più visibile il valore fondamentale della tutela contro ogni licenziamento ingiustificato (articolo 30).
Al pari degli altri settori della giustizia, per i quali importanti modifiche sono state recentemente introdotte, il contenzioso del lavoro attraversa, non da poco, una crisi determinata essenzialmente dal progressivo allungamento dei tempi di definizione dei processi, crisi ancor più evidente per la peculiarità del rito introdotto dal legislatore del 1973, informato a princìpi di oralità e celerità che oggi stentano a trovare effettività.
L'urgenza del recupero di funzionalità del processo del lavoro suggerisce, pertanto, un intervento normativo con riferimento alle controversie che trattano i momenti più delicati e patologici del rapporto di lavoro. Il bilanciamento degli opposti interessi - del lavoratore alla conservazione del posto, del datore di lavoro all'organizzazione del lavoro - consiglia, nella specie, di ridisegnare la tutela reintegratoria contro il licenziamento ingiustificato nelle forme di un'azione tipica urgente a cognizione sommaria, sì da imprimere a siffatte azioni una durata ragionevole.
La riforma intende garantire celerità al giudizio, mediante una procedura d'urgenza, con la conseguenza di escludere queste controversie dalla procedura preventiva obbligatoria di conciliazione.
Non si intende peraltro escludere totalmente queste controversie dalla conciliazione e dall'arbitrato, sia perché è da ritenere che anche le controversie per licenziamento possano utilmente trovare soluzione in sede conciliativa o arbitrale, sia perché non si può dimenticare che, pur restando nell'area dell'accesso volontario alla giustizia «alternativa», esiste già nell'ordinamento una procedura conciliativa ed arbitrale applicabile: quella prevista per le sanzioni disciplinari (articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300), che potrebbe essere migliorata e implementata.
Nel disegno di legge è, pertanto, collegata l'introduzione di una specifica procedura d'urgenza giudiziale e la promozione della procedura conciliativo-arbitrale prevista per le sanzioni disciplinari, con un collegio che opera presso la direzione provinciale del lavoro o con un collegio espressamente previsto dal contratto collettivo.
Per quanto riguarda il licenziamento disciplinare (per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo) è ormai indubitabile la sua qualificazione come sanzione rientrante nella tipologia prevista nell'articolo 7 dello Statuto dei lavoratori di cui alla citata legge n. 300 del 1970. Questo anche nel settore del lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, ad opera della contrattazione collettiva di comparto. Ciò vale anche sotto il profilo delle conseguenze in caso di mancato rispetto delle garanzie procedimentali poste all'articolo 7 dello Statuto dei lavoratori (illegittimità e non nullità; con conseguente applicazione della tutela reale o della tutela obbligatoria a seconda del campo di applicazione).
La scelta è quella di rafforzare il canale costituito dal ricorso al collegio di conciliazione ed arbitrato dell'articolo 7 dello Statuto dei lavoratori, escludendo però qualsiasi altra applicazione di procedure di conciliazione e/o di arbitrato (tranne quelle eventualmente introdotte dalla contrattazione collettiva):
sempre mantenendolo quale alternativa volontaria al ricorso alla giustizia ordinaria, chiarendo alcuni passaggi interpretativi,
introducendo o migliorando alcuni elementi a carattere promozionale.
Già nella formulazione attuale del citato articolo 7 dello Statuto dei lavoratori è rinvenibile il favore dell'ordinamento per la procedura conciliativo-arbitrale, collegandovi vantaggi quali: la perdita di efficacia del provvedimento disciplinare qualora il datore di lavoro non provveda a nominare il proprio rappresentante e, soprattutto, la sospensione della sanzione (sospensione cautelare in caso di licenziamento per giusta causa), con permanenza di questo effetto anche nel caso in cui il datore di lavoro opti per l'accertamento in via giudiziale. Si consideri che la specialità che già ora è riconosciuta alla disciplina procedimentale del citato articolo 7 consente di separare questa fattispecie dalla regolamentazione generale in materia di conciliazione ed arbitrato.
La procedura di conciliazione ed arbitrato, così come prevista dal citato articolo 7 con i correttivi in chiave promozionale sopra visti, viene affiancata da una speciale procedura d'urgenza, che si estende anche a risolvere alcuni nodi interpretativi in materia di risarcimento del danno e di ripetibilità o meno delle somme percepite dal lavoratore, escludendo l'obbligo di conciliazione preventiva.
In particolare, è prevista una procedura d'urgenza nelle vesti di un'azione sommaria, basata su un'ordinanza, reclamabile in appello, affiancata da una misura coercitiva forte che interviene in materia di risarcimento del danno. Passaggio decisivo è quello della irripetibilità delle somme, somme che corrispondono alla retribuzione versata nel periodo intercorso tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma dichiarativa della legittimità del licenziamento.
La tutela reintegratoria contro il licenziamento ingiustificato è ridisegnata nelle forme di un'azione tipica urgente a cognizione sommaria, sì da imprimere a siffatte azioni una durata ragionevole.
La procedura d'urgenza si applica sia nell'ambito della tutela reale sia in quello della tutela obbligatoria; sia ai datori di lavoro privati sia alle pubbliche amministrazioni. Contemporaneamente si chiarisce la questione del regime da applicare in caso di nullità del licenziamento, con riconduzione di tutte le ipotesi nell'ambito della tutela reale. Attualmente, infatti, si tende a ritenere che in alcune ipotesi di licenziamento nullo si applichino i princìpi civilistici ordinari e non, quindi, la tutela reale.
Un altro aspetto qualificante della riforma proposta è costituito dall'estensione della procedura d'urgenza anche al campo dei rapporti di collaborazione di cui all'articolo 409, primo comma, numero 3), del codice di procedura civile e al lavoro a progetto, di cui all'articolo 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, con riferimento ai casi di recesso del committente senza giusta causa ovvero secondo causali o con modalità (incluso il preavviso) diverse da quelle stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale.
La procedura d'urgenza è inoltre estesa all'accertamento della legittimità del termine apposto al contratto di lavoro, alle controversie in materia di trasferimenti, di cui all'articolo 2103 del codice civile, e alle controversie individuali in materia di trasferimento d'azienda o di suo ramo, di cui all'articolo 2112 del codice civile. Per queste ultime ipotesi (termine, trasferimento, licenziamento non disciplinare) è confermata l'esclusione dell'obbligo di qualsiasi procedura conciliativa, ma nel contempo senza accesso a quella prevista dal citato articolo 7.
