Intervento al Congresso dell'Anm 24-26 febbraio 2006


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di Elisabetta Cesqui

7Congresso ANM 23-24 febbraio 2006

Facendo il bilancio di una legislatura, gli interventi in materia penale nell'ultimo quinquennio sono stati devastanti. Un nostro collega, dopo la riapprovazione della legge Pecorella, ha detto: dalle macerie non si alza pi un filo di fumo.
L'osservatorio della corte di cassazione mi permette di affermare che il pathos biblico di quella osservazione descrive la realtà.
Il processo penale funziona peggio di prima, e già prima non funzionava bene, ed anche il diritto penale sostanziale non è in grado di seguire quelle vie della semplificazione ed alleggerimento che sole potrebbero consentire ad entrambe gli di svolgere una funzione effettiva. Quello sostanziale in particolare subisce una divaricazione sempre pi radicale: da una parte depenalizza sostanzialmente il falso in bilancio, mandando un inequivoco segnale di "mani libere" ad una imprenditoria e una finanza che spesso ha dato prove positive di disinvoltura e spregiudicatezza, dall'altra criminalizza una violazione di natura strettamente amministrativa, come l'ordine di allontanamento del questore da parte dello straniero irregolare, e quando la corte costituzionale sottolinea l'incongruenza tra la violazione di natura contravvenzionale e la previsione della misura cautelare, sceglie la scorciatoia della trasformazione della contravvenzione in delitto.
Dobbiamo però guardarci da una lettura semplificata della strategia complessiva di questi interventi (e di quelli, che avrebbero aumentato l'efficienza del processo, non fatti ). Da questo punto di vista la chiave di lettura delle leggi ad personam o delle leggi vergogna, che pure rispecchia una terribile anomalia italiana, corre il rischio di essere riduttiva e di impedirci di cogliere il senso complessivo di un'operazione che ha come obbiettivo quello di neutralizzare il processo e di trasformare lo strumento penale esclusivamente quale presidio di istanze ideologicamente securitarie (poich spesso gli espulsi sono lavoratori in nero, badanti, soggetti che non mettono in pericolo beni e persone, ma solo la sensazione della nostra sicurezza).
Dobbiamo ammettere che non ci aspettavamo molto dal ministro della giustizia, ma dalla prima legislatura successiva alla modifica dell'art. 111 della costituzione, che ha elevato al rango della carta fondamentale il principio della ragionevole durata, ci saremmo comunque aspettati qualcosa, magari qualcosina. Ci saremmo aspettati che quella Valutazione di impatto temporale, cioè quella considerazione specifica dell'effetto di ogni intervento normativo sulla durata dei procedimenti, civili e penali, ma qui parlo del penale, diventasse un'esigenza primaria, che al soddisfacimento di tale esigenza il ministero orientasse i suoi uffici, che uffici appositi fossero istituiti per rendere effettiva e vincolante la modifica costituzionale e che il ministero si attrezzasse per poter rispondere con numeri, cifre e percentuali alle richieste del parlamento e dello stesso governo. Ci aspettavamo insomma che l'art.11 cost. determinasse in termini di tempi lo stesso vincolo che l'art. 81 crea in termini di copertura finanziaria.
Così non è stato. Quando si è trattato di approvare la legge Cirielli, dopo l'incongruo innesto sulla proposta originaria delle norme che abbreviano la prescrizione, il parlamento ha insistentemente chiesto al ministero una proiezione dei possibili effetti ed ha ricevuto solo tardivamente conteggi approssimativi che non hanno retto il confronto con quelli che gli uffici giudiziari e la corte di cassazione, mentre solo dopo l'approvazione della legge il ministro ha ammesso di non poter calcolale l'aumento dei detenuti conseguente all'entrata in vigore della prima parte della legge.
Nessun conto è stato fatto sulla quantità di energie della giurisdizione, che vuole dire tempo complessivo della giustizia al di là della durata del singolo procedimento, viene e verrà sempre di pi assorbita dalla criminalizzazione della immigrazione clandestina (che è tutt'altra cosa dalla criminalità degli immigrati clandestini ). Anche in questo caso dobbiamo partire dai conti fatti dai singoli uffici: bastino qui alcuni esempi.
Qualche conto lo ha fatto Torino: nel 2005 su un totale di 5.929 arresti/fermi ben 2016 riguardavano le nuove fattispecie di reato (13 c. 13 e 14 c. 5 ter della legge sull'immigrazione ) pari al 34% del totale, nello stesso periodo si sono celebrati 3.434 processi con rito direttissimo con detenuti, di cui 2.079 (60,54%) per i reati previsti dalla Bossi-Fini.
A Rovigo, in una realtà piccola, ma comunque significativa, nel 2001 vi erano state 36 direttissime, nel 2002 25, di cui 21 per furto, nel 2005 ce ne sono state 135, di cui ancora 21 per furto, ma 95 per la Bossi-Fini (70,4%);
a Trieste, tra settembre 2004 e ottobre 2005, si sono svolti 111 convalide di arresto con contestuale direttissima (salvi i casi di non convalida) di cui 65 per 14 ter c. quater, 16 per 13 c. 13; (quindi 81 per violazioni della legge sull'immigrazione, pari al 73%) 14 per furto; 5 per evasione e 4 per rapina.
