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1. Vorrei riprendere il tema del rilancio del garantismo sollevato da Giovanni Palombarini nel corso del suo intervento di ieri.
Provo a ragionare affrontando, in particolare, un tema che può apparire marginale ma che suscita ancora disagio ed inquietudine tra molti operatori. Nel nostro paese numerose limitazioni della libertà delle persone si applicano, invero, a prescindere dalla specifica commissione di fatti penalmente rilevanti.
La vicenda dei centri di accoglienza per gli stranieri, a ben vedere, esprime una cultura antica che cerca di affrontare, con strumenti arcaici ed illiberali, una questione di grande e tragica attualità. Ma il panorama degli interventi sostanzialmente repressivi del modo di essere delle persone, del loro atteggiarsi e della loro personalità (sulla base di giudizi anche sommari in ordine alla prognosi di pericolosità sociale) è, però, pi ampio di quanto non appaia a prima vista.
Intervenendo a margine di una sentenza del TAR di Trento dell'ottobre scorso con la quale, in particolare, era stato annullato un provvedimento del questore di Trento che aveva imposto ad una donna il divieto di soggiorno e di circolazione per tre anni nel comune di Rovereto, Gianfranco Viglietta (cfr. Quest. Giust., 2005, pag. 187 e ss.) ha rammentato come già in sede di assemblea costituente Costantino Mortati pose all'attenzione dei padri della Repubblica la questione delle misure di polizia limitative della libertà personale nei confronti di persone ritenute socialmente pericolose.
L'angolo visuale offerto dalla mia specifica pluriennale esperienza professionale mi offre, perciò, proprio partendo da questo significativo e recente spunto, l'opportunità di una riflessione su di un universo in parte ancora sconosciuto tra gli addetti ai lavori e non solo: alludo al sistema delle misure di prevenzione di carattere personale che, com'è noto, si applicano a prescindere dalla prova della consumazione dei soggetti proposti di fatti penalmente rilevanti.
E' noto il percorso compiuto a far data dalla fine degli anni '50 che ha portato alla compiuta giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione. Tale percorso, avviato da alcune fondamentali sentenze della Corte Costituzionale dei primi anni '60, si è sostanzialmente compiuto ed oggi si impone, invero, che le misure di prevenzione possano essere applicate al termine di un procedimento che attualmente si svolge secondo scansioni procedimentali volte a dare anche effettiva tutela alle posizioni giuridiche dei soggetti proposti.
Restano in piedi, in verità, alcune, come dire, in parte insuperabili anomalie sulle quali nel corso anche di questi ultimi anni si è andata interrogando parte della giurisprudenza di merito e di legittimità.
Una di tale anomalie di recente è stata prospettata dalla Corte di Cassazione che ha, com'è noto, sollevato la questione di costituzionalità della disciplina che limita solo alla violazione di legge il vizio che legittima il ricorso in cassazione avverso il provvedimento emesso dalla Corte di Appello nella delicata materia della prevenzione personale e patrimoniale (la questione è stata, peraltro, ritenuta infondata con la - ahimè sbrigativa - sentenza n. 321 del 5 novembre 2004; giustamente, perciò, alcuni commentatori non hanno mancato di sottolineare come il regime riservato all'impugnazione per cassazione dei provvedimenti in materia di misure di prevenzione determini un rilevante affievolimento delle garanzie difensive - la cd. difesa dimezzata).
Il tema, del resto, non può essere ritenuto trascurabile sul piano numerico sol che si consideri che, secondo i dati recentemente diffusi dalla sola questura di Napoli, nella provincia napoletana sono attualmente pi di mille le persone effettivamente sottoposte alle misure personali di prevenzione (metà delle quali in virt della legge n. 1423/56 mentre alla metà residua le misure in questione sono state applicate in base alla cd. normativa antimafia).
