Una politica giudiziaria per l’Italia


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di Anna Finocchiaro - congresso nazionale

Concordo con l’affermazione contenuta nella relazione di Claudio Castelli secondo cui “l’arroccarsi su posizioni di difesa comunque e dovunque è un limite grave che conduce inevitabilmente a contro riforme devastanti per gli assetti istituzionali”. E' il cuore di una riflessione che, identicamente, ci ha accompagnati in questo anno e mezzo di lavoro politico e parlamentare, in un quadro però così complesso ed irto di questioni che vale la pena di dipanare. E non si tratta di questioni solo legate a questo passaggio di tempo di governo del centrodestra, e neanche solo di questioni strette solo sul versante delle cosiddette riforme della giustizia. Esse riguardano pi complessivamente l’idea stessa del modello di democrazia in un Paese che ha scelto il sistema maggioritario bipolare mutando solo la legge elettorale nazionale, senza aggiornare il sistema delle garanzie politiche delle opposizioni, e consentendo dunque, per questo verso, l’agire parlamentare in chiave di “dittatura della maggioranza”.
L’irrisolto di questo nodo pesa enormemente su ogni strategia di riforma, rischia di consegnare ad ostruzionistica testimonianza l’agire delle opposizioni, così, peraltro, confermando in larghi strati di opinione pubblica l’immagine di una minoranza pregiudiziale, rabbiosa e inconcludente, immagine tanto falsa e strumentale quanto efficacemente proposta dai potentissimi mezzi d’informazione a disposizione della maggioranza. Peraltro, in questo anno e mezzo, l’agenda parlamentare definita dal governo ha fatto correre all’opposizione il rischio di restare, essa stessa, preda dell’ossessione berlusconiana per i processi di Milano. Così è rischiato di avvenire per il falso in bilancio, la legge sulle rogatorie, la riforma elettorale del CSM, la legge Cirami e rischia di avvenire per la riforma dell’art. 68 della Costituzione. Nel senso che, mentre staremo a difendere la necessità che il regime di immunità parlamentare – voluto dai costituenti dopo la dittatura fascista a presidio della libertà di espressione parlamentare delle opposizioni – non si trasformi in regime di impunità, probabilmente perdendo in ragione dei numeri, rischiamo di censurare ogni discussione su quella che, secondo me, è la questione: come riformare la Giunta per le autorizzazioni a procedere (o la stessa Giunta per le elezioni) per restituirle, in un sistema maggioritario bipolare, funzioni reali di garanzia evitando che si riduca – come oggi è – a mero luogo di ratifica della volontà della maggioranza parlamentare, e questo a dispetto di qualunque assetto costituzionale del regime dell’immunità. Allo stesso modo, pare rimossa da noi stessi ogni discussione su quale nuova necessità democratica potrebbe oggi fondare l’insindacabilità, garanzia prima della libertà di espressione parlamentare e politica delle opposizioni.