E' possibile che nessuno con responsabilità di governo si sia assunto il compito di raccogliere sistematicamente questi dati, di ragionarci sopra, di avvertire il legislatore che l'assorbimento delle energie della polizia giudiziaria e degli uffici giudiziari per una routine che ormai sta diventando totalizzante avrebbe reso impossibile l'uso razionale delle risorse e la loro destinazione ad altre finalità?
Della criminalità organizzata si sente parlare sempre di meno, eppure tutti gli indicatori ci dicono che la sua penetrazione nelle articolazioni della società si fa sempre pi pesante.
Un bravissimo collega che lavora a Palermo ricordava qualche giorno fa che dalle intercettazioni acquisite nei procedimenti emerge con chiarezza che la mafia si preoccupa solo dell'intervento del giudice penale, degli altri controlli (l'autorità amministrativa, il controllo fiscale, le autorizzazioni antimafia, le autorità indipendenti) non ha il minimo timore, in questa situazione sembrerebbe sconsiderato un uso non oculato delle energie disponibili nella polizia e nella giurisdizione.
Invece di muoverci in questa direzione ci prepariamo a mobilitare tribunali, questure e prefetti per sanzionare, penalmente quasi sempre, amministrativamente negli altri casi, la detenzione e l'uso delle sostanze stupefacenti, anche leggere.
Certo si tratterà, questa volta sì, di processi rapidi, specie per gli extracomunitari giudicati per direttissima, approssimativamente difesi, rapidamente espulsi, ma non è questa la velocizzazione della giustizia che ci chiede la norma costituzionale e la comunità internazionale, anche perch è una velocità apparente, che paralizza la macchina giudiziara: è il contrario di Achille e la tartaruga, perch qui Achille corre sulla frazione e la tartaruga corre sull'intero percorso.
Robert Louis Stevenson, che era nato borghese e figlio di un ingegnere che costruiva fari (tanto che non ebbe il coraggio di viaggiare in terza classe, ma fu molto provato per il fatto di viaggiare in seconda), volle fare la traversata oceanica degli emigranti e la descrisse poi in un racconto lungo che nella traduzione italiana si intitola "Emigrante per diletto", toccando con mano il degrado di quella condizione, della quale ebbe la percezione pi profonda quando si accorse che mentre sulle porte dei bagni in classe economica, in condizioni pietose, c'era la targhetta "uomini" e "donne", su quelli di prima e seconda classe, decorosamente tenuti, c'era la scritta "signore" e "signori".
Noi stiamo costruendo questo modello di giustizia, da una parte quella per "maschi e femmine" e dall'altra quella per "signore e signori".
Io non credo che sia questa la giustizia che vuole la costituzione e mi domando se è per attuare questa giustizia noi ci siamo battuti e ci battiamo per salvaguardare, nell'interesse di tutti, la nostra autonomia e il principio di autogoverno.
Come magistrati non ci è data la possibilità giudicare la legge (se non sollecitando l'intervento della corte costituzionale) e di applicarla o meno a nostro piacimento, ma questo non ci esime, ne' come singoli, ne' come magistratura associata, dall'obbligo di riflettere sul nostro stesso lavoro, di fare proposte, di suggerire partendo dalla nostra esperienza, modifiche ed interventi coerenti con una ricostruzione del sistema penale e processuale rispettoso del dettato costituzionale e degli obblighi internazionali.
Per questa ragione l'ANM dovrebbe favorire l'attività di un gruppo di lavoro che verifichi le esperienze pratiche ed elabori proposte concrete sia sul piano processuale che su quello sostanziale e che sia in grado di interloquire, nel rigoroso rispetto dei rispettivi ruoli, con gli altri centri, istituzionali ed accademici, di elaborazione delle proposte di modifica.
Per la stessa ragione dovrebbe incalzare, come organismo associato della magistratura, il ministro, a qualunque maggioranza appartenga, perch appresti strumenti di conoscenza e di intervento adeguato nel rispetto e nei limiti, ma in attuazione del 110 cost.
Anche sul terreno dell'autogoverno molto si può fare non solo, e non è poco, nell'esaminare le ricadute organizzative degli interventi legislativi suggerendo modifiche, integrazioni o cambiamenti di rotta.
Il CSM può avere un ruolo determinante nell'amplissimo campo dell'organizzazione degli uffici, della verifica dei flussi, della distribuzione delle risorse umane, della coerente formazione delle tabelle, ma prima ed ancora di pi sull'effettivo rispetto delle stesse, pretendendo proposte organizzative e verificando la loro attuazione nel momento dell'assegnazione di compiti di direzione e coordinamento degli uffici. La nomina dei dirigenti deve essere un momento qualificante rispetto all'esigenza del recupero di efficienza, ma anche di qualità costituzionale della giustizia
Infatti l'organizzazione e l'utilizzazione delle risorse non è mai un dato neutro rispetto alle finalità che si ritengono proprie di un potere o di una funzione così come non è un dato neutro la selezione delle priorità: la ricostituzione della commissione per la criminalità organizzata all'interno del consiglio, per dare sollecite risposte agli uffici che affrontano realtà criminali particolari costituirebbe in tal senso un inequivocabile significato.

05 03 2006
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