Il termine per l'impugnazione, a pena di decadenza, è di centoventi giorni. Questo termine viene espressamente previsto anche in caso di nullità del licenziamento. La competenza è del tribunale e l'ordinanza diventa irrevocabile in mancanza di reclamo in appello. Successivamente si passa al giudizio di legittimità in Cassazione.
Elemento qualificante della disciplina proposta è la predisposizione di una misura coercitiva di carattere pecuniario che preveda il destino delle somme corrisposte o da corrispondere al lavoratore, ad esempio nel periodo che intercorre tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma.
Altro passaggio decisivo è la previsione che il giudice tratti con priorità tali cause. È evidente però che si deve contemporaneamente passare a individuare strumenti di deflazione del carico lavorativo dei giudici, completando la riforma con quella della conciliazione e dell'arbitrato.
Nel capo II è previsto un intervento destinato a risolvere alcune questioni che riguardano il processo previdenziale, in particolare con riferimento agli accertamenti sanitari e alle controversie in serie.
Nel capo III è predisposta una riforma complessiva delle tecniche normative di composizione e di soluzione delle controversie individuali di lavoro, intervenendo sulla conciliazione, sull'arbitrato, sulla formazione di conciliatori e di arbitri, nonché sulle risorse finanziarie.
Nel settore delle controversie di lavoro, conciliazione e arbitrato non hanno mai registrato quella diffusione ed adesione auspicabile fin dalla riforma introdotta dal legislatore del 1973, al fine di alleggerire il carico di lavoro dei magistrati addetti alla trattazione delle controversie di lavoro e, al contempo, di offrire, in un processo fortemente caratterizzato da una parte debole, strumenti efficaci e veloci di risoluzione delle controversie.
Siffatta aporia, seguita all'intervento riformatore del legislatore del 1973, diventava vera e propria diffidenza ove gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie si misuravano con il contenzioso del lavoro pubblico, nei confronti del quale resisteva, tenacemente, la convinzione di una sorta di incompatibilità tra controversie di competenza del giudice amministrativo e composizione negoziale come alternativa alla tutela giurisdizionale dei diritti del lavoratore. La riforma introdotta con i decreti legislativi 31 marzo 1998, n. 80, e 29 ottobre 1998, n. 387, preordinata, in primis, a deflazionare e semplificare l'enorme contenzioso del lavoro, regolamentando il circuito alternativo e parallelo a quello ordinario di giustizia, ha, invece, rilanciato gli istituti della conciliazione e dell'arbitrato, partendo proprio dal settore pubblico, aggiungendo alla conciliazione, relegata a strumento occasionale e marginale dal legislatore del 1973, il predicato dell'obbligatorietà.
L'esperienza sin qui maturata nel settore pubblico induce a pervenire ad un complessivo giudizio di favore verso lo strumento conciliativo, consolidatosi anche nel confronto con le esperienze comparatistiche, specie in ambito comunitario, in cui le alternative dispute resolutions (ADR) costituiscono un'esperienza molto diffusa nella giustizia civile. Può dunque affermarsi che:
un numero percentualmente irrisorio di domande si è riversato dalla sede precontenziosa alla sede giudiziale;
raramente l'ente pubblico diserta la seduta così consentendo un utile approfondimento dei termini della controversia;
l'eventuale esperimento negativo della conciliazione va di norma riconnesso alla peculiarità della questione sostanziale via via controversa e alla complessità delle problematiche organizzative e gestionali sottese alle questioni controverse.
Tali dati confortanti, unitamente ad un'oggettiva riflessione sull'insuccesso del modello vigente per il lavoro privato - per la scarsa impegnatività dello strumento, l'assoluta carenza di incentivi positivi e negativi per le parti in lite e per il ceto tecnico-forense - hanno indotto a introdurre nel disegno di legge un meccanismo che miri a fare della fase conciliativa una fase precontenziosa, a giudizio formalmente già iniziato.
Il meccanismo disegnato conserva l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione giacché esso tende a soddisfare l'interesse generale sotto un duplice profilo: evitando, da un lato, che l'aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell'apparato giudiziario, ostacolandone il funzionamento; favorendo, dall'altro, la composizione preventiva delle liti e assicurando alle posizioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile attraverso il processo (vedi la sentenza della Corte costituzionale n. 276 del 6 luglio 2000).
Sulla base delle prime esperienze applicative del nuovo articolo 412-bis del codice di rito e alla luce delle più recenti indicazioni della Corte costituzionale, è apparso opportuno esplicitare l'esclusione dell'obbligo di conciliazione, ratione materiae, per le controversie previdenziali (nelle quali gli spazi di disponibilità sono ristretti in considerazione del regime pubblicistico che le caratterizza), per i procedimenti sommari o d'urgenza (per i quali la tutela del diritto azionato è tanto più efficace quanto più è tempestivo l'intervento giudiziale), ivi comprese le controversie in materia di trasferimenti e licenziamenti che, secondo quanto previsto nel capo I, sono assoggettate ad una procedura sommaria tipica, per le cause relative ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni cosiddette privatizzate (per le considerazioni innanzi esposte).
Con riferimento agli arbitrati si propone di connotare l'istituto in guisa tale da filtrare, in termini selettivi, il ricorso alla giustizia del lavoro al fine di consentire, a quest'ultima, di intervenire nelle controversie di maggiore rango con la dovuta professionalità e tempestività, e da costituire una reale attrattiva per la celerità e stabilità del ricorso all'arbitrato.
Ma soprattutto si ritiene necessaria una formazione completa e specialistica della figura dell'arbitro (oltre che dei conciliatori), evitando di limitarsi a un semplice trasferimento di sede della soluzione della controversia. L'arbitro non può essere una figura analoga o derivata da quella del giudice e, in ogni caso, anche le figure professionalmente più complete sotto il profilo della conoscenza del dato giuridico vanno formate per i profili tipici che devono essere posseduti da un arbitro.
È, pertanto, previsto il superamento della riforma introdotta nel 1998, che non si è rivelata efficiente, essendosi spesso tradotta in un mero allungamento dei tempi del giudizio.
L'obiettivo è quello di mantenere ferme:
sia le esigenze di mantenimento di garanzie: vincolo del rispetto delle norme inderogabili di legge e di contratto collettivo, con conseguente impugnabilità del lodo;
sia quelle di celerità della soluzione.
La nuova proposta prevede l'inserimento della conciliazione all'interno del giudizio: la conciliazione è tentata dal giudice o dal conciliatore da questi appositamente designato tra quelli iscritti in apposito albo, una volta che la controversia sia conosciuta in tutti i suoi risvolti.
