di Piero Fassino - congresso nazionale
- Ringrazio per la cortesia di avermi fatto intervenire oggi e mi scuso, domani sono fuori Roma per degli impegni in un’altra regione, ma non volevo mancare di portare il saluto al congresso.Un saluto non formale visti i tempi cupi e difficili che la giustizia italiana vive.
Ho ascoltato la relazione di Claudio Castelli, che ho apprezzato e nelle sue linee fondamentali condivido. Credo che è comune la preoccupazione per un centrodestra che ha perseguito e persegue una linea di aperto conflitto con la magistratura.
E’ una linea dagli effetti devastanti e di delegittimazione della magistratura agli occhi dei cittadini. Effetti di approvazione di norme che legittimano la illegalità e riducono la capacità dello Stato di tutelare i cittadini, effetti di blocco dell’azione riformatrice che si era avviata in questi anni e che tuttavia, sappiamo bene non è esaurita, effetti di aggravamento della condizione della giustizia. Siamo in presenza di una strategia che impedisce la modernizzazione della giustizia e, quindi, la modernizzazione del paese in un assetto strategico della società e dello Stato, scatenando un conflitto che mette in causa dei valori costituzionali.
La preoccupazione che è stata manifestata, e anche l’asprezza delle denunce che sono state qui formulate da Castelli, è condivisibile ed è anche la nostra. La cosa ancora pi preoccupante è che in realtà accanto alle sortite che di tanto in tanto sono - diciamo - la punta di questa offensiva (una volta la messa in causa del principio di autonomia della magistratura, un’altra volta la proposta della modifica dell’articolo 68 della Costituzione sull’immunità), accanto a queste cose c’è un’idea che viene perseguita ogni giorno e che viene trasmessa ogni giorno alla società che secondo me è quella pi devastante: è quellaq secondo cui la giustizia non è solo malata ma è incurabile.
Trasmettendo all’opinione pubblica un messaggio il cui effetto non può che essere la riduzione progressiva di fiducia dei cittadini nella giustizia dello Stato e mettendo in causa il faticoso lavoro di innovazione organizzativa, legislativa, processuale e ordinamentale che negli anni scorsi era stato messo in campo. -
Nessuno di noi ha visioni acritiche e trionfalistiche della esperienza di governo del passato, che sarebbero sciocche, e tuttavia ciascuno può misurare la differenza tra quella esperienza e la situazione attuale.
Tra il 1996 e il 2001 le risorse per il Ministero della giustizia sono passate da 7.000 miliardi a 12.000 miliardi; nella finanziaria del 2002 e in quella del 2003 (che è entrata in esercizio da pochi giorni) c’è una riduzione delle risorse per la giustizia.
Si era fatto uno sforzo particolare - vedo qui Franco Ippolito che ha avuto questa responsabilità per anni e con cui ho avuto la fortuna di lavorare - per affrontare un gravissimo stato di carenze di organico sia amministrativo sia magistratuale. Tutti gli sforzi fatti, che avevano portato in cinque anni sostanzialmente a dimezzare una carenza di organico che nel 1996 superava il 25% per i magistrati e poco di meno per il personale amministrativo, rischia di essere messo in causa ed in discussione. Continuo a considerare del tutto incomprensibile che non si bandiscano i concorsi che sono autorizzati dal provvedimento legislativo che ha incrementato di 1000 posti la pianta organica, dato che quando il governo precedente ha lasciato il Ministero lo ha lasciato non solo con la legge, ma con il regolamento di attuazione approvato e vistato dagli organi di controllo. Ci si affida, al contrario, a un provvedimento assurdo e paradossale come l’allungamento a 75 anni della permanenza in carriera per risolvere un problema che ha natura strutturale e che tutti voi conoscete meglio di me.
Penso a come si sono ridotti e bloccati i programmi di informatizzazione che sono, come giustamente Castelli ha sottolineato, una leva strategica se si vuole introdurre un elemento di efficienza vera nell’organizzazione del sistema giudiziario.
Dobbiamo guardare con estrema preoccupazione a una linea che non solo conduce ad un attacco alla magistratura (che va respinto in modo netto), ma che, nella gestione quotidiana, sta determinando strappi e aggravamenti di aspetti del funzionamento della giustizia che rischiano di produrre un aggravamento di una condizione non soddisfacente nella capacità del sistema giudiziario di corrispondere alle attese dei cittadini. Si rischia così di vanificare quello che in qualche modo è stato fatto in questi anni e qualche risultato ha prodotto. Castelli ha ricordato che anche quest’anno nelle relazioni del Procuratore generale della Cassazione e nelle relazioni dei Procuratori generali delle Corti d’appello in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario è stato rilevato per il terzo anno consecutivo un andamento della dinamica, della gestione dei processi che segna un riequilibrio tra processi definiti e processi sopravvenuti. A conferma del fatto che non è vero che la giustizia sia incurabile e che la giustizia in Italia certamente soffre di molti mali ma che se si mettono in campo misure di tipo organizzativo, processuale, ordinamentale e legislativo adeguate è possibile produrre una inversione di tendenza e mettere a disposizione dei cittadini una giustizia all’altezza di quella che i cittadini chiedono. -
I cittadini alla giustizia chiedono tre cose molto semplici, che dovrebbero essere l’unica preoccupazione di un ministro della giustizia: di essere accessibile quando ne hanno bisogno, di essere rapida nell’accertamento delle responsabilità e di essere certa nelle sue decisioni. Con un linguaggio semplice è questo che il cittadino vuole dalla giustizia. La politica dovrebbe occuparsi di dare al cittadino una giustizia che sia in grado di corrispondere a queste tre domande ed esigenze.