Le misure in questione di applicano, com'è noto, alla cd. criminalità marginale in base alla fondamentale legge n. 1423 del 1956 nonch alla persone indiziate di appartenenza ad associazioni di stampo mafioso o similari.
Deve essere, peraltro, sottolineato come, nel corso degli anni si sia talvolta giunti a dilatare, in forza anche del tenore letterale della disposizione normativa, la nozione di indiziato di appartenenza ad associazioni di stampo mafioso o similari; tale nozione, in base ad un orientamento recepito anche in epoca recente da parte della giurisprudenza di legittimità, si potrebbe addirittura risolvere solo in una situazione di mera contiguità del soggetto all'associazione stessa che risulti funzionale agli interessi della struttura criminale e nel contempo denoti la pericolosità sociale specifica che sottende al trattamento prevenzionale (leggo testualmente da Cass. Sez. I, 16 gennaio 2002, Scamardo, in Cass. Pen. 2003, pag. 604, n. 206).
L'evanescenza dei presupposti non può, perciò, che porre seri interrogativi in ordine alla matrice illiberale delle relative disposizioni normative.
Quanto alla cd. pericolosità comune l'evanescente decalogo contenuto nell'art. 1 della legge n. 1423/56 (pur novellato nell'agosto del 1988) impone di ritenere, pur in presenza di orientamenti e prassi giurisprudenziali volte decisamente a contenere l'applicazione di dette misure a soggetti che siano realmente portatori di pericolosità sociale, che la questione dell'attuale crescente sofferenza dei diritti concerne anche la libertà delle persone nel delicato sistema della prevenzione personale.
Si sta assistendo (lo ha sostanzialmente ricordato bene Giovanni Palombarini nella sua ampia e particolarmente apprezzata relazione che ha illuminato il dibattito precongressuale ed ancora pi recentemente lo stesso Livio Pepino - cfr. Narcomafie - editoriale di marzo 2005) al mutamento di pelle del diritto penale che progressivamente si allontana dal fatto assumendo marcate curvature soggettivistiche. Il rischio del diritto penale del nemico o, per usare un'espressione pi tradizionale, del diritto penale del tipo di autore non è, perciò, anche nello specifico settore delle misure di prevenzione di carattere personale, solo il frutto delle preoccupazioni (per tanto tempo sostanzialmente inascoltate) dell'accademia pi oltranzista.
E allora occorre ripetere con forza: l'azione di contrasto al terrore che insanguina le nostre città, l'azione di contrasto alla criminalità comune ed organizzata, l'azione di contrasto alle mafie (nelle diverse spesso difficilmente omologabili espressioni) non possono giammai prescindere dal pieno rispetto della libertà e della dignità delle persone.
Le misure personali di prevenzione rappresentato uno strumentario a mio avviso poliziesco e arcaico. Si tratta, del resto, di misure, oggettivamente inidonee ad incidere sulla effettiva prevenzione dei reati. Si fondano su presupposti normativi a dir poco labili e come tali suscettibili anche di applicazioni illiberali.
Sono misure altamente criminogene perch la violazione delle prescrizioni imposte comporta la consumazione di reati (a fronte dei quali vengono celebrati numerosi procedimenti penali che comportano, a loro volta, tempi e risorse del tutto sproporzionati agli interessi realmente in gioco). Per non dire della questione di grande rilevanza relativa alla presenza di numerosi organi dell'amministrazione titolari del potere di proposta e, perciò, titolari, insieme con il p.m., dell'azione di prevenzione (dal Questore al Direttore della Dia).
Credo, perciò, che si possa sostenere, proprio per contenere la denunciata deriva verso il diritto penale del tipo di autore ed in armonia con quanto suggerisce la dottrina pi vicina alle nostre sensibilità (da Ferraioli, a Petrini, a Moccia, tanto per citare solo alcuni di quelli che in anni recenti si sono espressi criticamente nei confronti del sistema delle misure di prevenzione personali), la necessità di un percorso che porti all'abbandono, al superamento delle misure di prevenzione di carattere personale.