La conservazione della concorrente disciplina arbitrale, espressione dell'autonomia negoziale collettiva, è volta a favorire un sistema integrato dell'arbitrato nelle controversie di lavoro che si avvalga dell'apporto di importanti accordi già perfezionati, o in itinere, taluni con disposizioni peculiari, qual è la soluzione adottata, fra gli altri, dall'accordo che consente di pervenire, nella medesima sede, ad un'interpretazione autentica sull'efficacia e validità di una clausola del contratto collettivo nazionale, introducendo, così, un efficace strumento di prevenzione delle controversie seriali. Peraltro le divergenze che, nei vari accordi, emergono in ordine all'ambito di impugnabilità dei lodi vengono risolte, con l'articolato proposto, riconducendo ad unità il regime delle impugnazioni sicché anche per l'arbitrato previsto dalla contrattazione collettiva si applica il regime di impugnazione introdotto con la novella, id est l'impugnabilità, per qualsiasi vizio, davanti alla Corte d'appello.
In definitiva, si riconosce che, anche in ragione del quadro normativo vigente, l'avvio della funzione arbitrale necessiti tuttora di essere accompagnato dallo sviluppo di un'efficace funzione conciliativa che, se ben attuata, potrebbe produrre effetti deflattivi importanti in materia di contenzioso di lavoro. È noto infatti che attualmente la funzione, in ragione delle storiche carenze organizzative delle strutture pubbliche preposte al suo svolgimento, si riduce spesso ad un mero momento formale, nel corso del quale difficilmente le parti sono stimolate al raggiungimento di una conciliazione.
Per valorizzare questa funzione, si ritiene dunque necessaria la costituzione di una struttura composta da professionalità specifiche in grado di proporre alle parti convincenti soluzioni conciliative, basate sul probabile esito delle controversie e adeguate alle richieste delle stesse.
Allo stesso modo, si prevede che anche 1'avvio e la diffusione dell'attività arbitrale non possano prescindere dall'utilizzo di professionalità specifiche, in quanto la validità e la correttezza delle decisioni costituiscono momenti decisivi per conferire autorevolezza alla camera arbitrale e per ingenerare nei suoi confronti un clima di affidamento e fiducia.
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Passando più direttamente al dettaglio dell'articolato, nel capo I sono proposti:
1) aggiustamenti sostanziali funzionali ad un più spedito iter processuale;
2) modifiche di natura procedurale;
3) interventi di natura ordinamentale.
La disciplina proposta si applica a tutte le ipotesi di licenziamento, nell'ambito sia della tutela obbligatoria che reale, anche con riferimento alle ipotesi di previo accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto ovvero della legittimità del termine apposto al contratto. L'intervento normativo si estende, inoltre, con opportuni adattamenti, alle controversie in materia di trasferimenti di cui agli articoli 2103 e 2112 del codice civile. L'intervento normativo si estende, altresì, al recesso del committente nei contratti a progetto.
Sono stati inclusi nel campo di applicazione della proposta normativa i datori di lavoro pubblico cosiddetti privatizzati, al fine di assecondare gli intenti legislativi volti alla tendenziale uniformità della disciplina del settore pubblico e di quello privato non differenziando, così, gli strumenti processuali.
Il procedimento si svolge con una cognizione libera da formalità, in contraddittorio delle parti, e si conclude con la conoscenza tendenzialmente completa delle questioni, di fatto e di diritto, controverse (articolo 2).
La tipicità dell'azione prevede lo strumento del mutamento del rito, anche in considerazione della peculiare connotazione del termine di impugnativa del licenziamento: il giudice provvederà a disporre la regolarizzazione dell'atto introduttivo nelle forme di cui al comma 3 dell'articolo 2 quando la domanda sia stata proposta irritualmente (se proposta ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice di rito dispone procedersi con forma sommaria, se proposta erroneamente con forma sommaria, dispone la regolarizzazione a norma degli stessi articoli).
Quanto all'onere della prova, con riferimento al numero dei dipendenti occupati in azienda ed ai motivi che hanno determinato il provvedimento espulsivo, in linea con l'orientamento giurisprudenziale più recente della Corte di Cassazione (da ultimo, sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, 10 gennaio 2006, n. 141), si prevede espressamente che esso gravi sul datore di lavoro (articolo 2, comma 5), con ciò eliminando il margine interpretativo fino ad oggi lasciato dalla legislazione vigente. Porre a carico del datore l'onere della prova circa il cosiddetto «requisito dimensionale» corrisponde alla necessità di garantire in concreto l'effettività - non rendendone troppo difficile l'esercizio - del diritto alla reintegra da parte del lavoratore. Quest'ultimo, infatti, a differenza del datore di lavoro, è evidentemente privo della «disponibilità» dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell'impresa.
Altro elemento qualificante dell'azione sommaria disegnata dal progetto di riforma è l'idoneità dell'ordinanza a divenire irrevocabile in mancanza di reclamo.
L'azione tipica introdotta è peculiare anche quanto al regime delle impugnazioni: l'ordinanza emessa dal tribunale, in funzione di giudice del lavoro, è reclamabile alla sezione lavoro della Corte d'appello (articolo 3).
A garanzia dell'attuazione effettiva del capo del provvedimento (ordinanza o sentenza) di condanna alla reintegra, è prevista una forte misura coercitiva di carattere pecuniario, individuata sul modello francese delle astreintes, connotata dalla irripetibilità delle somme (corrisposte o da corrispondere) in caso di successiva sentenza (di primo grado o d'appello) dichiarativa della legittimità del licenziamento. Per evitare ingiustificati arricchimenti del lavoratore, in caso di successiva sentenza dichiarativa della legittimità del licenziamento, il lavoratore può trattenere solo una somma corrispondente alla retribuzione per il periodo intercorso tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma, mentre le ulteriori somme percepite o percipiende sono devolute ad un fondo speciale. La riforma del provvedimento dichiarativo dell'illegittimità del trasferimento comporta, invece, un obbligo di restituzione delle somme già percepite (articolo 4).
Per attuare l'astreinte è data al lavoratore la procedura cautelare dell'articolo 669-sexies e seguenti del codice di procedura civile, con la quale richiedere al giudice, dell'ordinanza o della sentenza di reintegra, la liquidazione delle somme dovute per i giorni di ritardo (articolo 4, comma 2).
La relativa ordinanza è immediatamente eseguibile e reclamabile o al collegio del tribunale o al collegio di appello, a seconda del provvedimento reclamato.