Lo stesso credo valga anche per la questione, oggi in discussione al Senato, della riforma dell’ordinamento giudiziario e in particolare della scelta tra separazione delle carriere e distinzione delle funzioni che, come risulta dal disegno di legge che abbiamo identicamente presentato al Senato ed alla Camera, è la soluzione da noi proposta, peraltro in coerenza con l’elaborazione compiuta in questi anni dall’ANM. Mentre avvertiamo pienamente tutto il pericolo della prima soluzione, sentiamo anche, pesantemente, l’assenza di una discussione che in questa fase di incompiuta transizione da un sistema proporzionale ad un sistema maggioritario bipolare oscura il dovere di costruire nuovi fondamenti teorici dell’autonomia e indipendenza di tutte le magistrature e dell’obbligatorietà dell’azione penale, fondamenti di un moderno regime di garanzie e di un inedito – e tutto da costruire – sistema di checks and balances.
In questo senso mi pare che alcune osservazioni critiche sul lavoro della Commissione bicamerale dovrebbero essere riviste, poich proprio in quel tentativo di riforma di sistema questa questione era stata colta e tradotta con la proposta della giurisdizione unica, dell’estensione a tutte le magistrature delle prerogative di autonomia e indipendenza, con la previsione generalizzata dell’autogoverno.
Che fare allora? Vorrei essere chiara: dalle nostre parti, tra i DS, non c’è nessuno che non pensi che l’attacco ai principi fondamentali della Costituzione portato dal centro destra sia gravissimo e vada in ogni modo contrastato, e che le leggi e le iniziative confezionate ad uso degli imputati eccellenti rappresentino una vergogna ed uno scandalo. E credo che ciascuno sappia con quale rigore e impegno e forza i DS hanno contrastato, nel Parlamento e nel Paese, l’approvazione di quelle leggi ed ognuna di quelle iniziative, così da poter essere esonerati dal prendere lezioni da chicchessia, pur ascoltando, con rispetto, tutti. Ma nel frattempo? Nel frattempo, io credo abbiamo il dovere di presentare e discutere con il Paese un progetto di riforme per la giustizia che valga a demolire l’inaudita mistificazione e coinvolgere competenze, intercettare bisogni e disuguaglianze, vederli e proporre soluzioni. Qualcuno obietterà che nostre proposte sono già in Parlamento e che, dunque, questa parte del compito è fatta. Non sono d’accordo. Abbiamo molto di pi da fare, e soprattutto, dobbiamo scegliere di farlo e credere in quello che facciamo. Una proposta depositata in Parlamento è morta, se su di essa non si riesce a coinvolgere attenzione e suggerimenti, critiche e proposte. E questo costa molta fatica e molta convinzione, sostenute dal credere nell’idea di una sinistra riformista che abbia come prima ambizione quella di rappresentarsi come un’alternativa credibile per il governo del Paese. Ed il tempo è poco, per quanto ancora insopportabilmente lontana ci appaia la data delle prossime elezioni. Ci vuole pi coraggio, determinazione e fatica a costruire una proposta seria, che ad alzare un cartello di protesta. Lo dico con molto rispetto, ma con l’esperienza di quanti di noi hanno in questi mesi faticato, negli incontri pubblici, a ragionare non solo di rogatorie e remissione, ma delle questioni che vi ho sin qui poste e, insieme, e di come avere un processo civile che dia risposte affidabili e celeri alle controversie, di un processo penale che guardi alle garanzie dell’imputato, ma con lo stesso rigore ai diritti delle vittime ed all’efficacia del processo, di un processo del lavoro che restauri diritti e fondi rapporti di uguaglianza tra datori di lavoro e lavoratori, di riforme che diano efficienza al sistema. Proprio su tali questioni, e pi volte, l’ANM ha peraltro richiamato l’attenzione e rivolto richieste al Governo, proprio nei momenti di pi profonda crisi nei rapporti tra magistratura ed esecutivo.
A parlar male del Governo dalle nostre parti, magari in crescendo rossiniano, si prendono molti applausi. Fermarsi a questo, però, per quanto consolatorio sia, ci consegna all’opposizione perpetua. Ma se ciò per qualcuno può essere un destino scelto, il fatto è che il nostro fermarci ferma il Paese, lo condanna all’emarginazione nel contesto internazionale, lo esclude dalla costruzione dello spazio giuridico comune europeo. Io credo che non siamo legittimati ad assumerci questa responsabilità, perchè la posta in gioco non ci appartiene per intero.
Tutto questo ha molto a che fare con i comportamenti parlamentari. Ho la profonda convinzione che uno dei guasti pi gravi che la maggioranza sta portando al nostro sistema democratico stia in quella prepotente dittatura della maggioranza che vuole ridurre il Parlamento a luogo di mera ratifica di decisioni assunte altrove. Di fronte a questo, la scelta dell’ostruzionismo per l’ostruzionismo significa che l’opposizione decide di compiere, per sua parte, quell’opera di “sterilizzazione” del cuore del nostro sistema democratico voluta dal centrodestra. E’, a mio avviso, un errore tragico ed una fuga dalle responsabilità della politica, oltre che ingiustificata rinuncia a valorizzare ogni eventuale risultato ottenuto.
Ed è anche la rinuncia ad evitare che nell’ordinamento entrino norme assai dannose. La logica del “tanto peggio tanto meglio” non è stata, peraltro, mai la cifra dell’opposizione storica che tanto ha contribuito a fare dell’Italia, anche in tempi bui, un paese democratico.

24 01 2003
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