Compiti della politica e doveri della giurisdizione


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del segretario nazionale Livio Pepino

I. Giustizia penale e politica

  1. La realtà è stata, anche questa volta, pi complessa delle previsioni di molti. Due anni fa era diffusa la convinzione che, sull'onda del referendum del 18 aprile 1993, il passaggio dal sistema proporzionale al maggioritario fosse ormai cosa fatta. Non è stato così; o - pi esattamente - ciò è accaduto solo in parte. Il confronto elettorale del marzo 1994 ha visto la vittoria di una destra autoritaria e illiberale, il cui progetto era chiaro ed esplicito: "E' sbagliato dire che una Costituzione deve essere voluta da tutto il popolo. Una Costituzione è un patto che i vincitori impongono ai vinti. Qual'è il mio sogno? Lega e Forza Italia raggiungono la metà pi uno. Metà degli italiani fanno la Costituzione anche per l'altra metà. Poi si tratta di mantenere l'ordine nelle piazze" (Miglio, marzo 1994).
  2. Il problematico "rodaggio" del sistema maggioritario si è accompagnato alla tenuta della giurisdizione penale e al suo intrecciarsi sempre pi fitto con la politica. Non solo si sono ovunque moltiplicate le indagini per fatti di corruzione e per episodi di collegamento tra politica e malaffare, ma sono giunti a dibattimento - non solo a Milano e Palermo - procedimenti di grande rilievo nei confronti di personaggi simbolo della prima e della seconda repubblica e di uomini chiave del potere economico. Sovvertendo consolidate leggi della comunicazione, il giudiziario occupa ininterrottamente da oltre tre anni le prime pagine della stampa scritta e parlata e i suoi effetti turbano equilibri politici e vite di governi. Ciò in un contesto europeo toccato da esperienze analoghe (dalla Francia alla Spagna, dalla Germania alla Grecia e persino all'Inghilterra), che ha indotto il pur compassato Le Monde ad utilizzare per un recente editoriale l' evocativa apertura: "Un fantasma si aggira per l'Europa: il governo dei giudici". Nel nostro paese, poi, c'è chi si è spinto oltre plaudendo ad una affermata "rivoluzione per via giudiziaria" o, al contrario, denunciando il rischio di una ipoteca sulla seconda repubblica da parte di una "potentissima burocrazia-guardiana" (la magistratura, appunto), analoga a quella militare che tiene "sotto il tallone le classi politiche democraticamente elette di certe democrazie latino-americane" (Panebianco). A fronte di ciò è sempre pi manifesta l'insufficienza di categorie quali la "supplenza" giudiziaria e la "sovraesposizione" della magistratura ai fini di una interpretazione attendibile della realtà. Ridefinire gli spazi della politica e della giurisdizione (senza cedere all' autocontemplazione litaria di una corporazione o ai contingenti interessi di questo o quell'inquisito eccellente) è, dunque, operazione ineludibile. Conviene partire dai comportamenti della politica.
  3. Dopo il comprensibile nervosismo craxiano (quello, per intendersi, del "mariuolo colto con le mani nel sacco" e dei corsivi dell'Avanti!), la crescita delle indagini su corruzione amministrativa e illeciti rapporti tra mafia e "colletti bianchi" ha avuto come reazione politica prevalente un mix di sostegno tattico (iniziale) e di aperta ostilità (nel seguito). Dell' intervento giudiziario si è colto e utilizzato, talora con un appoggio sopramisura, il ruolo servente nella liquidazione di un ceto di governo in precedenza irremovibile. Lungi dall'essere valutati come vicende giudiziarie, Tangentopoli e processi paralleli sono stati vissuti e sponsorizzati come momento di lotta politica, con la magistratura in funzione di supporto del ceto politico emergente. L'"utilità" si è affermata come metro di valutazione dell'intervento giudiziario, sostituendo, con effetti culturali (e talora pratici) devastanti, i tradizionali criteri di correttezza e rigore. La direzione, non il metodo, delle indagini è diventata la chiave di lettura della professionalità e della serietà degli inquirenti. Poi, gradualmente, il sostegno si è spento. Il raggiungimento dell'obiettivo politico ha eroso - nè poteva essere altrimenti alla luce delle premesse - l'iniziale consenso sino a trasformarlo nel suo contrario. Mentre uno tra i maggiori sponsor delle indagini di Tangentopoli non ha esitato a discettare sul "costo delle pallottole" quando le indagini hanno lambito la sua parte politica, il leader di Forza Italia è giunto ad indicare come proprio "persecutore" quello stesso gip che solo pochi mesi prima aveva segnalato come modello di equilibrio. E ancora una volta sono risuonate attuali e di portata generale le amare considerazioni di Piero Calamandrei: "Aurelio Sansoni era semplicemente un giudice giusto: per questo lo chiamavano rosso (perchè sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria)"... (segue)

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02 03 1996
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