La caratteristica urgente e sommaria del procedimento porta alla eliminazione del tentativo di conciliazione e della relativa procedura extra giudiziale, essendo questa in contrasto con i tempi ristretti della novella (articolo 6).
La modifica della normativa sostanziale concerne esclusivamente la decadenza, nel quando e nel quomodo, dell'impugnativa del licenziamento: il termine, innalzato a centoventi giorni, diventa anche termine di decadenza dall'azione giudiziale (articolo 7). Il medesimo termine, salvo diversa indicazione, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento o del recesso, di licenziamento inefficace di cui all'articolo 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nonché agli altri casi disciplinati nel medesimo capo (articolo 7, commi 2 e 3). Nel medesimo contesto è affrontata la questione dell'estinzione del rapporto di lavoro per licenziamento orale, quando essa sia attribuita in giudizio, dal datore di lavoro, a dimissioni orali del lavoratore. A questo proposito si prevede che eventuali dimissioni in forma orale non possano essere fatte valere dal datore di lavoro quali causa di estinzione del rapporto di lavoro, a meno che egli abbia provveduto a richiedere, entro il termine di due giorni dalle stesse e con atto scritto di data certa, conferma delle dimissioni del lavoratore (articolo 7, comma 4).
Sul piano ordinamentale si prevede, per rafforzare la celerità dell'azione, che il giudice tratti con priorità tali cause (articolo 8).
Per altro verso, il provvedimento intende risolvere anche la controversa questione della riconduzione del licenziamento nullo per causa di maternità o di paternità nell'ambito del licenziamento discriminatorio. A tal fine, è proposta una riformulazione dell'articolo 3 della legge n. 108 del 1990, che individui espressamente tutte le fattispecie di licenziamento discriminatorio rinvenibili nell'ordinamento (articolo 9).
La sottrazione dall'obbligo di conciliazione non impedisce, anzi richiede una valorizzazione della volontarietà del ricorso alla procedura di conciliazione ed arbitrato già prevista dall'articolo 7 dello statuto dei lavoratori (articolo 10).
Rispetto alla situazione data, si interviene:
vincolando con più determinazione il datore di lavoro alla sospensione della sanzione e, quindi, a non eseguire la sanzione del licenziamento prima dei venti giorni di tempo a disposizione del lavoratore per l'impugnazione in sede di collegio di conciliazione ed arbitrato. È questo l'effetto che rende conveniente il ricorso a questa procedura;
prevedendo vincoli di attività, se non un vero e proprio termine per la pronuncia da parte del collegio, e le relative conseguenze;
precisando il regime di impugnazione del lodo, vincolando al rispetto delle disposizioni inderogabili di legge e di contratto collettivo, oltre ai vizi del consenso, incapacità e vizi di eccesso di mandato;
intervenendo sul costo economico della costituzione del collegio e sulla riduzione degli oneri dovuti sulle somme acquisite dal lavoratore.
Il capo I si chiude con la previsione della istituzione di un fondo destinato a partecipare, anche parzialmente, agli oneri sostenuti per effetto di decisioni che modificano provvedimenti che hanno riconosciuto la legittimità del licenziamento.
Il capo II prevede l'inserimento nel codice di procedura civile di due nuovi articoli, rispettivamente dedicati a fornire certezza e celerità nell'ambito degli accertamenti sanitari connessi a controversie previdenziali e assistenziali obbligatorie e alle cosiddette controversie in serie o seriali (articolo 12).
Il capo III adotta, per quanto riguarda la conciliazione, una soluzione che contempla:
la revisione dell'obbligo del tentativo di conciliazione, da cui sono escluse le controversie previdenziali, le controversie che ricevono trattazione sommaria o d'urgenza, le controversie nell'ambito del lavoro pubblico (articolo 13, secondo capoverso);
la previsione di una fase conciliativa quale fase precontenziosa a giudizio già iniziato (conciliazione endogiudiziale);
l'ammissione della difesa tecnica, che è coinvolta nella fase precontenziosa;
la previsione secondo cui l'ingiustificata assenza del ricorrente o di entrambe le parti all'udienza fissata per la conciliazione comporta l'estinzione del processo, mentre l'assenza della parte convenuta può dar luogo all'emanazione di un'ordinanza provvisoria di pagamento totale o parziale delle somme domandate o a provvedimenti anticipatori della decisione di merito (articolo 15);
il tentativo di conciliazione ad opera del giudice o del conciliatore appositamente designato tra quelli iscritti in apposito albo;
nei casi in cui la conciliazione è raggiunta, la previsione secondo cui il relativo processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo con decreto del giudice (articolo 14, quarto capoverso);
nei casi in cui la conciliazione non è raggiunta, la redazione del verbale con l'indicazione succinta delle ipotesi di soluzione della controversia allo stato degli atti (articolo 15, quarto capoverso);
in qualunque fase della conciliazione, ovvero in caso di esito negativo della conciliazione, la possibilità per le parti di affidare allo stesso conciliatore la decisione di risolvere in via arbitrale la controversia.
La proposta si fonda, quanto alla disciplina dell'arbitrato, sui seguenti princìpi-base:
la possibilità di affidare il mandato in via arbitrale allo stesso conciliatore in ogni fase del tentativo di conciliazione (articolo 16, primo capoverso);
la possibilità di ricorso all'arbitrato dopo il fallimento del tentativo di conciliazione;
la necessità che la richiesta di deferimento ad arbitri risulti da atto scritto contenente, a pena di nullità, il termine entro il quale l'arbitro dovrà pronunciarsi, ed i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti all'arbitro (articolo 16, secondo capoverso);
l'obbligo per l'arbitro del rispetto delle norme inderogabili di legge e del contratto collettivo (articolo 16, terzo capoverso);
l'impugnabilità del lodo, per qualsiasi vizio, davanti alla Corte d'appello (articolo 17, comma 1);
l'esecutività del lodo nonostante l'impugnazione (articolo 17, primo capoverso);
il mantenimento della concorrente disciplina arbitrale eventualmente prevista da accordi o contratti collettivi (articolo 18).
Va, inoltre, rimarcato che l'autorevolezza del conciliatore deriverà dalla sua nomina da parte del giudice, attingendo ad un albo dei conciliatori cui possono iscriversi esperti in materie giuslavoristiche, tenuto dal presidente del tribunale (articolo 21). Si tratta di un regime transitorio, giacché dopo il primo anno di applicazione della legge l'iscrizione è condizionata alla frequenza di appositi programmi di formazione professionale per la preparazione allo svolgimento della funzione di conciliatore e di arbitro (articolo 21, comma 2).