Negli anni scorsi si è lavorato in questa direzione. Naturalmente sappiamo bene che quel processo riformatore non è esaurito, n è stato immune da produrre nuove contraddizioni e problemi aggiuntivi (valga per tutti la macchinosità del processo accusatorio, che manifesta non poche contraddizioni e richiede interventi che non giustappongo o sovrappongono in modo confuso ulteriori norme, ma rivisitino il processo in modo da renderlo pi lineare e scorrevole nel suo funzionamento), ma oggi siamo in presenza di una strategia che mette in causa il percorso fin qui fatto.
Siamo di fronte ad un bivio, che va reso chiaro. Da un lato c’è l’opzione (che credo sia l’unica corrispondente all’esigenza di dare al paese la giustizia che i cittadini vogliono) di continuare su una strada di riforme in grado di mettere mano alle contraddizioni e ai problemi che il sistema giudiziario ha ed ha accumulato negli anni. L’altra opzione (che ci propone il centrodestra) è di interrompere il percorso fin qui condotto e di intraprenderne uno radicalmente diverso, che è inaccettabile per le ragioni che ho fin qui esposto. Ciò giustifica uno scontro politico particolarmente acuto: non si tratta di essere d’accordo o meno su un provvedimento legislativo; sono due modi di concepire il rapporto tra cittadino e giustizia che oggi sono a confronto.
Quello che la destra sta facendo è mettere in causa il percorso di ricostruzione di un rapporto di credibilità e di affidabilità che si era cercato di costruire negli anni scorsi (ripeto con molti provvedimenti che hanno dato risultati positivi e altri che sono giustamente da sottoporre a verifica anche critica) per proporci di imboccare una strada dalla quale risulterebbe non solo una giustizia meno efficiente, ma una giustizia meno di capace di corrispondere alla domanda dei cittadini, e che, soprattutto, metterebbe in causa il principio costituzionale, fondamentale per qualsiasi convivenza civile e ordinata, della uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. -
Il tema della giustizia resta un tema centrale - condivido le indicazioni di Claudio Castelli nella sua relazione -. Servono maggiori risorse finanziarie, tecnologiche, umane; serve investire nella politica della formazione come leva strategica per una giustizia che proprio su questo terreno ha manifestato molte debolezze. Servono modalità nuove di organizzazione degli uffici (e richiamo in questo senso le proposte che pi volte sono venute dall’Associazione nazionale magistrati, e in particolare dal convegno di Bardolino); servono interventi di carattere processuale e interventi di natura legislativa sull’insieme delle leggi che presiedono ai principali reati che devono essere perseguiti. Queste sono le riforme di cui la giustizia ha bisogno ed è per queste che bisogna battersi e creare le condizioni per un consenso largo nel paese.
La giustizia italiana non ha bisogno, invece, di alterazioni e di strappi, siano essi quelli che mettono in causa l’indipendenza della magistratura e l’obbligatorietà dell’azione penale, o quelli che ripropongono l’immunità come impunità o separazioni di carriere (l’unica cosa che non ho compreso nella relazione di Castelli è l’affermazione che l’opposizione propone la separazione delle carriere: non è così, e forse il concetto è stato da Castelli espresso troppo sinteticamente da parte di Castelli; l’opposizione, per quel che riguarda il mio partito, ha risolutamente detto sempre di essere contraria alla separazione delle carriere e qui ribadisco che questa è la nostra posizione e a quanto mi risulta è la posizione anche del centrosinistra e su questo abbiamo, come su tante altre cose, un punto di vista comune).
Queste sono le questioni che sono di fronte a noi. - C’è – e concludo - un altro punto essenziale che rischia di essere drammaticamente ferito dall’offensiva della maggioranza di centrodestra, del governo e, in questo caso, dello stesso Ministro: la messa in discussione del ruolo fondamentale del sistema associativo della magistratura per un efficiente sistema giudiziario.
Per esperienza personale so quanto la funzione del sistema associativo sia assolutamente preziosa e vitale per garantire che si possa mettere mano a quelle riforme che servono a dare ai cittadini una giustizia pi efficiente, pi rapida e pi certa. L’idea che il sistema associativo - come pi volte Castelli (Roberto) si è premurato di dichiarare - sia una palla al piede, un ostacolo, qualche cosa di cui liberarsi per garantire una giustizia pi efficiente, è un’idea culturalmente arretrata e concretamente sbagliata perch se in questi anni si sono prodotti dei passi in avanti lo si è potuto fare anche grazie al contributo originale e prezioso e spesso determinante che alle misure assunte è venuto dal tessuto associativo, e in particolare da organizzazioni come Magistratura democratica che ha costituito un punto di elaborazioni e proposizioni particolarmente innovativo e vivace di cui continua a esserci bisogno.