Del resto pi di venti anni fa già Marco Ramat, all'indomani dell'approvazione della legge Rognoni-La Torre (che aveva introdotto gli istituti del sequestro e della confisca antimafia di prevenzione), nel sostenere il primato della prevenzione patrimoniale, aveva chiaramente escluso che potessero essere applicate misure limitative della libertà personale solo sulla base di indizi.
Deve essere, perciò, favorito il processo di tendenziale sganciamento, avviato non senza qualche timidezza, delle misure di prevenzione patrimoniali da quelle personali proprio perch sulla base di sospetti, congetture o labili indizi non possiamo tollerare, anche come MD, che si applichino misure limitative della libertà personale, che determinano, talvolta, effetti recentemente giustamente definiti come decisamente sconvolgenti (l'espressione è tratta dalla citata decisione del Tar di Trento) nella vita delle persone e che, se applicate a persone già riconosciute responsabili di gravi reati, le inseriscono in un circuito di sofferenza suppletivo rispetto alla pena detentiva, alle misure alternative ed alle misure di sicurezza (prevedendosi, di fatto, per tali soggetti, una sorta circuito sanzionatorio senza fine ).
2. Diverso è il discorso relativo alla necessità di battere la strada, anche utilizzando le misure di prevenzione di carattere patrimoniale, per impoverire gli esponenti del mondo criminale e le stesse organizzazioni criminali. Non può, perciò, che essere ribadito con forza anche in questa sede congressuale come debba essere a tutto campo assecondata la fondamentale azione di contrasto delle ricchezze delle mafie.
Md, forte della sua storia e dell'impegno di tanti sul fronte dei patrimoni di mafia, si deve far promotrice ancor di pi di una riflessione che ponga nuovamente al centro del dibattito il tema della cultura dell'investigazione patrimoniale, troppe volte posta ai margini dell'indagine penale sulle persone.
Sono consapevole delle enormi difficoltà dell'azione investigativa che impone l'affinamento di professionalità davvero non comuni. Occorre, perciò, che i responsabili dell'organizzazione degli Uffici destinino maggiori risorse a questo importantissimo e delicatissimo settore. La situazione sul territorio è, del resto, a macchia di leopardo e ciò, in verità, è solo in parte dovuto alla diversa incidenza dei fenomeni criminali nelle diverse aree del paese (se a Palermo la procura della repubblica ha destinato a questo specifico settore rilevanti risorse, in altre città del sud il potere di proposta viene di fatto svolto, ormai da alcuni anni, solo dagli altri organi proponenti, primo tra i quali il questore).
La restituzione del maltolto conferisce concreta visibilità alla risposta dello Stato (ricordo con piacere la nascita delle cooperative sulle terre confiscate alla Mafia e la destinazione a fini sociali di immobili di prestigio - la sede nazionale di Libera è attualmente ubicata in un intero edificio, poco distante dal Quirinale, confiscato negli anni '80, ad uno dei re del contrabbando napoletano; ricordo ancora la recente apertura della Casa del Jazz a Roma, realizzata in un immobile confiscato ad un esponente della banda della Magliana).
La nascita di concrete opportunità per giovani, associazioni, enti territoriali sui beni sottratti alle mafie , del resto, il segnale a dir poco tangibile di un intervento che - pur nel rispetto dei diritti fondamentali di libertà delle persone - sia in grado di dare concreta visibilità a quell'antimafia dei diritti e delle opportunità pi volte evocata.
Concludo, perciò, con l'auspicio che questo slogan che spesso e ormai da anni ritorna nelle sedi pi disparate, si traduca ancor di pi in un costante crescente impegno che veda, in prima linea, ma con la necessaria coerenza con i principi del garantismo, chi come MD ha fatto proprio del garantismo, da oltre quarant'anni, una bandiera davvero irrinunciabile.