Infine, il capo IV reca, in un unico articolo, le disposizioni finali e le abrogazioni. In particolare, si prevede che tutti i termini previsti dal provvedimento siano da intendersi come perentori (articolo 22, comma 1). Quanto alle norme abrogate, esse si indicano negli articoli 420-bis del codice di procedura civile e 146-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie. In particolare, si tratta delle disposizioni che hanno introdotto l'istituto dell'accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità e interpretazione dei contratti e degli accordi collettivi (articolo 420-bis del codice di procedura civile), estendendolo in quanto compatibile anche al lavoro pubblico (articolo 146-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile). Lungi dal realizzare gli auspicati effetti deflativi, tali istituti si prestano infatti a interpretazioni divergenti e ad applicazioni che tendono semmai a dilatare i tempi del processo del lavoro, in palese contrasto con l'esigenza di chiarezza, tempestività e stabilità delle pronunce in materia di controversie sul lavoro, perseguita dal presente progetto di riforma.
DISEGNO DI LEGGE
CONTROVERSIE IN MATERIA DI LICENZIAMENTI, TRASFERIMENTI, APPOSIZIONE DEL TERMINE
1. La disciplina di cui al presente capo si applica alle controversie individuali in materia di:
a) licenziamenti, anche qualora presuppongano la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;
b) recesso del committente nei rapporti di cui all'articolo 409, primo comma, numero 3), del codice di procedura civile e nelle collaborazioni a progetto di cui all'articolo 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, con riferimento ai casi in cui il recesso avviene secondo causali o modalità diverse da quelle previste dall'articolo 67 del medesimo decreto legislativo;
c) trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 e dell'articolo 2112 del codice civile.
1. Il ricorso avverso i provvedimenti di cui all'articolo 1, comma l, si propone al tribunale in funzione di giudice del lavoro.
2. Il giudice, convocate le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede, nel modo che ritiene più idoneo allo scopo urgente del procedimento, all'acquisizione ed alla valutazione degli elementi di prova relativi ai fatti allegati, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda.
3. Ove la domanda sia proposta ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice di procedura civile, il giudice, anche d'ufficio, dispone con ordinanza che la causa prosegua ai sensi del comma 2.
4. Il giudice adito in via sommaria, ove rilevi che la causa deve essere trattata secondo le forme ordinarie, dispone, con ordinanza, il mutamento di rito per la prosecuzione del processo ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice di procedura civile.
5. Nelle controversie in materia di licenziamento l'onere della prova relativa al numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro grava su quest'ultimo. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
1. Contro l'ordinanza di cui al comma 2 dell'articolo 2 è ammesso ricorso alla sezione lavoro della Corte d'appello, nelle forme di cui all'articolo 414 e seguenti del codice di procedura civile, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di comunicazione alle parti dell'ordinanza stessa, a pena di decadenza.
1. Il giudice, con l'ordinanza di cui all'articolo 2, comma 2, o la sentenza di condanna alla reintegrazione della lavoratrice o del lavoratore nel posto di lavoro, determina la somma dovuta dal datore di lavoro per l'eventuale ritardo nell'esecuzione del provvedimento, entro il limite massimo di quattro retribuzioni globali di fatto giornaliere ed il limite minimo di due retribuzioni globali di fatto giornaliere per ogni giorno di ritardo, tenuto conto delle dimensioni dell'organizzazione produttiva.
2. La lavoratrice o il lavoratore può chiedere, con ricorso al giudice che ha ordinato la reintegrazione, la liquidazione della somma dovuta. L'onere della prova dell'effettiva reintegrazione grava sul datore di lavoro. Il giudice provvede nelle forme di cui al primo comma dell'articolo 669-sexies del codice di procedura civile e decide con ordinanza con la quale liquida le spese del procedimento; il provvedimento è immediatamente esecutivo e contro lo stesso è ammesso reclamo a norma dell'articolo 669-terdecies del codice di procedura civile.
3. Le somme corrisposte o ancora da corrispondere alla lavoratrice o al lavoratore ai sensi dei commi 1 e 2 sono irripetibili dal datore di lavoro in caso di riforma del provvedimento con cui è stata ordinata la reintegrazione. In tal caso, la lavoratrice o il lavoratore trattiene solo la somma corrispondente alla retribuzione per il periodo intercorso tra il provvedimento di condanna alla reintegrazione ed il provvedimento di riforma. Le ulteriori somme percepite o da percepire sono devolute al fondo di cui all'articolo 11.
4. In caso di riforma del provvedimento dichiarativo dell'illegittimità del trasferimento, la lavoratrice o il lavoratore è tenuto a restituire le somme già percepite ai sensi dei commi 1 e 2.
1. All'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma dopo le parole: «il giudice con» sono inserite le seguenti: «l'ordinanza o»;
b) al quarto comma dopo le parole: «Il giudice con» sono inserite le seguenti: «l'ordinanza o»;
c) al quinto comma dopo la parola: «deposito» sono inserite le seguenti: «dell'ordinanza o».
1. Alle controversie instaurate ai sensi dell'articolo 1 non si applicano le disposizioni di cui agli articoli dal 410 al 412-bis del codice di procedura civile.
2. L'articolo 5 della legge 11 maggio 1990, n. 108, è abrogato.
1. Il primo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:
«Il licenziamento da parte del datore di lavoro o il recesso del committente deve essere impugnato a pena di decadenza entro centoventi giorni dalla ricezione della sua comunicazione, ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuale, con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro».
2. Il termine di decadenza, di cui all'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento o del recesso, nonché di licenziamento inefficace di cui all'articolo 2 della citata legge n. 604 del 1966, e successive modificazioni.
3. Il termine di decadenza, di cui all'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, si applica anche agli altri casi disciplinati dall'articolo 1 della presente legge.
4. Le dimissioni del lavoratore sono rassegnate per atto scritto. Eventuali dimissioni in forma orale non possono essere fatte valere dal datore di lavoro quali causa di estinzione del rapporto di lavoro, qualora egli non abbia provveduto a richiedere, entro il termine di due giorni dalle stesse e con atto scritto di data certa, conferma delle dimissioni del lavoratore.
1. Le controversie, sommarie o ordinarie, relative alle materie di cui all'articolo 1 devono essere trattate dal giudice con priorità con la sola eccezione dei procedimenti cautelari e di quelli previsti dall'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.
