I limiti del principio di maggioranza e lo sciopero dei magistrati
Con sentenza 13-20 gennaio 2004 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 1, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n.140 (´Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato'). L’esito era scontato (o, comunque, altamente probabile), ché l’´insulto' portato dal lodo Schifani (come viene comunemente definita la legge in questione) ´ad un ordinamento ancora abbarbicato, ormai pateticamente, al principio di eguaglianza' (cosi G. Giostra, nel commento all’ordinanza con cui è stata sollevata la questione di costitu-zionalità, in questa Rivista, n. 4/2003) era, questa volta, macroscopico.
Ma non per questo la vicenda può essere archiviata con la semplice constatazione dell’avvenuto ripristino del diritto violato. Essa lascia, infatti, dietro di sé guasti di grande rilievo.
Anzitutto, l’obiettivo è stato raggiunto: il dibattimento nei confronti dell’alta carica dello Stato per cui la legge era stata emanata è stato sospeso e dovrà riprendere con un nuovo giudice; in ogni caso, l’agognata prescrizione impedirà il giudizio di merito. Cosi, una ulteriore manifestazione di attività legislativa esercitata sibi et suis, anziché nell’interesse generale, accentua il processo di corruzione in atto dello Stato costituzionale [per riprendere le espressioni e l’analisi di M. Dogliani, La nuova dimensione della questione morale, in L. Pepino (a cura di), Attacco ai diritti, Roma-Bari, 2003, p. 150].
In secondo luogo, la decisione della Corte ha provocato, come era agevole prevedere, reazioni risentite e, a volte, sguaiate. Tra gli altri, un autorevole esponente della maggioranza si è spinto a contestare la legittimazione di quindici giudici costituzionali a censurare le scelte degli “eletti del popolo”. Solo una dilagante incultura può spiegare la mancanza di reazioni adeguate a una affermazione siffatta. In realtà – è bene ricordarlo, prima che sia troppo tardi - ´niente è tanto inesatto quanto la comune affermazione secondo la quale in regime democratico la maggioranza è onnipotente, dovendo, al contrario – in quel regime più che in altri – rispettare limiti costituzionali, estesi e insuperabili, finalizzati alla tutela della “sovrana dignità di tutti i cittadini”, posta al centro – è possibile aggiungere – di un’area dell’indecidibile, presidiata da custodi estranei al processo elet-torale, ma non certo alla democrazia' (cosi A. Di Giovine, E-mergenza costituzionale, infra, p. 15).
Si avvicina, salvo (improbabili) fatti nuovi, lo sciopero dei magistrati: il sesto dal 1947, il secondo negli ultimi due anni. Facile cogliere in questa sequenza l’eccezionalità dell’evento e, insieme, la drammaticità della situazione. Perché, dunque, il nuovo sciopero e uno stato di agitazione ormai permanente?
Primo. Perché la riforma dell’ordinamento giudiziario recentemente approvata dal Senato modifica profondamente lo status di giudici e pubblici ministeri, riportandolo indietro di cinquant’anni e prefigurando una magistratura burocratizzata, im-piegatizia, mediocre e, per questo, obbediente. Lo ha detto, con ruvida franchezza, al congresso dell’Anm il ministro della giustizia Castelli: ´i magistrati pensino a fare sentenza anziché a scrivere libri'. Come se i magistrati che scrivono libri (espressione onnicomprensiva per indicare quelli che cercano di far cultura) non producessero sentenze al pari dei loro colleghi e l’approfondimento culturale fosse un vizio e non l’espressione di una magistratura colta, professionalmente avveduta, capace – per questo – di consapevole indipendenza.
Secondo. Perché le modifiche ordinamentali e le politiche governative in atto, lungi dal concorrere a dare effettività al servizio giustizia, accentuano lo sfascio (in applicazione del principio ´tanto peggio, tanto meglio') attribuendone, poi, la responsabilità ai magistrati. Cosi, nell’immaginario collettivo, la crisi della giustizia si traduce in inadeguatezza della magistratura, con quanto ne segue in termini di rivincita della politica.
Terzo. Perché l’obiettivo di questo percorso è lo smantellamento del sistema costituzionale di società pluralista in cui, per usare parole del presidente della Corte costituzionale (G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992, p. 213), il diritto non è pro-prietà di qualcuno (neppure del Parlamento) ma ´oggetto delle cure di tanti'.