2. La tempestiva trattazione e conclusione delle controversie relative a provvedimenti di cui all'articolo 1 è assicurata dai responsabili degli uffici anche con apposite misure organizzative.
1. L'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, è sostituito dal seguente:
«Art. 3. - (Licenziamento discriminatorio). - 1. Si considera discriminatorio il licenziamento determinato dalle ragioni di cui alle seguenti disposizioni:
a) articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604;
b) articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni;
c) articolo 54 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni.
2. Il licenziamento discriminatorio è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.
3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai dirigenti».
1. In caso di licenziamento disciplinare, si applica l'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
2. Il datore di lavoro non può adottare il licenziamento prima che siano trascorsi cinque giorni dalla data di ricevimento del provvedimento da parte della lavoratrice o del lavoratore, durante i quali il lavoratore può comunicare al datore di lavoro di essere intenzionato a scegliere tra il ricorso in giudizio e la promozione della costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato previsto dal sesto comma dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300. La richiesta scritta della promozione della costituzione del collegio deve comunque essere presentata nel termine di venti giorni, così come indicato nel citato comma sesto dell'articolo 7.
3. Il licenziamento intimato dal datore di lavoro rimane sospeso fino alla pronuncia da parte del collegio di conciliazione ed arbitrato.
4. In caso di licenziamento per giusta causa il datore di lavoro adotta il provvedimento della sospensione cautelare.
5. Se il datore di lavoro non consente l'attivazione del collegio di conciliazione ed arbitrato, non adempiendo agli obblighi su di lui gravanti, ovvero se adisce l'autorità giudiziaria, il licenziamento rimane sospeso fino alla definizione del giudizio.
6. Il collegio di conciliazione ed arbitrato si pronuncia entro quarantacinque giorni, determinandosi in mancanza la perenzione del procedimento e il mancato pagamento dei compensi di cui al comma 8. È possibile un prolungamento del termine di cui al primo periodo in casi di particolare complessità, documentati da riunioni a cadenza almeno quindicinale. In caso di perenzione del procedimento, la sospensione del licenziamento è revocata e il lavoratore può adire l'autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 412-quater del codice di procedura civile, come sostituito dall'articolo 18 della presente legge.
7. In caso di emanazione del lodo, si applica quanto previsto dai commi terzo e quarto dell'articolo 4l2-bis del codice di procedura civile, come sostituito dall'articolo 16 della presente legge, e per l'impugnazione da quanto previsto dall'articolo 412-ter del codice di procedura civile, come sostituito dall'articolo 17 della presente legge.
8. La contrattazione collettiva determina i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti al terzo componente del collegio di conciliazione ed arbitrato scelto di comune accordo tra le parti ai sensi dell'articolo 7, sesto comma, della citata legge n. 300 del 1970.
9. Sugli importi monetari riconosciuti a favore della lavoratrice o del lavoratore è riconosciuto il beneficio dell'abbattimento, in misura pari al 50 per cento, dell'aliquota applicabile per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale, nonché della ritenuta ai fini dell'imposta sul reddito.
1. Con regolamento del Ministro della giustizia è disciplinata l'istituzione di un fondo, finanziato con modalità fissate dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, e destinato a partecipare, anche parzialmente, agli oneri sostenuti per effetto di decisioni che modificano provvedimenti che hanno riconosciuto la legittimità del licenziamento.
2. Al fondo di cui al comma 1 sono destinate le somme di cui al comma 3 dell'articolo 4.
ACCERTAMENTI SANITARI E
RELATIVE CONTROVERSIE
1. Dopo l'articolo 443 del codice di procedura civile sono inseriti i seguenti:
«Art. 443-bis. - (Accertamenti sanitari connessi a controversie di previdenza e assistenza obbligatorie). - Nei casi in cui l'assicurato o l'assistito abbia presentato ricorso contro un provvedimento relativo a prestazioni previdenziali o assistenziali, che comportino l'accertamento dello stato di condizioni psicofisiche, l'amministrazione competente, ove non ritenga di accogliere il ricorso, sottopone l'accertamento ad un collegio medico, composto da un sanitario designato dall'amministrazione competente, da un sanitario nominato dal ricorrente o dall'istituto di patronato che lo assiste, e da un terzo sanitario nominato dal responsabile della competente direzione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale tra i medici specialisti in medicina legale, o in medicina del lavoro di cui all'articolo 146 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie ovvero tra i sanitari appartenenti ai ruoli di un ente previdenziale diverso da quello che è parte della controversia.
Espletati gli accertamenti medico-legali, il collegio di cui al primo comma, coerentemente alle risultanze degli accertamenti, tenta la conciliazione della controversia. In caso di esito positivo, è redatto un verbale che, sottoscritto dalle parti, è vincolante per le medesime. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, il presidente del suddetto collegio redige una dettagliata relazione medico-legale nella quale dà atto degli accertamenti effettuati e delle conclusioni conseguite nonché dei motivi del dissenso.
Il compenso dei componenti il collegio di cui al primo comma, a carico dell'amministrazione competente per l'erogazione della prestazione, è determinato in conformità di convenzioni stipulate con la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
Art. 443-ter. - (Controversie di serie). - In caso di controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie riguardanti, anche potenzialmente, un numero consistente di soggetti ed avente ad oggetto questioni analoghe, le amministrazioni interessate sono tenute ad informare i Ministeri competenti e a promuovere incontri anche con gli istituti di patronato che hanno fornito assistenza nelle medesime controversie, al fine di chiarire gli aspetti delle questioni in discussione ed individuare, per quanto possibile, ipotesi di soluzione.
In attesa dell'esito dei suddetti incontri, il giudice, su istanza di parte, può rinviare la trattazione della causa».
CONCILIAZIONE E ARBITRATO
1. L'articolo 410 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 410. - (Tentativo obbligatorio di conciliazione). - Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione previsto dai commi terzo e seguenti.
Sono escluse da tale obbligo le controversie riguardanti le seguenti materie:
a) controversie previdenziali;
b) controversie per le quali siano stabiliti dalla legge procedimenti sommari o da esperirsi in via d'urgenza;
c) controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Il giudice, ricevuto il ricorso, ove non possa fissare la comparizione delle parti per condurre personalmente il tentativo di conciliazione o per la trattazione entro il termine previsto dall'articolo 416, entro trenta giorni dalla data del deposito, con proprio decreto, designa un conciliatore, liberamente scelto tra quelli contenuti nell'apposito albo, con il compito di esperire entro il termine suddetto il tentativo di conciliazione della controversia.
Il decreto di cui al secondo comma è emanato entro quindici giorni dalla data di presentazione del ricorso. Il decreto, con allegato il ricorso, fissa il giorno, la data ed il luogo stabiliti per la comparizione delle parti. Il decreto ed il ricorso sono notificati al convenuto, a cura dell'attore, entro dieci giorni dalla pronuncia del decreto medesimo, salvo quanto disposto dall'articolo 417.
Il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima della data fissata per il tentativo di conciliazione, dichiarando la residenza o eleggendo domicilio nel comune presso cui ha sede il giudice, e depositando nella cancelleria del giudice una memoria difensiva. La memoria deve contenere tutti gli elementi difensivi di cui all'articolo 416 e comporta i medesimi effetti processuali della memoria difensiva di cui allo stesso articolo 416.
Qualora il giudice non abbia fissato l'udienza per il tentativo di conciliazione presso di sé, subito dopo la scadenza del termine per il deposito della memoria difensiva, l'intero fascicolo è trasmesso al conciliatore.
Qualora il convenuto proponga domanda in via riconvenzionale a norma del secondo comma dell'articolo 416, con istanza contenuta nella stessa memoria, a pena di decadenza della riconvenzionale medesima, deve espressamente chiedere al giudice lo spostamento della data fissata per esperire il tentativo di conciliazione.
Il decreto che sposta la data di comparizione, unitamente alla memoria difensiva, è notificato, a cura del convenuto, all'attore, entro dieci giorni dalla data in cui è stato pronunciato.
Il tentativo di conciliazione di cui al quarto comma, ad istanza del ricorrente, non è esperito nel caso che il ricorrente dimostri di aver effettuato senza esito, prima del giudizio, un tentativo di conciliazione nel rispetto delle modalità di cui ai commi terzo, quarto e quinto dell'articolo 412-quater».
1. L'articolo 411 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 411. - (Processo verbale di conciliazione). - Il tentativo di conciliazione è da espletare nel termine di trenta giorni e si svolge in un'unica seduta, salvo che il giudice od il conciliatore non ravvisino concrete possibilità di accordo; in tal caso possono rinviare una sola volta la seduta entro un termine non superiore a trenta giorni dalla data iniziale.
Il giudice o il conciliatore svolgono un ruolo attivo al fine di pervenire alla conciliazione e possono proporre, sulla base degli atti presentati, eventuali proposte di soluzione.
Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dal giudice o dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori. L'autografia della sottoscrizione, o l'impossibilità dei soggetti di cui al primo periodo a sottoscrivere, è certificata dal giudice o dal conciliatore.
Ove la conciliazione sia stata raggiunta davanti al conciliatore, questi trasmette il relativo verbale entro cinque giorni alla cancelleria del giudice. Il giudice, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.
Sugli importi monetari riconosciuti a favore della lavoratrice o del lavoratore è riconosciuto il beneficio dell'abbattimento, in misura pari al 50 per cento, dell'aliquota applicabile per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale, nonché della ritenuta ai fini dell'imposta sul reddito».
1. L'articolo 412 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412. - (Verbale di mancata conciliazione). - Se entrambe le parti, o la parte che ha presentato il ricorso, non compaiono al tentativo di conciliazione, il giudice od il conciliatore ne danno atto nel processo verbale ed il giudice dichiara estinto il processo direttamente o dopo aver ricevuto gli atti dal conciliatore, salvo il caso di motivo riconosciuto giustificato dal giudice o dal conciliatore che, in tal caso, fissano una nuova data per la comparizione entro il termine perentorio di trenta giorni.
In caso di mancata comparizione del convenuto, il giudice o il conciliatore ne danno atto nel processo verbale.
In caso di mancata comparizione del convenuto, il giudice, ricevuti gli atti nei termini di cui al sesto comma, su istanza di parte, può, con accertamento allo stato degli atti, in via provvisoria, emettere un'ordinanza che disponga il pagamento totale o parziale delle somme domandate e disporre con lo stesso ulteriori provvedimenti anticipatori della decisione di merito.
Se la conciliazione non riesce si redige un verbale del tentativo di conciliazione. In esso le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta alla lavoratrice o al lavoratore. In quest'ultimo caso, per la parte su cui si è concordato, il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo secondo quanto stabilito dal quarto comma dell'articolo 411.
Nello stesso verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali proposte indirizzate alle parti per pervenire ad un accordo, e quant'altro ritenga utile portare alla conoscenza del giudice per il prosieguo del procedimento. Il verbale del tentativo di conciliazione viene acquisito agli atti del processo.
Il conciliatore, salva l'ipotesi di cui all'articolo 412-bis, trasmette il verbale di mancata conciliazione al giudice entro cinque giorni. Il giudice, salvo che non debba dichiarare estinto il processo ai sensi del primo comma, emette il decreto di fissazione di udienza davanti a sé entro quindici giorni.
Il provvedimento di fissazione dell'udienza è depositato nella cancelleria del giudice, dove le parti possono prenderne visione. Il decreto è notificato a cura dell'attore al convenuto non costituito, senza pregiudizio degli effetti processuali già verificatisi».
1. L'articolo 412-bis del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412-bis. - (Arbitrato facoltativo). - In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono affidare allo stesso conciliatore il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.
Il compromesso deve risultare da atto scritto contenente, a pena di nullità, il termine per l'emanazione del lodo, nonché i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti all'arbitro.
L'arbitro decide sulla controversia nel rispetto delle norme inderogabili di legge e del contratto collettivo, sulla base dei documenti in suo possesso e acquisendo, ove necessario, altri mezzi istruttori. Si applica la disposizione del terzo comma dell'articolo 429.
Il lodo acquista efficacia esecutiva con il deposito presso la cancelleria del giudice.
Si applica quanto previsto dalla disposizione di cui al quinto comma dell'articolo 411».
1. L'articolo 412-ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412-ter. - (Impugnazione del lodo arbitrale). - Il lodo arbitrale può essere impugnato, per qualsiasi vizio, ivi compresa la violazione e la falsa applicazione di legge dei contratti e accordi collettivi, entro trenta giorni dalla sua notificazione alle parti, davanti alla Corte d'appello in funzione di giudice del lavoro.
L'impugnazione non sospende l'esecutività del lodo».
1. L'articolo 412-quater del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412-quater. - (Altre modalità di conciliazione). - La conciliazione, nelle materie di cui all'articolo 409, può essere svolta presso le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, nonché presso le direzioni provinciali del lavoro.
Gli accordi di conciliazione raggiunti in tali sedi, sottoscritti dalle parti interessate e dal conciliatore, acquistano efficacia di titolo esecutivo, ove depositati presso la cancelleria del tribunale competente. Si applica il quinto comma dell'articolo 411.
Il tentativo di conciliazione effettuato ai sensi del primo comma, ove non si pervenga ad una conciliazione, tiene luogo del tentativo di cui all'articolo 410 e determina la procedibilità dell'azione giudiziaria ove sia stato esperito con le seguenti modalità:
a) sia stato esperito da un conciliatore su richiesta congiunta delle parti;
b) sia stato effettuato sulla base di memorie scritte dell'attore e del convenuto che illustrino le ragioni di fatto e di diritto della pretesa e della resistenza.
Il verbale del tentativo di conciliazione deve essere redatto e sottoscritto dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori. In tale verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali proposte indirizzate alle parti per pervenire ad un accordo, e quant'altro ritenga utile portare a conoscenza del giudice per il procedimento. Ad esso devono essere allegate le memorie di cui al comma terzo.
Il verbale di mancata conciliazione è depositato presso la cancelleria del giudice competente unitamente al ricorso di cui all'articolo 414. Il giudice, ove accerti che sono state rispettate le condizioni di cui al terzo comma, e che la domanda corrisponde all'oggetto per il quale è stato esperito il tentativo di conciliazione, procede direttamente a fissare l'udienza di discussione ai sensi dell'articolo 415.
Il verbale di conciliazione è acquisito agli atti del procedimento e produce tutti gli ulteriori effetti del tentativo di conciliazione esperito ai sensi degli articoli 410, 411, 412».
1. Dopo l'articolo 412-quater del codice di procedura civile è inserito il seguente:
«Art. 412-quinquies - (Arbitrato in materia di lavoro previsto dalla contrattazione collettiva). - Nell'ambito delle sedi di cui all'articolo 412-quater le parti possono deferire ad arbitri la controversia.
Il lodo arbitrale è dichiarato esecutivo dal giudice cui sia trasmesso a cura delle strutture interessate, nei modi e nei tempi stabiliti dal quarto comma dell'articolo 412-bis e dall'articolo 412-ter, ove sia presente la richiesta scritta con la quale le parti dichiarano di richiedere una pronuncia arbitrale, l'indicazione dell'arbitro o del collegio arbitrale al quale viene richiesto il lodo, la delimitazione dell'oggetto sul quale viene richiesto il lodo, il termine entro il quale il lodo deve essere pronunciato.
Ai lodi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 412-ter».
1. All'articolo 415 del codice di procedura civile è aggiunto il seguente comma:
«Per i procedimenti per i quali sia esperito il tentativo di conciliazione, i termini di cui ai commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto decorrono dalla data di trasmissione del verbale di mancata conciliazione».
2. All'articolo 418 del codice di procedura civile è aggiunto il seguente comma:
«Per i procedimenti per i quali sia stato disposto il tentativo obbligatorio di conciliazione, eventuali domande in via riconvenzionale sono disposte tassativamente con le procedure di cui all'articolo 410».
3. All'articolo 420 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il primo comma è sostituito dal seguente:
«Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamene le parti presenti. La mancata comparizione delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice»;
b) il terzo comma è abrogato;
c) il quarto comma è sostituito dal seguente:
«Quando il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo».
1. Presso ogni tribunale è istituito un albo dei conciliatori e degli arbitri, esperti in materie giuslavoristiche, di seguito denominato «albo», tenuto dal presidente della sezione lavoro del tribunale stesso.
2. All'albo possono iscriversi professori e ricercatori universitari di materie giuslavoristiche, avvocati e commercialisti di comprovata esperienza nel campo del lavoro, consulenti del lavoro, funzionari delle direzioni provinciali e regionali del lavoro. Trascorso il primo anno di applicazione della legge, all'albo possono iscriversi esclusivamente coloro che, appartenenti alle categorie suddette, abbiano frequentato programmi di formazione professionale per la preparazione allo svolgimento della funzione di conciliatore e di arbitro e ottenuto la relativa certificazione.
3. La domanda d'iscrizione, con allegati i titoli che dimostrino il possesso delle necessarie competenze, è presentata al presidente del tribunale, che vaglia i titoli per l'ammissione.
4. Gli iscritti all'albo svolgono, su nomina del giudice, la funzione di conciliatori delle controversie di lavoro, ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile. Essi possono essere nominati in qualità di conciliatori nelle strutture di cui all'articolo 412-quater del codice di procedura civile, come sostituito dall'articolo 18 della presente legge.
5. I giudici scelgono i conciliatori e gli arbitri tenendo conto della loro esperienza in relazione al tipo di vertenza e con modalità tali da distribuire gli incarichi tra gli iscritti all'albo, evitando profili di incompatibilità.
6. Il presidente della sezione lavoro del tribunale vigila sul comportamento dei conciliatori, che deve essere improntato all'indipendenza ed all'imparzialità nella prestazione del servizio. Egli dispone la cancellazione dall'albo quando ravvisi che non sussistano più le condizioni per il mantenimento dell'iscrizione.
7. Il tentativo di conciliazione è svolto, per quanto possibile, negli stessi locali ove hanno sede gli uffici giudiziari.
8. Per le conciliazioni effettuate ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile ai conciliatori spetta un'indennità definita con decreto del Ministro della giustizia per ogni vertenza trattata, senza alcuna distinzione in relazione al valore della controversia. Nel caso in cui in sede di conciliazione non vengano stabiliti i criteri per la ripartizione dell'onere, esso è diviso in parti uguali tra le due parti.
9. Per le conciliazioni raggiunte ai sensi dell'articolo 412-quater del codice di procedura civile, come sostituito dall'articolo 18 della presente legge, il compenso è stabilito dalle strutture presso cui il conciliatore venga chiamato, fermo restando che, in mancanza di un accordo per la ripartizione dell'onere, esso è diviso in parti uguali tra le due parti.
10. Le domande per l'iscrizione all'albo, indirizzate al presidente della sezione lavoro del tribunale, ai sensi del comma 3, possono essere depositate nella cancelleria o inviate a mezzo raccomandata, a partire dal primo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
11. Il presidente della sezione lavoro del tribunale, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, esaminate le domande, determina l'elenco degli iscritti all'albo. L'albo è aggiornato con cadenza semestrale.
DISPOSIZIONI FINALI
1. I termini previsti dalla presente legge si intendono di carattere perentorio.
2. Sono abrogati gli articoli 420-bis del codice di procedura civile e 146-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie.